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Ma cos'hanno in comune Lillino e Guglielmo? INTERVENTO
15 febbraio 2004

Che cosa hanno in comune Pierino Centrone, Lillino Di Gioia e Guglielmo Minervini? In molti si sono posti questa domanda all'apparire dei manifesti che annunciavano la pubblica sortita dell'inedito trio. E da tutti e tre, pur con qualche diversa e interessante coloritura, la risposta è arrivata chiara e uguale: il nemico. Insieme – hanno sostenuto – possiamo vincere e dobbiamo farlo per allontanare dal governo di Molfetta una triade di personaggi che sono la causa dello sfascio amministrativo e morale che è sotto gli occhi di tutti. Bisogna formare un “comitato di salute pubblica” ha dichiarato Di Gioia, mentre la sala era attraversata dai sorpresi brusii di chi già vedeva eretta la ghigliottina in piazza Municipio. In questo clima da fronte unito rivoluzionario, Minervini ha voluto comunque segnare le differenze. Che – “caspita se esistono” – però tutto sommato non sono grandissime e bisogna superarle per il bene della città. I matrimoni durano quando i patti sono chiari dall'inizio, deve aver pensato; ma il suo comportamento non si può certo considerare né un capolavoro di diplomazia, né di cortesia, avendo egli parlato per ultimo e sapendo che, per questioni di tempo, non ci sarebbe stata alcuna possibilità di replica. Questo il succo dell'incontro. Non granché. Forse non poteva che essere così, in una serata in cui in tanti avevano l'aria di stare assistendo a un funerale, piuttosto che a un matrimonio. Ma proviamo comunque a prenderne quel po' di buono che c'è stato, come qualcosa di straordinariamente prezioso in questo momento e in questa città i cui mali vanno assai al di là di quanto venga detto. Rimettere in discussione vecchi schemi e vecchie certezze non può che fare del bene. Da questo punto di vista, per il solo fatto di esserci stata questa serata è stata un bene. L'aspetto invece più deludente – a mio giudizio – è che nessuna voglia di mettersi in discussione è emersa, neanche timidamente. Speriamo comunque che questo possa essere solo il primo di molti incontri pubblici in cui si riesca finalmente con franchezza a parlare dei problemi e degli obiettivi che la nostra città vuole darsi. Magari con la presenza degli altri partiti del centro sinistra, giusto per non dare l'impressione che Minervini voglia arrogarsi il titolo di rappresentante del centro sinistra, senza che nessuno glielo abbia dato. Proprio perché di questi incontri vorrei vederne molti altri provo a suggerire, come temi, quegli argomenti su cui tanto mi sarebbe piaciuto sentire dire qualcosa. 1. Siamo proprio sicuri che Tonino Azzollini e Tommaso Minervini siano la Malattia? Non è che costituiscano piuttosto un sintomo, un tentativo di risposta della città a un processo di declino economico e sociale che Molfetta sta vivendo da almeno trent'anni? E non è che anche la vicenda di Guglielmo Minervini sia stato questo? In effetti non è difficile leggere la recente storia politica di Molfetta come la storia dei tentativi da parte della politica di dare risposte a una città il cui sviluppo appariva, anche nelle fasi di maggior successo, segnato da presupposti che ne minavano la base. È noto come esistano sul nostro territorio ragioni strutturali che rendono difficile lo sviluppo (scarsezza di territorio e conseguente bolla speculativa sull'edilizia, per esempio) ma le risposte politiche che a questa difficoltà sono state date sono state sempre insufficienti. 2. L'idea di città, intesa come articolazione dei suoi spazi abitativi e produttivi, che hanno G. Minervini, Azzollini e Di Gioia in cosa differisce? Vogliamo provare a spiegarlo con chiarezza agli elettori? Da quanto ho ascoltato, in questa ed in altre occasioni, mi è venuto il dubbio che si differenzino solo nella dimensione dei “margini operativi”. Provo a spiegarmi meglio, anche se questo argomento meriterebbe un convegno a sé. L'idea di Molfetta come città industriale (ASI, grande porto, ecc.) è un'idea la cui paternità Lillino Di Gioia potrebbe con giusta ragione reclamare. Quest'idea, che pure era stata messa in discussione nel '94 dal movimento che portò alla elezione di G. Minervini, fu ripresa da quest'ultimo e viene attualmente perseguita con convinzione dall'attuale sindaco. Oltre a tutti gli inconvenienti sul piano ambientale e a cui nessuno si degna di dare risposta, vorrei sommessamente far notare come le professionalità richieste dalle imprese insediate nella zona ASI e in quella artigianale non sono, se non in scarsissima parte, sovrapponibili alle professionalità che la città produce. Per essere più chiari nella zona ASI non trovano e non troveranno occupazione i nostri giovani, che hanno spesso un alto livello di scolarizzazione. L'dea che sembra alla base del ragionamento di Minervini è: “questa è Molfetta, quello che si può cercare di fare è provare a limitare i danni” Ma continuando su questo piano per questa città non c'è più speranza. Qualcuno deve pure avere il coraggio di dirlo. Se non si mette in discussione quest'idea di sviluppo, che porta a far arricchire pochi e a far emigrare tanti, le uniche differenze che rimangono stanno negli indici edilizi. 