Molto spesso abbiamo criticato il linguaggio politico da campagna elettorale, teso a svuotarsi di contenuti e a cercare un livello superficiale di confronto. Sono tante le iniziative politiche che cercano la spettacolarizzazione piuttosto che l’approfondimento politico dei temi e delle questioni cittadine in questi giorni
Ma, nel caso della campagna elettorale di Ninnì Camporeale, ci troviamo di fronte a qualcosa di molto diverso. Pochissime sono state finora le uscite pubbliche del candidato sindaco del PdL a Molfetta, e la campagna elettorale ha avuto pochissimi momenti di raccoglimento degli elettori. Un comizio o poco più, qualche presentazione di candidati tra le mura dei comitati elettorali e poco altro. Quella spettacolarizzazione sembra lasciare spazio ad un’inedita privatizzazione del consenso, che cerca evidentemente di interfacciarsi al singolo elettore, al di fuori di occasioni pubbliche e comizi.
Sono due i piani di analisi di questa campagna elettorale così strana di Camporeale e del centro-destra. La prima impressione è quella di una sicurezza esagerata, ai limiti dello sbeffeggiamento degli avversari, che tanto si stanno dimenando con iniziative, comizi e trovate di ogni genere. E questa sicurezza deriverebbe dai risultati politici ottenuti dal senatore Antonio Azzollini, già sindaco di Molfetta e ora riconfermato presidente della commissione Bilancio del Senato. Ninnì, volendo rimarcare la sua continuità con l’azione amministrativa di Azzollini, farebbe leva sui successi del senatore, che non abbisognano di iniziative, comizi, e proclami, secondo lui. Ma, se così fosse, verrebbe meno quella idea di rinnovamento che Ninnì avrebbe dovuto incarnare anche nel centro-destra, essendo l’erede della politica azzolliniana e dovendo inaugurare una nuova stagione che confermasse i risultati del senatore.
E qui arriviamo al secondo piano di lettura, che è un po’ il risvolto del primo. Sembra quasi che Ninnì, offuscato dall’immagine ingombrante e vincente del senatore, non voglia osare, mantenendosi sicuro entro l’alveo del consenso ereditato da Azzollini. Sarebbe certamente un rischio esporsi e dare inizio ad un nuovo processo di ricerca del consenso, improntato su una rielaborazione dei temi della destra molfettese, di cui Azzollini è stato il maggior regista in questi anni. Significherebbe dover scommettere su una nuova alchimia con l’elettorato, e dover impegnarsi in una nuova fase politica da assoluto protagonista.
Meglio allora restare cauti, conservare l’immagine rassicurante del senatore, con i suoi uomini di fiducia in coalizione, senza azzardare uscite pubbliche e rimescolamenti delle carte in tavola. Meglio mantenersi su un livello individuale di ricerca del consenso, saldamente ancorato alla straordinaria macchina di presa sulla città costruita da Azzollini in questi anni.
Forse la macchina resisterà, opportunamente rattoppata in un meticoloso lavoro privato di conservazione del consenso. Ma chissà cosa succederebbe se il livello pubblico, su cui si gioca la sfida della rappresentanza e la natura fondamentale della politica, dovesse esplodere, e se le risposte private non dovessero più bastare a contenere le istanze derivanti da problemi collettivi.
Ci sarebbe da tremare.
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