La scuola non è pronta per la didattica a distanza
La scuola italiana non è pronta alla didattica a distanza, ad eccezione di quelle poche scuole all’avanguardia, in cui la didattica si era già diversificata grazie all'uso delle nuove tecnologie.
La scuola è stata e continua ad essere un mondo a sè: chiusa in se stessa, nelle sue ritualità e nei suoi adempimenti burocratici.
Ciò che accade fuori dalla scuola non è oggetto di interesse eppure l’attualità ha il pregio di collegarsi a molte discipline e, ad esempio, la lettura di un quotidiano con gli alunni fornirebbe interessanti spunti di conversazione.
La cultura pedagogica scarseggia e vi è grande resistenza al cambiamento e a modificare il proprio modo di insegnare: lo stiamo vedendo in questi giorni.
I genitori chiedono che le lezioni si svolgano normalmente seppure in remoto e con collegamenti a distanza. “Gli insegnanti sono regolarmente retribuiti e devono svolgere il loro lavoro e non anticipare le ferie” affermano alcuni genitori che dicono di non essere insegnanti e che non possono sostituirsi ad essi.
Non bastano schede e consegne giornaliere su argomenti già trattati. La scuola deve andare avanti regolarmente e il diritto all’istruzione deve essere garantito, anche in un momento di difficoltà.
Vittoriano Caporale, pedagogista di fama, ha descritto la scuola come un mondo a parte, un’isola. Tutto ciò che è al di fuori le è estraneo e non la influenza.
Nella scuola italiana la didattica negli anni non si è evoluta, l’insegnamento è, quasi sempre, trasmissivo e nozionistico. La formazione e l’aggiornamento degli insegnanti è di scarsa qualità, poco coinvolgente e non porta a rendere proprie nuove e più moderne metodologie.
Una scuola povera è la nostra, una scuola che cade letteralmente "a pezzi" come ha affermato l’eurodeputata Rosa D'Amato, la quale si chiede come sia possibile pretendere di digitalizzare la didattica in sole tre settimane.
Eppure, sia i dirigenti che i docenti più competenti, si stanno impegnando affinché ciò avvenga e lo hanno fatto in autonomia, senza che il Ministero dell’Istruzione abbia emanato norme precise e stringenti.
La senatrice Bianca Granato, in una lettera indirizzata al Ministro dell’Istruzione, ha affermato che in un momento di emergenza si è lasciata, all’autonoma iniziativa e capacità dei dirigenti scolastici, la gestione della didattica a distanza.
In alcune scuole, grazie all’impegno dei dirigenti e del loro staff, dopo un primo momento di generale e comprensibile disorientamento, sono giunte direttive chiare agli insegnanti, a soli pochi giorni dalla chiusura della scuole: le famiglie hanno avuto accesso ad una piattaforma comune di condivisione dei documenti che gli insegnanti utilizzano per assegnare consegne scolastiche e per trasmettere materiale didattico.
Sono state, altresì programmate, le prime riunioni on line tra docenti, grazie all’uso di una piattaforma di video-comunicazione che fornisce servizi di conferenza remota e che consente anche la condivisione interna di documenti.
È verosimile che, a giorni, questo stesso sistema di comunicazione a distanza venga utilizzato anche con gli alunni per poter effettuare videolezioni ma ciò presuppone che docenti e famiglie siano forniti dei dispositivi adatti a veicolare questo tipo di didattica. Servono inoltre competenze e non si dia per scontato nè il possesso degli strumenti nè la capacità di saperli utilizzare.
L’analfabetismo tecnologico è più diffuso di quanto si pensi, è una nuova forma di analfabetismo, interessa anche gli insegnanti e non solo quelli più avanti con gli anni.
Molte famiglie vivono in condizioni socio-economiche difficili, non hanno nè un computer nè una stampante. A volte c’è il computer ma non la connessione. Alcuni non hanno lo smartphone e dunque non è possibile inviare materiali di studio e consegne nemmeno con what’s up, che è la soluzione più immediata anche se meno formale.
In tanti hanno riflettuto sul fatto che, nell’urgenza di garantire nuove misure di insegnamento, non si stanno assicurando a tutti gli alunni le medesime opportunità, poiché alcuni di essi saranno esclusi.
Il ministro, con proprie disposizioni, ha cercato di ovviare a questa questione invitando gli istituti a concedere, in comodato d’uso, computer appartenenti alla dotazione scolastica oppure a richiederne l’acquisto di nuovi.
