“Luci e ombre: un percorso tra arte e ricerca”
Sta riscontrando successo in termini di partecipazione di pubblico e di apprezzamenti sotto il profilo critico la mostra, allestita presso la Sala dei Templari nell’ambito della rassegna “Maggio molfettese”, “Luci e ombre: Un percorso tra arte e ricerca”. L’evento, patrocinato dal Comune di Molfetta (in particolar modo nella persona dell’Assessore alla Cultura, avv. Giacomo Rossiello), è organizzato dalla BPW F.i.d.a.p.a. (Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari) sezione di Molfetta, presieduta da Mary Diolini, e da AIDIA (Associazione Italiana Donne Architetti e Ingegneri) sezione di Bari, presieduta da Francesca Caldarola. L’allestimento si è configurato quale itinerario tra arte, fotografia e installazioni luminose, con Annalisa Macina, architetta e designer, Anna Marzia Soria, fotografa freelance, e Maria Rosaria Stufano Melone, ricercatrice e pittrice, a esporre le loro creazioni. La mostra è stata inaugurata il 27 maggio 2023, con apertura al pubblico sino alla data dell’11 giugno. In data 30 maggio ha avuto luogo presso la Sala Conferenze del Seminario Vescovile Minore il Seminario, connesso all’allestimento, “Luci e ombre: Un percorso tra arte e ricerca”. L’esposizione presenta numerosi elementi di interesse, in un fecondo connubio di arti, all’insegna di un percorso in cui il dialogo tra luce e ombra assurge a Leitmotiv. Maria Rosaria Stufano Melone punta all’evocazione di paesaggi astratti, privilegiando l’uso dei soft pastels e dell’acquerello. In particolare, colpisce la serie di realizzazioni denominate Viaggio in treno, dedicate alla rappresentazione di “immagini dal finestrino”, rese in vario formato. In questi acquerelli Stufano Melone traccia una sorta di odeporica dello spirito, in cui entrano in gioco molteplici fattori, non ultimo la percezione del paesaggio, peraltro probabilmente anche schermato da finestrini, da un osservatorio in movimento. Ne deriva un effetto che dà risalto alle alchimie di luci e ombra, tendendo a una progressiva smaterializzazione, quasi essenzializzazione di un orizzonte in cui cielo, mare, nubi e spume attraggono lo sguardo e lo dilatano, in una sensazione di superamento del senso del limite. Affascinanti anche le sculture luminose di Annalisa Macina, che coniuga mito e realtà, natura e tecnologia, nella sua ideazione di “paesaggi cromatici in continua trasformazione”, realizzati con “vetro colorato, scarto di lavorazione delle vetrerie di Murano, ed esili strutture in ferro”. La dialettica tra artefatto, nella sua funzionalità di oggetto, e valore simbolico che esso assume diviene elemento nodale dell’allestimento di Macina, non privo di ammiccante ironia (si pensi all’ossimoro del “sole lunatico”). Da un lato v’è l’attenzione a una biologia radicata nel mito, con la medusa neutralizzata nel suo potere urticante e assurta a pura bellezza nella sua variante vetrificata, in omaggio all’antenata gorgonea che invece – si ricorderà – pietrificava. Dall’altro si registra un interesse per la storia dell’umanità, per le aurore e i mattini della storia in riaffioramento nel presente e qui non si può non citare il moderno Menhir 19. La fotografia di Anna Marzia Soria si colloca anch’essa ben oltre la mera istanza rappresentativa, assumendo valore simbolico e antropologico. La tensione all’interpretazione del reale, allo scrutarne gli aspetti apparentemente celati allo sguardo ma percettibili a una prospettiva ‘altra’, si coglie già nella serie Protezione, in cui tra gli immobili eleganti del barese “Complesso Duca degli Abruzzi” l’artista trasceglie un gruppo di case connotate da una “tenda sul balcone”. Essa assurge a limes, che sottrae l’interno dell’abitazione a sguardi indiscreti, ma anche quasi a elemento distintivo della famiglia che vi abita. Colpiscono anche la serie dell’“ Archeologia industriale” e direi l’aura ipnotico- onirica dei Corridoi sospesi, in cui le ombre degli e sugli elementi architettonici concorrono, con la fuga prospettica, a suggerire l’attesa di un elemento epifanico o d’un filo d’Arianna. Elemento che potrebbe configurarsi come una sorta di “luce d’anima”, che d’improvviso, infatti, compare in una stampa a pigmento, scatto in un interno di “campagna pugliese”, in cui il chiarore azzurrino desta una sensazione di benessere, quasi una Sehnsucht d’illimitato. © Riproduzione riservata
Autore: Gianni Antonio Palumbo