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La storia degli ebrei, dai romani al Settecento: conferenza del prof. Gianolio all'Aneb di Molfetta
13 giugno 2012

MOLFETTA - Una storia travagliata, quella degli ebrei, dalle origini fino al Settecento. Questo è stato l’argomento trattato nella conferenza «Gli ebrei a Trani e in Puglia nel Medioevo ed oltre» del prof. Emanuele Gianolio (nella foto), storico tranese autore del testo «Gli ebrei a Trani in Puglia nel Medioevo», tenutasi all’Aneb di Molfetta. Nonostante il vasto arco di tempo che ricopre la storia del popolo ebraico, il prof. Gianolio si è soffermato sui momenti più significativi della sua storia, sin dall’epoca degli antichi romani.
Cesare e Augusto non mostravano antipatia nei loro confronti, al contrario di intellettuali come Virgilio e Ovidio. Nel 70 d.C. l’imperatore Tito distrusse Gerusalemme e Adriano nel 135 d.C. ne cambiò addirittura il nome in Elia Capitolina. Dai cristiani gli ebrei furono accusati di genocidio e di deicidio, perché avrebbero favorito la condanna a morte di Cristo. Nel 212 d.C. Caracalla emanò l’editto con cui si elargiva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero romano inserendo così gli ebrei nell’ambito politico-legale romano.
È da ricordare la grande persecuzione degli ebrei in epoca tardoantica promossa da Giuliano l’Apostata. Nell’Alto Medioevo Giustiniano emanò un editto con cui vietava i matrimoni misti tra ebrei e cristiani.
Il papa Paolo IV, nel 1555, istituì i ghetti,luoghi in cui gli ebrei erano obbligati a vivere, diversi dalle giudecche medioevali, ossia rioni in cui erano gli ebrei stessi a scegliere liberamente di risiedere. Nel Settecento l’antropologia stabilì erroneamente che gli ebrei fossero una razza, quando in realtà sono solo una minoranza semitica che professa una propria religione.
Gli ebrei giunsero in Italia con Annibale, mentre le prime notizie per ciò che concerne l’organizzazione e il modo di vivere in Puglia risalgono all’epoca dei Normanni che s’impadronirono delle proprietà dei vescovi pugliesi e non. I vescovi imposero a tutti gli ebrei dell’Italia meridionale tasse esose, perché a loro volta erano vessati dalle imposte dei Normanni.
Si ritiene che gli ebrei siano appartenuti a una borghesia ante litteram, proprio perché esperti in economia: diventarono bravi farmacisti e commercianti. Inoltre, essendo giunti nel nostro territorio come schiavi avevano abbandonato la loro lingua madre, l’ebraico, e parlavano il greco o il latino. Per questo in Puglia, precisamente a Siponto (Manfredonia) furono fondate scuole in cui si riprese l’insegnamento dell’ebraico. Alcuni, invece, si recavano ad Oriente per studiare il Talmud, testo sacro.
Le prime comunità ebraiche in Puglia si formarono a Pozzuoli e a Brindisi, città in cui sbarcarono, per poi fondare Oria.
Enrico VI (dominazione sveva) favorì l’ingresso degli ebrei, ma ancora più favorevole fu suo figlio, Federico II che, pur mantenendo buoni rapporti con la Chiesa cattolica, emise dei decreti concernenti la protezione degli ebrei perché cittadini dell’Impero: concesse il 10% annuo per il prestito sul pegno vietato dalla Chiesa e li impegnò nel  commercio e nella produzione della seta. Con Manfredi gli ebrei godettero di una certa prosperità ed è proprio nel periodo svevo che furono fondate diverse colonie ebraiche a Bari, Barletta, Bisceglie, Molfetta, Gravina, Monopoli, Palo, Altamura, Lucera, Trani e Taranto.
La situazione ebraica iniziò a peggiorare con gli Angioini. Carlo I d’Angiò tassò gli ebrei, proprio perché in buoni rapporti con la Chiesa e perché gli ebrei, per non essere perseguitati, erano costretti a pagare ingenti somme di denaro. Roberto I d’Angiò ne favorì la conversione al cattolicesimo.
La situazione migliorò con gli Aragonesi.  Ferdinando di Spagna e Luigi XII di Francia stabilirono che il ducato di Puglia dovesse passare agli spagnoli che favorirono l’espulsione in massa di tutti gli ebrei (31 ottobre 1541). Alcuni ebrei, però, trovarono il modo di eludere il decreto: i potenti mercanti s’imparentavano con i grandi banchieri fiorentini e milanesi emigrati al Sud, così risultava che pagavano le tasse non come ebrei ma come mercanti.
