MOLFETTA - Nelle musiche dei Calixtinus e delle Faraualla, sabato sera, riecheggiavano i tratti di una cultura, quella medievale, che sembrava invadere la sala e penetrare gli spazi, le sonorità, le tonalità emotive. I luoghi che abitiamo, la nostra lingua e più ampiamente la nostra cultura, portano i segni di una spiritualità che penetra il cuore della nostra esistenza. Siamo implicati in un mondo che porta i segni del passato, in una commistione di culture, di forme artistiche, di aperture e influenze, che sembra superare la propria immanenza per schiudere un campo di senso che ci fa cogliere i richiami del mondo. Questo spirito resta celato, è il nocciolo nascosto dei nostri rapporti, la sostanza dei nostri modi di fare, eppure ha un’esistenza sotterranea. Tranne in momenti mistici, come quello di sabato sera, in cui la musica sembra approfondire quelle radici, seguirne gli sviluppi, intrecciandosi con i luoghi, appassionandosi al gioco dei richiami.
Il concerto dei Calixtinus e delle Faraualla, tenutosi al Museo Diocesano, presentato da Digressione Contemplativa e FeArt e diretto da Giovannangelo de Gennaro, ha cullato l’intreccio di richiami emotivi, facendo riemergere, senza disvelarlo, il nocciolo pulsante di questo incontro misterioso. In cui il passato diviene il terreno di radicamento di emozioni e suggestioni, che aderiscono ai luoghi, entrando in una dimensione unica.
La musica dei Calixtinus da 20 anni è il frutto di un percorso di ricerca che mira a ritrovare nel presente lo spazio di rielaborazione delle musicalità del periodo medievale.
L’atmosfera che si viene a creare supera così la temporalità lineare, riorganizzando una nuova dimensione valoriale, che si affida alle suggestioni, si aggrappa agli stimoli, rimette tutto in discussione, per farci appassionare allo spirito che ci circonda. Che per qualche attimo sembra evadere quell’esistenza sotterranea ed esplodere prepotentemente, fino a coprire tutto ciò che c’è al di fuori dello spazio di un concerto. Tra le mura di una sala del Museo Diocesano, in un sabato in cui la cultura diviene la dimensione in cui lasciarsi andare, almeno per qualche istante.
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