3. Come fa tanta gente a campare in un territorio così piccolo, si chiedeva Gaetano Salvemini. E infatti non ci campano. Il 70% del molfettesi non lavora nella nostra città; spesso non vi fa nemmeno acquisti. Ci dorme e manda i figli a scuola. Avrà pure qualche implicazione politica tutto ciò. Possibile che non se ne parli mai? Possibile che non ci si accorga che fenomeni come per esempio il disinteresse per le sorti dell'ospedale risiedano in questo rapporto ormai labile di tanti molfettesi con la propria città? Ne volete qualche altro esempio? Il Cenobio di San Martino che sta per essere trasformato in luogo di esposizione per tazze del bagno e bidet senza che nessuno protesti. O le opere pubbliche: non credo siano molte le città con la tradizione civica della nostra disposte ad accettare interventi importanti alle proprie piazze e monumenti senza voler sapere prima che cosa si intenda fare veramente. Qualcuno ha forse visto un cartellone in piazza Principe di Napoli che ne illustri il progetto di ristrutturazione? Quanti cittadini su 63.000 sanno che cosa passa per la mente dei funzionari dell'Ufficio Tecnico a proposito della villa Comunale? Non è difficile comprendere quanto questo disinteresse sia funzionale a chi governa. Se non ci fosse stato uno sparuto gruppo di associazioni a far conoscere quanto stava accadendo con il piano delle coste, questo sarebbe stato approvato senza perdite di tempo. “Restituire la città ai cittadini” era il nostro slogan nel '94. Ma i cittadini, questa città la vogliono ancora? Come riuscire a far nuovamente innamorare i molfettesi di Molfetta? I partiti di centro sinistra sono disposti a fare della trasparenza e della partecipazione il punto centrale del loro programma, cominciando magari dalle modalità di scelta dei candidati? 4. I numeri sui risultati elettorali che sono stati snocciolati da G. Minervini e che sembrano costituire per lui e per altri una sorta di tabella della verità, io non li trovo convincenti. Non trovavo convincenti neanche quelli che mi venivano dati nel '94. Se è vero che da quella data in poi i partiti di centrosinistra non hanno ottenuto risultati memorabili, non si può non tener conto di come l'elettorato molfettese e la stessa geografia politica abbia dimostrato in questi anni una fluidità assai difficile da ingabbiare in sigle e schieramenti. C'è un dato che Minervini sembra aver dimenticato e che contraddice la sua convinzione nel fatto che le elezioni da lui vinte costituiscano una eccezione dettata da un concorso di fattori irripetibili. Un dato che fu rilevato nel 1997 (chi ha fatto parte del comitato elettorale del '98, ricorderà anche in quale occasione): a fronte di una distribuzione “classica” di chi si dichiara di centro di destra e di sinistra (un terzo un terzo e un terzo) esiste nella nostra città una chiara propensione al voto per lo schieramento di centro sinistra. Il “centro” è insomma più propenso a schierarsi con la sinistra che con la destra. Ma perché questo dato potenziale si concretizzi è necessaria una convincente offerta politica. La domanda che ci si dovrebbe porre allora è: “perché siamo stati credibili in alcune occasioni e in altre no?” 5. La storia politica degli ultimi anni a Molfetta è stata fortemente condizionata da un “posizionamento” anomalo della Margherita. Uomini e donne con alle spalle la tradizione politica di Di Gioia o Annalisa Altomare si ritrovano all'interno della Margherita in ogni parte d'Italia. Non a Molfetta, dove la storia locale ha fatto sì che i Democratici prima e la Margherita poi si posizionassero troppo a sinistra, “cannibalizzando” i DS e impedendo che ci fosse un rapporto strategico con il centro. Con questo si è preferito un rapporto occasionale fondato su basi incerte e poco chiare che è stato sistematicamente bocciato dagli elettori. Durante l'incontro Di Gioia e Centrone hanno ribadito la loro ispirazione “terzopolista”. L'alleanza con il centro sinistra è stata da loro giustificata esclusivamente dalla contingenza. Siamo sicuri di non stare ripetendo un copione già visto? 6. Finiamo con il titolo (un'altra città è possibile). Insipiente o provocatorio, chi lo ha proposto evidentemente pensa di poterlo usare a pieno titolo e senza conseguenze. Di Gioia come Casarin, Centrone come Agnoletto? Ho l'impressione che un altro piccolo contributo al marasma che va sotto il nome di “omologazione” sia così stato dato. Antonello Mastantuoni
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