Lettere
Gentile Direttore, ci siamo confrontati più volte sul complicato mestiere che facciamo. Entrambi lo amiamo. Non faremmo altro. Credo siamo consapevoli del piccolo potere che attraverso quello che pubblichiamo abbiamo nel creare opinione, nel muovere pensieri, idee, generare immaginari singoli e collettivi. Ci sono strumenti del nostro mestiere che a seconda di come li combiniamo possono dire e non dire. Una foto, un titolo, un attacco, a volte anche solo un grassetto che stiano in un comunicato stampa o in un libro o in un articolo, fanno la differenza. Un preambolo per venire al dunque. L’ultimo numero di “Quindici” già dallo strillo di copertina annunciava un’inchiesta choc. Un viaggio sull’omosessualità a Molfetta. Già lo strillo mi è sembrato fuori luogo rispetto all’articolo che invece racconta storie di persone con le loro delusioni e le loro certezze, le loro difficoltà e i loro sogni. Persone che amano e sono amate o rifiutate. Cosa c’è di diverso tra loro e tutti gli altri che amano? Ma le foto, te lo dico con la franchezza, mi sono sembrate stonate. Accompagnare un’intera inchiesta sull’omosessualità con foto di sesso, o che ammiccano al sesso, significa contribuire a confondere e generare confusione. L’omosessualità come pratica e non come espressione d’amore. Per dirtela come me l’ha detta il mio parrucchiere, omosessuale dichiarato, di 45 anni con una vita affettiva stabile da oltre venti con lo stesso compagno, alcune foto rasentano la ‘pornografia’. Io credo che quella scelta iconografica contribuisca a rendere una città e una comunità tollerante ma non accogliente, a spostare l’attenzione su ‘come lo fai’ e non su ‘chi sei’ come persona. A pensare a gay, lesbiche e trans nella loro diversità nel consumo dell’atto sessuale. A coltivare una morbosa curiosità che genera o indifferenza, o schifo, o paura. C’è molta scenografia e coreografia che ha nel corso degli anni accompagnato i gay pride e i dibattiti sulle questioni di genere. Ci siamo fermati agli scatti dei baci saffici e ai lustrini e non abbiamo guardato oltre e dentro i vissuti delle persone. E questo ha generato intolleranza, ha ostacolato il confronto sui diritti civili, ci ha impedito nel pensare a loro, diversi da noi etero, uguali nei diritti. Ecco io credo che una città come Molfetta tollerante (il che è un buon punto da cui partire), con esperienze di punta come quella dell’Eremo club, sia già una città non legata alla curiosità morbosa di come baci o abbracci o di ‘chi è l’uomo e la donna tra voi due’, ma pronta a discutere di diritti civili. Come casa editrice, quest’anno siamo entrati nel tema con due pubblicazioni provando ad attraversare i temi non ideologicamente ma facendo guadagnare al confronto terreno. Di una delle due pubblicazioni il numero di “Quindici” parla anche diffusamente. Per volontà del Comune insieme alla Consulta femminile, ad Agenda 21, la Fidapa, all’Eremo club il 18 settembre scorso abbiamo vissuto la notte rainbow, in una serata che grazie anche alla commistione con la notte blues, ha portato in piazza le storie di gay, lesbiche, di genitori. Abbiamo parlato di sesso? No di amore. E abbiamo provato a mettere a nudo alcuni pregiudizi. Soprattutto i nostri di persone che perché eterosessuali si sentono dalla parte del giusto, secondo la morale. Credo che le foto di quell’articolo siano il segno di un pregiudizio e di una informazione che dobbiamo provare a superare. E questa per te come per me che facciamo i titoli, scegliamo le immagini, guardiamo a come si combinano con i contenuti, è responsabilità non da poco. Ci giochiamo una partita importante e forte perché Molfetta da tollerante diventi una città civile. Elvira Zaccagnino Cara Elvira, ti ringrazio della lettera, perché credo serva a creare anche degli spunti di riflessione e di dibattito sul tema dei diritti civili: era questo l’obiettivo della nostra inchiesta. Perché, in realtà, e contrariamente all’inchiesta sulla escort pubblicata sul numero di “Quindici” di marzo, questa su gay, lesbiche e trans non sembra aver suscitato molto interesse. Forse perché non si vuole parlarne, imbarazza di più un rapporto omosessuale, di quello con una prostituta? Voglio pensare che la mancanza di dibattito dipenda dal fatto che Molfetta, come hanno dichiarato gli stessi interessati, è una città tollerante, per cui il problema è stato accettato. E mi fa piacere. In merito al rimprovero che mi rivolgi, vorrei spiegare alcuni possibili equivoci: Non abbiamo fatto un’inchiesta per vendere più copie, come qualche imbecille che si atteggia a collega, ha sostenuto. E non lo abbiamo fatto nemmeno nel caso della escort (anche lì abbiamo utilizzato immagini abbastanza realistiche, che non sono piaciute a qualcuno). Volevamo sollevare un problema reale, che esiste a Molfetta, senza nasconderci dietro una comoda omertà. Per questo facciamo un’informazione diversa. Avrei preferito mettere altre foto, ma non ne ho trovate di diverse, per esempio quella che ho recuperato, invece questa volta e che pubblico accanto alla lettera, che parla di adozioni. Il nostro mestiere ci spinge ad essere immediati nella comunicazione e quelle foto lo erano. Del resto anche giornali più autorevoli, come Repubblica, qualche giorno fa, parlando proprio delle adozioni, ha pubblicato in prima pagina la foto di due donne che si baciano. Mi auguro che la tua lettera possa suscitare un dibattito sul tema dei diritti civili, che credo stiano a cuore ad entrambi, in una città che sembra addormentata, anche se tollerante.