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Le città (in)visibili raccontate in una collettiva fotografica
15 settembre 2012

Stimolante III edizione di “Terra di Sud”, con una collettiva di fotografia che gioca con il titolo e la situazione alla base del celebre romanzo a cornice Le città invisibili di Italo Calvino. Un primo aspetto interessante è proprio ravvisabile nella posizione parentetica della preposizione: se la fotografia opera necessariamente su quanto sensibile e visibile, essa è però dotata dello stesso dono che rendeva affascinanti per il Kublai Khan i racconti di Marco Polo. Essa è, infatti, capace di cogliere en artiste ciò che il montaliano “uomo che non si volta” non è in grado di vedere. A selezionare le creazioni, esposte presso la Chiesa della Morte, esperienze perlopiù di notevole qualità estetica, i due curatori della collettiva, attivissimi nell’estate molfettese che volge al termine: Marco Caccavo ha curato la direzione artistica e i testi critici; Daniela Calfapietro la logistica e l’organizzazione. Gli artisti che hanno partecipato all’allestimento sono stati votati dai visitatori, che hanno decretato la meritata vittoria di Mauro Germinario. Quest’ultimo colpisce per la poesia del suo sguardo, che emoziona nel donarci l’icona di una Molfetta resa palpitante dal temporale. La pioggia si insinua ovunque, crepita all’unisono coi nostri occhi e sorge il sospetto ch’essa, in verità, si annidi in noi. Intensa e vibrante anche la metafora del cantiere, che si apre a più interpretazioni: promessa di ricostruzione o immagine di una società in perenne divenire e forse un po’ troppo simile a Penelope, nel suo concepire e disfare? Molti gli artisti presenti, ciascuno con una propria peculiarità. Daniele de Gennaro è l’occhio che osserva le interazioni umane con la precisione dello scienziato e coglie la natura sfuggente e pervasiva del potere, così come la casualità e la fuggevolezza di incontri che avvengono tra individui troppo distratti e narcisisti per accorgersi di chi incroci la loro via. Alberto de Gennaro colpisce per l’eleganza delle sue realizzazioni, a prescindere dal fatto che osservi dall’alto la piazza giovinazzese o si soffermi sul Galata Bridge. Vicky Depalma è artista di straordinario impatto visivo e notevole potenza concettuale; convince pienamente il suo Torde ch’è come un pugno nell’occhio, con l’irrompere del senso di dismissione e rovina tra le pieghe di un quartiere ristrutturato, ma anche Fillide, così magicamente vicina al calviniano “spazio in cui si tracciano percorsi tra punti sospesi nel vuoto”. Nelle creazioni di Luisella Gandini città reale e città sognata sembrano quasi sovrapporsi senza soluzione di continuità; suggestive anche le creazioni di Annamaria Frascella (seconda classificata), all’insegna della rêverie. A tale dimensione non è estranea neanche Nicole Depergola, che da una “silente melodia metropolitana” passa a interrogarsi con ironia su improbabili “equilibri urbani”. A volte, dalle pieghe dell’urbano magma, possono affiorare immagini del passato, ombre che il tempo ha rimosso e questo principio è alla base delle ideazioni di Domenico Mortellaro. In altri casi, come benissimo evidenzia Mariella Soldo, nel tempo spersonalizzante delle nostre città, gli uomini vagano come “fantasmi metropolitani”, ciascuno ignaro dell’altro e all’altro (in)visibile. Anche quando piovono News come nell’opera di Francesco Ricci, si ha l’impressione che a dominare sia un certo voyeurismo, sostanziato di indifferenza, piuttosto che un reale prendersi cura dei propri simili. Più di rado, è la città a subire la sorte della dismissione, come nella Città abbandonata di Ruggiero de Virgilio (terzo classificato), il cui sguardo si posa sulla mesta e poetica maestà della città fantasma Craco, in provincia di Matera, evacuata nel 1963. Il paesaggio lucano ispira anche le belle creazioni di Domenico La Forgia. I percorsi sono molteplici: Felice De Stena coltiva una sommessa malinconia e ammicca a Leopardi, con la reductio ad unum delle “frotte” di fanciulli del Sabato; Emma Vitti colpisce per l’originalità di uno sguardo che trasfigura le cose e che, in certi momenti, ci pare riecheggiare motivi della Land Art; Angelo Ruggiero addita all’osservatore i monstra edilizi, figli dell’incultura speculativa. E poi ancora gli sguardi su Molfetta di Maria Patruno e Michela de Pinto; i suggestivi reportage di Danilo Ursini; la poderosa e imponente vertigine geometrica di Roberto Lusito; i pregevoli scatti di Marco Buccione, Barbara Rotella, Jo de Vincenzo e Maura Ghiselli I cromatismi palpitanti di Bastia per Fabiana Mastroianni; le pulsanti vette di Gianluca Onnis; le eleganti percezioni di Onofrio Depalma, quelle impalpabili e sfuggenti di Stefania Piccioni o le sinuose visioni di Antonio Capurso. Il trionfo dello straniamento, celebrato da Daniela Defazio, nel suo “Salotto metropolitano” che appare inatteso e spiazza l’osservatore, o da Emine Akbukak , che intesse una delicata e sorprendente elegia delle poubelles, restituendo consistenza all’‘inutile’. Scriveva Calvino che uno dei momenti peggiori nella vita di un imperatore è quello in cui l’impero che era sembrato “la somma di tutte le meraviglie” si rivela “uno sfacelo senza fine né forma”, perché, in una terra corrotta e incancrenita, il “trionfo sui sovrani avversari ci ha fatto eredi della loro lunga rovina”. Forse anche le città (in)visibili potrebbero deludere l’osservatore ingenuo coi loro cumuli di brutture, le violazioni dell’ordine naturale o gli anelli che non tengono, figli delle speculazioni edilizie. Eppure, alle volte, è sufficiente uno sguardo-altro, che ne rivela scampoli improvvisi di beltà, a riscattarne l’involuzione, a risvegliare la speranza che esse possano ancora lasciarsi plasmare e divenire le città dei nostri sogni.

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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