Legge anticorruzione dirigenze politiche allo sbaraglio con l'emendamento anti-trombati
L’emendamento anti-trombati fa capolino nel Disegno di Legge anticorruzione. Balbetta (e sorride) la casta politica di fronte a un provvedimento che, anche se in maniera non del tutto sufficiente e purtroppo ambigua, vorrebbe sanare il fenomeno ancora troppo presente della nomina fattucchiera dei vertici organizzativi delle amministrazioni comunali (dirigenze). Autonomia, parità di trattamento, trasparenza e perseguimento dell’interesse collettivo non possono assolutamente prescindere da una dirigenza priva di collegamenti diretti con i partiti. Troppo tardivo questo provvedimento parlamentare: i pasticci tecnico-politici sono già esecutivi e hanno lasciato una scia di fango e abbagli incontrovertibili. Proprio come al Comune di Molfetta. E hanno alla base un’unica chiave di volta: la selezione basata non sul merito, bensì sull’appartenenza a un’area politica, se non proprio sul possesso di tessere di partito. Negli ultimi vent’anni la terzietà dirigenziale è stata picconata con colpi di ascia, senza distinzioni di area politica o partito: e questo è accaduto anche a Molfetta. Le dirigenze sono il cuore amministrativo di un Comune: piazzare su quelle poltrone amici, segretari “fittizi” di partito e sodali politici è il vero affaire, mescolando interessi privati e amministrazione. Eppure, l’art.4 del D.Lgs 165/01 (ispirato al D.Lgs n.29/1993 sulla organizzazione delle amministrazioni pubbliche) stabilisce una separazione netta tra politica e gestione: «ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati». Solo una mera intenzione. DIRIGENTI POLITICI Senza dubbio, la riconferma dell’incarico ai 4 dirigenti comunali da parte della giunta Azzollini a luglio rappresentava una forzatura della normativa vigente, in primis del Decreto Fiscale 2012 che amplia il limite percentuale degli incarichi dirigenziali a termine conferiti secondo il comma 1 dell’art. 110 del TUELL. Due dei 4 dirigenti hanno ricevuto l’incarico per nomina politica: il dott. Giuseppe de Bari (settori Economico-Finanziario e Socialità) e il dott. Mimmo Corrieri (Settore Affari Generali), il primo ex consigliere di Forza Italia a Molfetta, il secondo già assessore al Bilancio, Finanze e Programmazione della prima giunta Azzollini, assessore del Pdl detronizzato nel secondo mandato di Azzollini per il caso quote rosa (nomina dal sapore compensativo). L’emendamento parlamentare probabilmente non si tradurrà in una norma, considerata la breve durata del governo attuale. Ma se la delega dovesse passare, s’innesterebbero nell’ordinamento normativo italiano una serie di principi già desumibili dagli artt. 97 e 98 della Costituzione, purtroppo mortificati dalla prassi e da deroghe largheggianti per una politica che ha da sempre cercato di padroneggiare i vertici amministrativi. A quel punto, bisognerebbe capire quali misure saranno adottate dal Comune di Molfetta (e anche in quegi enti locali che hanno ratificato gli stessi provvedimenti): con molta probabilità, il rinnovo sarà interpretato come ante quem, dunque come preesistente e non soggetto a modifiche. La situazione resterà immutata, se la prossima amministrazione non deciderà di cambiare l’asset dirigenziale o se non sarà inviato alla Procura di Trani un esposto. L’EMENDAMENTO Gli incarichi dirigenziali (o comunque di preposizione ai vertici organizzativi di amministrazioni pubbliche e società ed enti partecipati) non potranno essere conferiti a soggetti “estranei” alle amministrazioni - non assunti per concorso - in situazioni di oggettivo conflitto con il principio di separazione delle competenze degli organi gestionali rispetto a quelli politici, come fissato dall’art. 4 del D.Lgs. n.165. Questo l’intendo dell’emendamento. In pratica, gli incarichi dirigenziali non dovranno essere assegnati a chi in un periodo antecedente di almeno 3 anni abbia partecipato a organi di indirizzo politico, rivestito incarichi pubblici elettivi o sia stato candidato agli stessi incarichi. L’esclusione sarebbe più rigorosa per chi, ricoperti ruoli politici in amministrazione, sia stato poi il candidato di un incarico dirigenziale. Il problema per il Comune di Molfetta emergerebbe quando il sindaco (Azzollini o il suo successore) firmerà il rinnovo dei contratti ai 4 dirigenti: nel caso di una firma post quem, cioè successiva all’approvazione del Disegno di Legge, si innescherebbe un particolare meccanismo burocratico, che richiamerebbe l’intervento di organi sovraordinati competenti. In quel caso, l’atto d’indirizzo giuntale sarebbe precedente la ratifica parlamentare, mentre la firma successiva: un caso politico, un altro figlio deforme partorito dalle elucubrazioni azzolliniane. Probabilmente, la delega, anche se attuata, non sanerebbe la pustola dell’ingerenza politica negli incarichi dirigenziali. Forse creerebbe solo un simulacro di dirigenza, formata (o asservita) ancora da “politici” vestiti da dirigenti. Tre anni di stop forzato non sarebbero certo un’abluzione determinante per santificare una dirigenza che, sua sponte, avrebbe dovuto perseguire da sempre l’interesse della comunità (come pretende l’art.98 della Costituzione). La stessa norma restrittiva non può impedire che un dirigente coltivi idee politiche. Purtroppo, più che l’incompatibilità, la legge dovrebbe meglio definire il sistema di reclutamento: lo scrigno di Pandora è la cooptazione intuitu personae (fiduciaria) senza una selezione competitiva aperta, nonostante l’art.97 della Costituzione e gli artt. 28 e 35 del D.Lgs. n165 impongano il concorso per selezionare dipendenti e dirigenti. Pluriformi sono le deroghe, contenute nella stessa normativa, per consentire al caudillo di turno di circondarsi di sodali politici. Tuttavia, fino a quando saranno le cosiddette “quote marron” (100 onorevoli e senatori tra condannati, imputati, indagati e prescritti) a varare il DL anticorruzione, non sarà mai elaborata una normativa ad hoc realmente capace di smantellare la cooptazione e la mortificazione di autonomia operativa e merito professionale. Le ragioni sono molteplici, ma piuttosto lapalissiane.