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Lillino Di Gioia contro tutti:faccciamo un partito moderato L'ex candidato sindaco dell'Ulivo: centrodestra devastante per la città, centrosinistra diviso, in cerca di idee e incapace di fare opposizione; Molfetta senza futuro; la salvezza è solo nel centro riformista. Ora ci penso io
15 novembre 2007

Sempre e soltanto centro. Passato, presente e futuro di Lillino Di Gioia si identifi cano con il centro dello schieramento politico. «Sono stato e rimango, in pratica, un democristiano, non mi vergogno di questa defi nizione perché credo che quel partito sia stato il motore dello sviluppo del Paese e soprattutto abbia garantito stabilità ed equilibrio ad un sistema politico che da una quindicina di anni, invece, va ancora alla ricerca di una stabilità che non è stata raggiunta con Tangentopoli e con la seconda Repubblica che si è rivelata peggiore della prima». Spiega così la sua «tormentata» odissea politica in cerca di casa, dopo il crollo di quella democristiana Lillino Di Gioia. E ora, dopo l'ultimo «divorzio» politico dalla Margherita e da Annalisa Altomare, che contrariamente a lui, ha deciso di aderire al Partito Democratico, ne fonda lui una di casa, la «Casa dei moderati riformisti » (la sede sarà in Corso Umberto, 70 accanto allo Sporting Club), che nella stasi politica attuale a Molfetta, in attesa di vedere concretamente lo sviluppo del partito democratico, rappresenta l'unica novità in campo politico (sempre che tale progetto raccolga consensi sia a livello politico sia a livello popolare). Obiettivo dichiarato: aggregare tutta l'area di centro che va dal Partito Democratico alla Casa delle Libertà, associando a questo progetto l'area laica socialista che non ha aderito al Pd. Una sorta di centro del centrosinistra, con la possibilità di recuperare qualche frangia ex Dc come l'Udc di Casini. Un progetto che lui defi nisce «riformista», ma che somiglia al vecchio pentapartito che non ha lasciato un bel ricordo di sé. Intanto ha avviato incontri con queste forze politiche, anche con i consiglieri socialisti che non hanno aderito al Partito Democratico (Minervini, Piergiovanni, Ancona). Ma lei non aveva criticato e critica la gestione amministrativa dell'ex sindaco Tommaso Minervini? Come si concilia questa posizione con la richiesta di dialogo e incontro di oggi? «Quello che riguarda il passato non c'entra - dice Di Gioia -. Sono e resto critico di quella gestione, pesantemente condizionata dal sen. Antonio Azzollini. Ora con i socialisti parliamo di futuro, la politica è sempre in movimento». Ma il pentapartito non ha fatto, forse, già molti danni, fi no a sfociare nel fenomeno Tangentopoli? «Non sono d'accordo escludendo alcune negatività, ha garantito un governo al Paese, cosa che successivamente nessuna coalizione è riuscita a fare. E poi la capacità di mettere insieme cattolici, laici e riformisti, mi sembra la formula vincente». Ma che senso ha un pentapartito quando si va verso un'accentuazione del bipolarismo, allora lei è decisamente per il ritorno al proporzionale? «Se, prescindendo dalle leggi elettorali, si chiedesse agli italiani se sono d'accordo per una grande aggregazione tra cattolici, laici e riformisti, il 70% sarebbe favorevole e questa scelta porterebbe vantaggi a livello nazionale e locale. Non sta scritto da nessuna parte che il bipolarismo si può fare con una sinistra e la destra che si fanno le proprie coalizioni, se ne possono fare anche tre con il centro protagonista e lasciando fuori le estreme». Allora lei è per il sistema tedesco, con uno sbarramento al 5%, ma questo signifi ca che, ad esempio Udeur e Udc (di matrice democristiana di centro) scomparirebbero? «Certamente sono per il sistema tedesco, ma tenga conto che i due partiti che lei ha citato, con una legge elettorale di questo tipo, si aggregherebbero subito e si porrebbe fi ne a questo proliferare di partiti che ha superato ogni limite. Il problema è quello del fi nanziamento pubblico dei partiti, un vero scandalo nazionale. Del resto anche Udc e Udeur si divisero, per avere più soldi dallo Stato. Dopo il referendum che aveva bocciato il fi nanziamento dei partiti, è stata fatta una legge che ignorando quella decisione degli italiani, ha permesso alle varie forze politiche di dividersi mille miliardi di lire in base ai voti