Tuttavia, ben si comprende che non si tratta di procedure attivabili in breve tempo. L’organizzazione della didattica a distanza è complessa se deve essere attivata all'improvviso e senza esperienze pregresse.
L'impegno dei dirigenti scolastici e degli insegnanti che li affiancano è davvero apprezzabile ma sono stati lasciati soli mentre sarebbe stato giusto richiedere uno sforzo progettuale ed organizzativo generale da parte del Ministero che garantisse anche maggiore uniformità, a livello nazionale, delle soluzioni adottate.
Occorre anche fare un breve cenno alle condizioni in cui oggi si lavora nella scuola: una scuola che è priva delle risorse minime necessarie al suo funzionamento, dove anche per qualche fotocopia bisogna portare i fogli da casa.
Se si vuole proporre l’acquisto di qualche sussidio didattico, che può essere necessario, ad esempio, per facilitare l’apprendimento degli alunni disabili, la risposta è che non ci sono fondi e i più penalizzati da questa scarsità cronica di risorse sono proprio gli alunni disabili per i quali è necessario ricorrere ad una didattica di tipo diverso, ad una didattica individualizzata e con particolari supporti.
I direttori amministrativi hanno difficoltà nel gestire i budget ridottissimi assegnati ogni anno alle scuole. Gli insegnanti ricevono una cifra sempre più risicata per l’acquisto di materiale utile al lavoro di classe.
Una scuola in cui lo stato non investe e queste situazioni che stiamo vivendo portano alla luce l’inadeguatezza del nostro sistema educativo.
Ci sono nazioni, come la Finlandia e la Corea del Sud che hanno saputo costruire, nel giro di pochi decenni, quelli che sono considerati i migliori sistemi educativi al mondo.
Un’adeguata formazione delle nuove generazioni ha già reso questi paesi all’avanguardia e competitivi anche da un punto di vista produttivo non considerando che, il benessere che deriva da un nuovo modo di fare scuola, influenza positivamente l’apprendimento degli alunni che viene esteso, ad esempio, anche a nuove ed utili abilità di tipo pratico (ad esempio cucinare).
La scuola che funziona meglio è quella finlandese, al secondo posto quella coreana. Sarà perché investono il 12% o addirittura il 15% del Pil in istruzione? Investire, investire, investire. L’Italia è avara nell’istruzione e la spesa, nel 2019, è ferma al 3,6% del Pil.
Nel paese asiatico regna disciplina e rigore, i contenuti sono studiati a memoria e verificati da continui test mentre nel paese scandinavo la parola magica è flessibilità, creatività, studio basato sulla comprensione piuttosto che sulla ripetizione.
Pur con sistemi di apprendimento diversi, gli alunni finlandesi e coreani pervengono a risultati eccellenti.
In entrambi i sistemi, inoltre, si attribuisce grande importanza alla figura del docente, vi è considerazione del suo ruolo da parte dell’opinione pubblica.
Il reclutamento avviene tra i migliori laureati, si richiedono competenze di alto livello agli insegnanti, in Finlandia solo chi ha un master può partecipare alle selezioni.
I professori sud-coreani guadagnano due volte quello che è il salario di un normale lavoratore.
Nella nostra scuola è da decenni che non si investe, nè per formare i docenti nè per selezionarli. La riforma della Buona Scuola è stato un "bluff" che, sostanzialmente, non ha modificato nulla.
Nessuna riforma seria è stata mai fatta per rinnovare e qualificare la scuola italiana che è come un malato attaccato ad un respiratore, seppure in grande sofferenza, sopravvive.
Gli insegnanti non sono riconosciuti nel loro valore e lavorano in condizioni oggettive di grande difficoltà. Svolgono un impegnativo lavoro, sia mattutino che pomeridiano, senza che vi sia meritocrazia.
Una scuola in cui i giovani, i neolaureati, sono del tutto assenti: la loro presenza è, invece, necessaria per portare nuove energie, rinnovamento e competenze.
La vera forza della scuola è l’impegno straordinario degli insegnanti. Hanno inventiva, creatività e sopperiscono a tutto ciò che manca con un grande impegno personale e, talvolta, anche economico.
Soprattutto nella scuola primaria la scelta è vocazionale, non è un ripiego, non tutti possono svolgere questo tipo di lavoro. Trasmettere la cultura, formare le menti e lo spirito critico, gestire una classe con uno stile democratico e al tempo stesso autorevole è una sfida difficile.
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