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LIBERI: a Molfetta Troilo e Angione, i due ostaggi del Buccaneer. Le immagini Ricevuti in sala Giunta dall'amministrazione e dalla stampa: per i due marittimi anche il consiglio comunale del 23 agosto
14 agosto 2009

MOLFETTA - “Vedevo solo far notte e giorno. Non sapevo altro”. Il cuoco Filomeno Troilo inizia così il racconto dei quattro terribili mesi di prigionia a bordo del Buccaneer, in mano ai pirati somali nel golfo di Aden in Somalia, assieme ad altri nove membri dell'equipaggio, compreso il suo concittadino, il direttore di macchina Ignazio Angione. Ha gli occhi di un bellissimo colore chiaro, Ignazio, eppure lì dentro c'è ancora la paura. E non potrebbe essere altrimenti. “Dovevo nascondere ogni cosa, perché ogni cosa che avevamo, la prendevano con la forza. A un certo punto, ci hanno lasciato solo mutande e calzini”, prosegue Troilo, nella giornata in cui assieme ad Angione ha riabbracciato la città di Molfetta: i due marittimi, a ventiquattr'ore dal loro sbarco a Ciampino, sono stati ricevuti dall'amministrazione, presieduta dal vicesindaco Pietro Uva, in Sala Giunta, alla presenza della stampa. Ma, al di là della manifestazione, è soprattutto il giorno del racconto, che non può fermarsi, quasi sia, finalmente, lo sfogo dopo centoventi giorni: “eravamo ai lavori forzati, eri debole, la mattina ti tremavano le gambe e dovevi aiutarti con lo zucchero, ma dovevi far sì che loro facessero colazione, alle sette di mattina. Ora siamo solo felici di essere usciti vivi: è una ferita aperta: adesso spero di restare nel Mediterraneo. No, non ho paura: il lavoro è questo, e noi dobbiamo lavorare”. E' la dedizione e la passione che riflette un legame secolare tra Molfetta e il mare: neanche dopo quattro mesi di prigionia, di silenzio, di incertezze e paura di morire, il legame con il mare si è rotto, per questi due molfettesi. La realtà degli uomini dietro i marittimi, però, traspare dai racconti dei familiari: sono notti in cui è difficile dormire, e in queste ore c'è anche la paura dei posti chiusi: “non appena siamo a casa”, racconta la moglie di Filomeno, “mi dice che vuole uscire, vuole l'aria, non vuole stare al chiuso”. Sarà una ripresa difficile, quasi quanto difficili sono stati questi quattro mesi, e il vicesindaco Uva non lo nasconde: “è stata colpita un'intera città, perché i nostri marittimi sono Molfetta, e dunque dobbiamo pensare che qui ci sia l'intera cittadinanza a dare il benvenuto a questi due concittadini, anche se possiamo solo immaginare ciò che possono aver subìto e provato in questi mesi”. Parole di ringraziamento per il governo e per il sindaco, Antonio Azzollini, soprattutto nella veste di senatore: “ha messo a disposizione non solo l'animo, ma l'impegno totale come rappresentante delle istituzioni, e nel tenere i contatti costantemente, per quattro mesi, con le famiglie”. I due marittimi saranno ospiti, domenica 23 agosto, di un consiglio comunale in loro onore: “ è giusto che tutta la città saluti i propri concittadini. Non si tratta di apparire, ma i sostanza e rispetto nei confronti di questi eroi. E gli eroi non sono soltanto coloro che hanno passato questi quattro mesi di sofferenza, ma eroine sono le mogli, eroiche sono le famiglie che hanno atteso tra gioia e sconforto, ma hanno mantenuto un profilo sobrio. E' questa forza d'animo che ha costruito la grandezza di questa città”. Dice bene Uva, possiamo solo immaginare. Ma Filomeno Troilo e Ignazio Angione tentano di rendere più concreta, attraverso alcune immagini, alcuni momenti, l'immaginazione dei quattro mesi durissimi a bordo del Buccanneer. Filomeno parla di più, a tratti non riesce a contenere la gioia, in qualche passaggio ride, parla dell' Italia, della patria, di Molfetta. Ignazio è più silenzioso, quella paura dagli occhi proprio non passa: per lui è stata particolarmente dura, perché il direttore di macchina ha la responsabilità dei macchinari e degli impianti. Che, in quattro mesi di sosta, inevitabilmente smettono di funzionare. Per i pirati, era sua la colpa: “a un certo punto pensavano che avessi nascosto l'acqua, in realtà l'impianto era in avaria. Li ho dovuti convincere raccogliendo le acque di condensa dell'impianto di condizionamento”. Ancora immagini dal Buccaneer: “per dieci giorni la cambusa è stata completamente vuota. Ci portavano, ogni tanto, delle caprette vive. Ci dicevano: una Italia, una Somalia. Io aspettavo, ma in realtà ci arrivavano solo le parti più ossute”, spiega Troilo, confermando poi il racconto del suo compagno: “non capivano che i pezzi potevano andare in avaria. Se un pezzo non andava, se la prendevano con lui, con le armi in mano. Avevano in mano le armi anche il giorno che ci hanno preso, siamo stati un'ora sul ponte, con le mani sulla testa. Ogni giorno andava sempre peggio, avevamo solo la preghiera, ma le speranze si perdevano di giorno in giorno”. Il racconto potrebbe proseguire: potrebbero raccontare della temperatura infernale a bordo, dell' ansia per le notizie che non arrivavano, della fame. Ma adesso è finita: è finita, sono a casa, ma è ancora durissima. Perché, finiti i festeggiamenti, ci sono ancora quelle stanze chiuse, quelle notti insonni, e la paura di non farcela ad addormentarsi.
Autore: Vincenzo Azzollini
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