ottenuti alle elezioni. E così si è, in pratica, moltiplicato lo stesso fi - nanziamento, al punto tale che molti partiti pieni di debiti come il Pci sono riusciti ad azzerarli e oggi le loro casse sono piene di soldi dello Stato, non parliamo di Forza Italia che ne aveva già tanti per conto suo. Una legge che è stata approvata da tutti. Se si pensa che ormai gli stessi partiti non hanno più spese, avendo eliminato apparati e iniziative pubbliche, si può ben capire come sia diffi - cile modifi care questa situazione. Se una legge del genere l'avessero fatta la Dc o Craxi, sarebbe stati linciati. Anche il Partito democratico nasce con tanti soldi in cassa, mettendo insieme quelli della Margherita e dei Ds. Forse se il pentapartito fosse stata fi nanziato come avviene oggi, non ci sarebbe stata Tangentopoli». Ma c'è ancora la corruzione. «Sì, ma è dei singoli, non dei partiti». Ma perché non ha aderito al Partito Democratico? «Perché, pur essendo una grande idea, è abortita sul nascere con accordi già presi prima delle Primarie. Così è evidente che non c'è nulla di nuovo e soprattutto perché ha prevalso l'egemonia dei Democratici di sinistra. C'è stata poca democrazia, maggioranze bulgare, nessuna possibilità di scegliere i candidati, nessun confronto di idee, guerra feroce per eliminare i candidati dalle liste. E poi assistiamo in Puglia al trionfo del sindaco di Bari. Michele Emiliano, con il 92% dei voti che continuerà a svolgere la sua attività amministrativa contemporaneamente a quella di segretario regionale del Pd. Pur nella stima dell'uomo, mi sembra un'accentrazione di poteri: controllore e controllato. E, tra l'altro, ricoprendo la carica di sindaco di una parte del territorio (la città di Bari) non rappresenta tutta la Puglia. Io sono per la vecchia impostazione con la politica che imposta e controlla e l'amministrazione che gestisce». Lei a livello politico oggi, dopo che la Margherita è confl uita nel Partito Democratico, dove si colloca? «Nell'Udeur di Mastella, sono sub commissario regionale». È questo il motivo per cui ha annunciato le sue dimissioni da consigliere comunale? «Ho fatto una scelta coerente e rispettosa degli elettori. Non sono legato alla poltrona ad ogni costo. Sono stato candidato sindaco del centrosinistra e ora che non ho aderito al Pd, rimetto il mandato, come è giusto che sia. Sono dimissioni di ordine politico. Purtroppo questa vicenda della mia candidatura non è stata vissuta dal centrosinistra con serenità. Una situazione kafkiana: attacchi dalla Margherita e da Rifondazione che contestavano il risultato delle Primarie che vi vedevano vincente. Poi hanno continuato a fare polemiche e distinguo e questo ha contribuito all'insuccesso fi nale, regalando la città ad Antonio Azzollini e al centrodestra. A Molfetta il centrosinistra perde perché i Ds sono deboli, una presenza insignifi cante rispetto anche alla loro forza elettorale nazionale: c'è un distacco di 12-13 punti. Quest'anomalia di Molfetta, con la pochezza elettorale, favorisce il centrodestra. Anche la “cosa rossa” è debole, con 30 candidati hanno preso 120 voti, compresi Comunisti italiani e Verdi. Non si può andare avanti con liste inesistenti, 11 l'ultima volta, di cui almeno 5 scarsamente rappresentative. L'Udeur e il Riscatto della città hanno preso il 40% dei voti. Ma anche l'opposizione è stata carente. Dopo le elezioni ho cercato di mettere insieme tutte le forze del centrosinistra, chiamando i candidati, i segretari politici per rimetterci al lavoro. La risposta è stata: fi nita la campagna elettorale, non ci sono più candidati sindaci, lo scenario è diverso. Così non è stata accolta la mia proposta di creare un organismo di coordinamento. Insomma, ci siamo fatti del male da soli. Ma c'è un secondo aspetto che mi spinge alle dimissioni: l'impossibilità di confrontarmi con la maggioranza. In consiglio comunale non esistono interlocutori: non parla nessuno, confronto fra maggioranza e opposizione, non c'è democrazia. Tutti i consiglieri sono muti, non fanno nemmeno le dichiarazioni di voto, aspettano solo il segnale del sindaco per votare: siamo allo svuotamento del ruolo del consiglio, la mancanza di dialogo è un'offesa all'istituzione eletta dai cittadini. Esiste una logica autarchica del sindaco, unico depositario di tutte le decisioni. Così ho deciso di farmi da parte