Doveva essere "prestato" alla politica, sembrava quasi la dovesse rifiutare (e rigenerare) in toto. Quando era rettore della Bocconi sembrava uno schivo “civil servant”, poi è diventato Presidente del Consiglio e ogni giorno ripeteva che, finita la legislatura, non sarebbe stato disponibile a un reincarico. E, invece, così non è stato.
E, dopo il fallimentare risultato elettorale e la sonora bocciatura anche dell'irto colle, che ne ha tessuto le lodi per parecchi mesi nel difficile gioco delle nomine alle più alte cariche istituzionali, sembra volgere al termine la triste parabola del Primo Ministro che tutto il mondo ci invidia(va). Cosa a cui, però, pochi italiani hanno creduto, non foss'altro che l'economia italiana è stata risucchiata nel gorgo della peggiore recessione dal dopoguerra ad oggi che non lascia trasparire alcuna via di fuga.
Nel novembre del 2011, con lo spread ben oltre i 500 punti, FalliMonti sembrava poter essere il salvatore della patria: oggi, a distanza di 15 mesi, la sua figura e la sua stessa creatura politica, denominata Scelta Civica, sembrano essere condannate ad una triste, quanto inevitabile, irrilevanza.
Che l’operazione Monti non avrebbe avuto successo alcuno, era abbastanza chiaro. A quali partiti Monti avrebbe potuto togliere consensi? Non certo al PdL, il cui elettorato, composto da partite Iva e lavoratori autonomi, è stato quello più colpito dalle draconiane misure di austerità varate del governo tecnico. Monti avrebbe potuto raccogliere ben poco pure rivolgendosi allo zoccolo duro dell’elettorato piddino, tradizionalmente fedele, magari mugugnante, ma comunque fedele, alla linea del partito.
Ed ovviamente con una forza antisistema in crescita come quella di Grillo non si poteva credere che gli scontenti dei due maggiori partiti che hanno sgovernato l’Italia in questi vent’anni avrebbero potuto scegliere i candidati di Scelta Civica che già a livello fisiognomico e antropologico erano quanto di più distante si potesse proporre in una situazione nella quale la maggior parte delle famiglie stenta ad arrivare a fine mese.
Se il disegno del Professore era quello di scardinare il bipolarismo muscolare Pd-PdL, l’obiettivo poteva essere raggiunto solo parlando alla pancia e ai cuori degli elettori, non certo prospettando un altro ventennio di lacrime e sangue, di tasse e austerità, una pura e semplice riedizione, per un numero indefinito di lustri, di un governo alla Monti, come fatto con straordinaria pervicacia soprattutto dai due campioni della kasta, Fini e Casini, il primo dei due sonoramente trombato, il secondo, ridotto ad ologramma di se stesso.
Sarebbe stato meglio che Monti avesse seguito il consiglio dell’attuale Capo dello Stato che, quasi scongiurandolo di non presentarsi alle elezioni, era arrivato pure ad inventare presunte incompatibilità tra la carica di senatore a vita e l’impegno politico attivo. Il progetto di Napolitano, prima con la nomina di Monti a senatore a vita e poi a premier, era proprio quello di individuare il suo successore al Colle, forte di un appoggio mediatico senza precedenti e di sponsor internazionali che andavano dalla Merkel ad Obama. “Prima salvi l’Italia, e poi avrai via libera per il Quirinale”, potrebbe essere stata la ratio di tutto il discorso che Napolitano può aver fatto a Monti.
L’unica possibilità per Monti di rientrare in partita, oggi, pare essere quella di dare finalmente realizzazione all’alleanza con il Pd, appoggiando il tentativo di Bersani o, comunque, aderendo ad un governo del Presidente che vari poche indispensabili riforme (per esempio, la legge elettorale), accompagnando il Paese a nuove elezioni.
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