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Le donne di Federico raccontate da Carla De Girolamo per “Rosso Porpora”
15 marzo 2020

Quale era il ruolo e la condizione delle donne al tempo dell’imperatore Federico II. Lo stupor mundi in tema di rispetto delle donne non era proprio uno stupore, considerato come le trattava. Le donne, all’epoca soggetti sicuramente deboli (il tragico destino che per vivere dovevano dipendere da un uomo), tranne qualche rara eccezione, venivano considerate strumento di piacere oppure mezzo per perpetuare la dinastia e per alleanze politiche tra vari casati. Anche strumento del Papa, che imponeva, come impose a Federico II, tre delle sue 4 mogli per “ragioni di Stato”. Maschilismo e misoginia erano le caratteristiche dominanti all’epoca, siamo nel 1200, e nemmeno il puer Apuliae, pur con la sua raffinata cultura, sfuggì a questa regola, anzi si concesse perfino un harem saraceno, dal quale attingeva liberamente secondo i suoi desideri. E le mogli o l’amante preferita, Bianca Lancia, forse l’unica donna che l’imperatore amò, fu vittima di questa “legge”. A raccontarcelo è Carla De Girolamo, autrice e regista dello spettacolo “Harem, le donne di Federico” realizzato dall’Associazione culturale “Galleria Manfredi” di Lucera e presentato a Molfetta nell’ambito del ciclo “Rosso porpora” contro la violenza alle donne, promosso dall’assessore alla Cultura, Sara Allegretta. Carla De Girolamo che interpreta Bianca Lancia, e per il soggetto dello spettacolo ha attinto dal bel libro della giornalista e scrittrice Bianca Trani (“Tutte le donne dell’imperatore”, Adda edizioni, 2013), ci mostra una donna innamorata, ma anche servile all’imperatore, triste per essere relegata nel castello di Monte Sant’Angelo, una prigione dorata che condivide con la figlia ribelle Violante (interpretata efficacemente dalla giovane Anna Laura d’Ecclesia) e la saggia balia (nella splendida interpretazione di Arianna Gambaccini). All’annuncio dell’arrivo dell’imperatore, la vita del castello si rianima per i preparativi dell’accoglienza, ma Violante non condivide questa felicità, perché sa che il ritorno del padre coinciderà con l’obbligo del suo matrimonio con un nobile scelto da Federico e che lei, quattordicenne, non conosce e non accetta. Una ribellione convinta, ma impossibile per l’epoca, soprattutto perché lei è anche invidiosa della libertà del fratello Manfredi. Perciò la ragazza sottrae la collana prediletta dell’imperatore (che era appartenuta alla madre Costanza d’Altavilla, donata come pegno d’amore a Bianca Lancia la quale, però, la deve indossare ad ogni incontro con l’imperatore per non scatenare le sue ire). In questo modo pensa di creare difficoltà alla madre: un tentativo di ribellarsi alla volontà del padre padrone. Alla scoperta del furto, attribuito in un primo momento alla servitù, si scatena lo scontro tra madre e figlia e sarà la saggia governante a riportare la calma. Tutto finisce con l’annuncio che l’imperatore ha deciso di non tornare al castello e le due donne si rassegnano e si ritrovano ancora più sole e più prigioniere di prima. E Bianca vede sfumare il sogno di farsi sposare da Federico (che lo farà solo prima di morire). L’altalenarsi di situazioni comiche e drammatiche fa di “Harem” un pregevole lavoro teatrale dove la figura di Federico II, convitato di pietra, è sempre evocato dalla tre donne, con ruoli diverse, ma tutte recluse nel castello. “Noi donne dobbiamo appartenere sempre a qualcun altro, mai a noi stesse”, è l’amara conclusione di Bianca, che rifiuta un sortilegio suggerito dalla balia per spingere l’imperatore a sposarlo. Così accetta il suo ruolo di schiava di lusso perché non può fare ciò che lui non vuole, questa è la sua libertà, questo è il suo concetto di amore.

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