e impegnarmi fuori del consiglio, con una costante attività politica e di denuncia dei guasti di quest'amministrazione per la quale esprimo una condanna totale sia per l'eccesso di potere della famiglia Azzollini che ha il controllo politico ed economico della città, sia per la cattiva amministrazione. Una per tutte la vicenda dell'impianto di compostaggio dove l'amministrazione comunale ha commesso una serie di errori che sono costati (fra spese e pagamento di avvocati) migliaia di euro ai contribuenti, c'è stato un lodo arbitrale senza la presenza degli avvocati del Comune, mentre il Comune ora dovrà sborsare alla ditta Mazzitelli altri 30 milioni di euro perché non c'è più l'intesa tanto sbandierata e si rischia il dissesto per nuovi debiti fuori bilancio. Dove andrà a prendere il Comune tanti soldi? Imporrà nuove tasse?». E al centrosinistra cosa rimprovera? «Purtroppo da parte del centrosinistra non esiste un'opposizione adeguata, proprio per la mancanza di un centro forte, senza del quale il centrosinistra è perdente. Non c'è un'iniziativa del centrosinistra, lo stesso assessore regionale non riesce a proporre un'opposizione di fondo (basterebbe solo il caso Mazzitelli per fare un'opposizione dura, facendo capire ai cittadini quanti soldi sono stati sprecati, ma stranamente si fa silenzio); non c'è una gestione politica. Occorre riempire di contenuti l'opposizione, non andare a rimorchio delle attività del centrodestra, che tra l'altro dimostra povertà di idee e di proposte. E tutto ruota attorno al senatore Antonio Azzollini, oggi come ieri: è inutile che il sindaco tenta di sfuggire alle sue responsabilità anche per la precedente amministrazione di centrodestra presieduta da Tommaso Minervini, dove lui era la fi gura determinante anche se dietro le quinte. Del resto i condizionamenti si vedono ancora oggi quando il gruppo socialista (Tommaso Minervini, Nicola Piergiovanni e Antonio Ancona) esce dall'aula, quando ci sono da approvare fatti pregressi della vecchia amministrazione». Ma cosa occorre fare in una situazione diffi cile con una minoranza anche numerica in consiglio comunale? «Bisogna fare il contraltare al centrodestra, incalzare, proporre un'ipotesi di sviluppo della città, tutte cose che mancano al centrodestra: ditemi una sola idea nuova di questa maggioranza. Nulla, il vuoto più completo. Si gestisce solo l'ordinaria amministrazione. In questa situazione un centrosinistra forte potrebbe avere un ruolo determinante. Invece nulla e la riprova è stata quella delle Primarie per il Partito Democratico, dove un assessore regionale e un consigliere provinciale si fanno superare da un De Nicolo qualsiasi. Con 4 fi gure istituzionali (un assessore e un consigliere regionale e due consiglieri provinciali) si doveva riuscire a fare un'opposizione concreta, incalzando, mettendo alle corde il centrodestra, soprattutto tenendo conto che oggi il Comune dipende al 70% da Provincia e Regione. Manca un progetto di sviluppo della città. Ecco perché nei prossimi giorni cercherò di avviare un tavolo di confronto permanente, prescindendo dai ruoli di maggioranza e opposizione, per lavorare allo sviluppo di una città che langue e di questo passo è destinata a morire». Insomma, un Di Gioia che non si arrende e che non ha alcuna intenzione di mettersi da parte. Non si ritiene già “vecchio” politicamente? Non sarebbe più giusto lasciare spazio ai giovani? «Sono per i metodi della vecchia scuola politica quando con gradualità i ranghi venivano occupati con forze fresche che si mescolavano con quelle più esperte, in un'osmosi di esperienze ed energie per arricchire il patrimonio complessivo. Purtroppo nel '94, è stata decapitata tutta la classe politica, gettando con l'acqua sporca anche il bambino. Con quale risultato? Provate a vedere chi parla in consiglio regionale? Solo i più “anziani”, quelli della cosiddetta “prima Repubblica”, gli altri fanno solo le comparse. E questo è un fatto negativo. La strada è quella dell'inserimento graduale». Non si considera un po' un'anima in pena, sballottolata da una formazione all'altra, da una lista civica a un partito e viceversa? «Assolutamente no. Sono rimasto sempre al centro, il centro del centrosinistra. E oggi riparto dal centro moderato per una riproposizione del suo ruolo di protagonista e riformista». E come spiega il suo “divorzio” politico da Annalisa Altomare (che ha scelto il Partito democratico), con la quale ha condiviso tutte le battaglie degli ultimi anni? «Con Annalisa Altomare c'è stata e credo ci sia ancora una comunità di intenti. La mia decisione di non aderire al Pd è stata più radicale. Lei ha scelto di aderire a quel partito, dove tra l'altro ha avuto anche qualche diffi coltà. Nessuno si nasconde il fatto che c'è stato un tentativo di non farla eleggere alle primarie, come è accaduto con me quando ero candidato sindaco. Il risultato fi nale è stato quello che non è stato eletto nessuno dei Ds, ma solo Annalisa. Del resto come si spiega lo scarto di 1/3 dei voti fra le regionali e le nazionali? Solo col fatto che c'è un gruppo compatto che vota solo Guglielmo Minervini, sconfi tto alla costituente regionale e vincitore a quella nazionale. E la vicenda delle Primarie per il Pd conferma la pochezza dei Ds, un'élite, un gruppo ristretto che non riesce a catalizzare il voto popolare. Un fenomeno che riguarda anche l'assessore regionale Guglielmo Minervini». Lei si considera una specie di Cassandra della politica locale? «Già, dice bene. Del resto, dopo i grandi sindaci del passato Beniamino Finocchiaro ed Enzo de Cosmo, non c'è stata nessuna fi gura alla loro altezza, ma soprattutto non c'è stata una politica di sviluppo della città, un'analisi dei bisogni e delle prospettive a medio e lungo termine. Non è stata pensata la città del futuro e si rischia la marginalizzazione, una città periferica, dormitorio. L'ultimo piano di sviluppo di questa città è stato approvato da De Cosmo, dalla zona Asi al porto, gli altri sono andati a rimorchio di piani che appartengono a quell'epoca. Anche il porto, di cui si vanta tanto il sindaco Azzollini, vedrà la sua realizzazione non prima di 7 anni con l'aggravante che, per quella politica autarchica di Azzollini, avremo perso il treno della programmazione regionale dei porti, avendo rinunciato ad inserirci nell'autorità portuale del Levante. Insomma, abbiamo deciso di non rientrare nella programmazione portuale della Regione Puglia, che vuole mettere a sistema i porti da Manfredonia a Monopoli, lasciando fuori i grandi porti di Brindisi e Taranto per i quali ci sono altre ipotesi di sviluppo e il porto di Barletta che resta un porto nazionale. Insomma, noi perdiamo tutte le ipotesi di programmazione, solo perché vogliamo realizzare la società porto, magari per gestire il piccolo cabotaggio». E sul fronte del porto turistico? «Anche qui siamo senza idee e progetti, mentre andava pensato un collegamento con Bisceglie e Giovinazzo, il cosiddetto water front, che dovrebbe prevedere anche il raddoppio del lungomare. Invece abbiamo la zona D4 (quella che va dalla prima cala verso Giovinazzo) destinata a insediamenti e progetti turistici che è completamente ferma. Un fl op rispetto al piano regolatore». E l'edilizia, dove lo sviluppo delle nuove costruzioni avviene in modo disordinato e senza servizi? «Anche qui, un disastro. Senza un piano dei servizi, che solo ora si sta faticosamente avviando, si rischia di trasformare i nuovi quartieri in tanti ghetti. Altro che urbanistica moderna. La legge prevede che in casi di necessità si possa utilizzare il 50% degli introiti delle opere di urbanizzazione primarie e secondarie entro 3 anni. Qual è la situazione di Molfetta? Le opere di urbanizzazione, pagate dai cittadini, non ci sono e i soldi di queste opere vengono utilizzati per la spesa corrente. Una gestione folle. Quando questa gente potrà vedere le opere di urbanizzazione, i servizi essenziali per vivere? Insomma, oggi assistiamo allo sviluppo di una seconda città, ma che è destinata a diventare dormitorio (come “Quindici” ha dimostrato con la sua inchiesta sulle periferie urbane)». E l'area metropolitana? Il Comune riuscirà ad inserirsi adeguatamente in questa nuova realtà? «Finora ogni ipotesi di programmazione ci vede assenti, non pensiamo al futuro. Molfetta è una città con un sindaco fantasma e senza futuro. La situazione è drammatica, mentre sembra che tutti abbiamo altri pensieri: dai soliti giochi di partito agli interessi economici particolari. A chi importa il futuro della città? Non si può vivere alla giornata: sembra di ballare sul Titanic mentre la nave affonda».
Autore: Felice De Sanctis
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