Nel Settecento, Carlo III di Borbone, di fronte alle ingenti perdite provocate dalla cacciata degli ebrei, emanò una serie di decreti e notiziari per farli rientrare. La Chiesa non rimase a guardare e dopo aver attaccato verbalmente i sovrani borbonici, favorì la fuoriuscita dei 20 ebrei banchieri rientrati. In seguito, alcuni ebrei si stabilirono a Ferrara, Modena, Parma. La loro presenza nell’Oriente mediterraneo, e precisamente a Salonicco, Corfù, Smirne ed Istanbul, fu favorita dal fatto che il popolo ottomano, costituito da guerrieri, aveva bisogno di loro come classe dirigente. Il resto è storia recente.
 
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Autore: Dora Adesso
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Parte 1^ - Abramo è uno dei nomi celebri in Asia Minore e in Arabia, come Thot fra gli egiziani, Zoroastro l'antico in Persia, Ercole in Grecia, Orfeo in Tracia, Odino presso i popoli del settentrione, e tanti altri assai più noti per la leggenda che per la storia. Parlo, s'intende, della storia profana: chè per quanto riguarda quella degli Ebrei, questi nostri maestri e nemici, questo popolo alle cui credenze prestiamo tanta fede mentre lo detestiamo e perseguitiamo, siccome la storia di questo popolo è stata manifestamente dettata dallo Spirito Santo in persona, noi nutriamo per essa i sentimenti che dobbiamo nutrire. Intendiamo ora parlare soltanto degli Arabi: gli Arabi, i quali si vantano di discendere da padre Abramo per via di Ismaele, e sono persuasi che questo patriarca fondò la mecca, e venne a morte in tale città. Il fatto è che la razza di Ismaele è stata infinitamente più favorita da Dio che non la razza di Giacobbe. Tutte e due in verità sono state razze di ladroni; ma i ladroni arabi sono stati prodigiosamente superiori ai ladroni ebrei. Infatti mentre i discendenti di Giacobbe non hanno conquistato se non un piccolissimo paese, che poi hanno perduto, i discendenti di Ismaele hanno conquistato una parte dell'Asia, dell'Europa e dell'Africa, hanno stabilito un impero più vasto di quello dei Romani, e hanno cacciato gli Ebrei dalle loro spelonche, che essi chiamavano “la terra promessa”. A giudicar le cose solo in base agli esempi della nostra storia moderna, risulterebbe piuttosto difficile che Abramo fosse stato il progenitore di due nazioni cos' differenti. Si legge che egli era nato in Caldea, e che era figlio di un povero vasaio che si guadagnava da vivere facendo piccoli idoli di terracotta; e non è molto verosimile che il figlio di questo vasaio se ne sia andato a fondare la Mecca a quattrocento leghe di distanza, sotto i tropici, valicando deserti impraticabili. Se fu un conquistatore, dovette rivolgersi senza dubbio alle belle campagne dell'Assiria; e se non fu che un povero diavolo, come ci viene raffigurato, non potè andare a fondare dei regni lungi dalla sua patria. La GENESI riferisce che egli aveva settantacinque anni quando uscì dal paese di Haran dopo la morte di suo padre Tharè il vasaio; ma la stessa Genesi ci dice che Tharè, avendo generato Abramo all'età di settant'anni, visse poi fine a duecentocinque anni, e che Abramo venne via da Haren solo dopo la morte di suo padre. Onde parrebbe che, in base sempre alla Genesi, Abramo aveva centotrentacinque anni quando lasciò la Mesopotamia. Egli passò da un paese che si suol chiamare “idolatra”, in un altro paese pure idolatra di nome Sichem, in Palestina. (continua)
Parte 2^ - . E perché ci andò? Perché lasciò le fertili rive dell'Eufrate per una regione così lontana, sterile e petrosa come quella di Sichem? La lingua caldea doveva essere assai differente da quella di Sichem, e non erano paesi di commercio; Sichem è lontano dalla Caldea più di cento leghe, e bisogna attraversare dei deserti per arrivarci. Ma Iddio voleva che Abramo facesse questo viaggio, perché voleva fargli vedere la terra che avrebbero occupato i suoi discendenti molti secoli dopo di lui. La mente umana riesce difficilmente ad intendere le ragioni di un tal viaggio. Abramo era appena arrivato in quel piccolo paese montagnoso di Sichem, quando la carestia lo obbligò ad uscirne. E se ne andò in Egitto con sua moglie, a cercare di che vivere. Ci sono duecento leghe da Sichem a Menfi: è naturale che si vada a cercar grano così lontano, e in un paese di cui non si sa neppure la lingua? Sono strani viaggi, intrapresi a un'età di quasi centoquaranta anni.Abramo portò a Menfi sua moglie Sara, che era estremamente giovane, quasi una bambina in confronto a lui, poiché non aveva che sessantacinque anni. E siccome era molto bella, egli decise di trar partito dalla sua bellezza: “Fa' finta di essere mia sorella”, le disse “affinchè io possa venir benificato in grazia tua”. Poteva dirle piuttosto: “Fa' finta di essere mia figlia”. Il re si innamorò della giovane Sara, e regalò al preteso fratello molte pecore, buoi, asini, cammelli, servi e serve: il che sta a provare che l'Egitto era già allora un regno assai ricco e bene ordinato, e quindi assai antico, e che vi si ricompensavano assai bene i fratelli che venivano ad offrire le loro sorelle ai re di Menfi. La giovine Sara aveva novant'anni quando iddio le promise che Abramo, che ne aveva centosessanta, le avrebbe fatto un bambino entro l'anno. Abramo, che amava i viaggi, se ne andò allora nell'orribile deserto di Cades, con la moglie incinta, sempre giovane e carina. Un re di quel deserto non mancò di innamorarsi di Sara come aveva fatto il re dell'Egitto. Il padre dei credenti usò la stessa menzogna che in Egitto: fece passare la moglie per sua sorella, e ne ricavò ancora una volta pecore, buoi, servi e serve. Non si può negare che questo Abramo combinasse dei buoni affari per mezzo di sua moglie. I commentatori hanno scritto un numero prodigioso di volumi per giustificare la condotta di Abramo, e la cronologia di questa storia: e noi rimanderemo il lettore a questi commentari, che sono stati tutti composti da cervelli acuti e delicati, eccellenti filosofi, senza l'ombra di un pregiudizio e per nulla pedanti. (continua)
Parte 3^ - . D'altronde questo nome, di Bram, Abram, era famoso in India e in Persia; e molti dotti pretendono che si trattasse di quello stesso legislatore che i greci chiamarono Zoroastro. Altri sostengono che fosse il Brama degli indiani; ma ciò è tutt'altro che dimostrato. Quello che sembra invece assai ragionevole a molti scienziati, è che quest'Abramo fosse caldeo o persiano e che gli Ebrei, in proseguo del tempo, si vantassero di provenire da lui: come i Franchi si vantarono discendenti di Ettore, e i Bretoni di Tubal. E' appurato che il popolo ebreo fu un'orda migratoria assai recente, la quale si stabilì nei paraggi della Fenicia solo molto tardi, circondata da popoli più antichi, di cui adottò la lingua, fino a prendere da loro persino il nome Israele, che è caldeo, secondo la testimonianza dello stesso storico ebreo Flavio Giosefo. Sappiamo che essi presero dai babilonesi perfino i nomi degli angeli, e che, per finire, chiamarono Dio coi nomi di Eloi o Eloa, Adonai, Jeova o Hiao, seguendo i fenici. Probabilmente gli Ebrei non conobbero il nome di Abrahm, o Ibrahim, se non daqi Babilonesi; poiché l'antica religione di tutte le contrade dall'Eufrate fino all'Oxus veniva chiamata Kish-Ibrahim, Milat-Ibrahim: tutte le ricerche fatte sul posto dal dotto Hyde ce lo confermano. Gli Ebrei dunque fecero la storia e le leggende antiche quello che fanno i loro rigattieri con gli abiti vecchi , che li rivoltano e li rivendono come nuovi al più caro prezzo possibile. Ed è un singolare esempio della stupidità umana, che noi abbiamo per tanto tempo considerato gli Ebrei come un popolo che aveva insegnato ogni cosa agli altri, quando proprio il loro storico Giosefo dichiarava il contrario. Certo è difficile veder chiaro nelle tenebre dell'antichità. Ma appare evidente che tutti i regni dell'Asia erano fiorentissimi prima che quell'orda vagabonda di Arabi chiamati ebrei possedesse un cantuccio di terra in proprio, avesse una città, leggi e una religione costituita. E quando troviamo qualche antico rito o antichissima credenza stabiliti in Egitto o nell'Asia, oltreché presso gli Ebrei, è ben naturale pensare che quel piccolo popolo nuovo, ignorante, rozzo, che non conobbe mai le arti belle, abbia copiato, secondo le sue forze, da un popolo più antico, industrioso e fiorente. E in base a questo principio, noi dobbiamo pensare alla Giudea, come penseremmo alla Biscaglia, o alla Cornovaglia, o alla Bergamasca, paese d'Arlecchino , e così via: certo la trionfante Roma non imitò nulla dalla Biscaglia, dalla Cornovaglia, o da Bergamo; e bisogna essere una gran bestia o un gran furfante, per venirci a raccontare che gli Ebrei addottrinarono i Greci. (Articolo preso dal Frèret – Voltaire – Dizionario Filosofico)
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