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La memoria storica di Peppino Impastato conservata da suo fratello Giovanni al Ghigno di Molfetta
Giovanni Impastato
19 gennaio 2019

 MOLFETTA - L’unione tra bellezza e lotta di classe ha fatto sì che il ricordo di Peppino Impastato non andasse perduto, ma diffuso. Da fratello di Peppino e da autore de “Oltre i cento passi”, Giovanni Impastato ha dato il via alla stagione invernale della libreria “Il Ghigno” di Molfetta, dove a moderare l’incontro c’è stato il prof. Raffaele Tatulli (già collaboratore di “Quindici”), impegnato per l’educazione alla legalità nella la scuola presso cui insegna, introdotto dalla prof.ssa Isa de Marco.

Il dovere di preservare la memoria storica di Peppino e di chi, come lui, ha versato il proprio sangue nella speranza di un futuro migliore, ha portato Impastato a trasmettere ai presenti un clima di positività. Pur senza dimenticare che la mafia ha ucciso servitori dello Stato che lo Stato stesso non è stato in grado di proteggere, l’autore ha mostrato fiducia nei risultati ottenuti in Italia dal punto di vista legislativo, come per esempio la legge 109 che prevede la confisca dei beni appartenenti alla mafia. 

«Non mi ritengo ipocrita quando dico che bisogna continuare a sperare. La morte di mio fratello mi ha recato tante sofferenze, ma mi ha anche portato a crescere e a conoscere persone che mi hanno cambiato la vita».

È con questi racconti che Giovanni Impastato ha voluto dire ai giovani che, come sosteneva Giovanni Falcone, “Ogni storia, come ha avuto un suo inizio, avrà anche una sua fine” e che credere di poter cambiare la realtà è ancora possibile. Specie, poi, se si tratta di una realtà molto più vicina di quel che si creda, come nel caso della mafia, che è per definizione un’organizzazione anti-Stato, ma che, trovandosi nel cuore di esso, di anti-Stato non ha proprio nulla. Lo porta ad esprimersi in questi termini la nuova borghesia mafiosa, quella che sta suscitando scandalo nelle radio e nei telegiornali degli ultimi giorni con le notizie che riguardano magistrati, insegnanti, funzionari pubblici, politici, imprenditori coinvolti in azioni illegali. La nuova mafia è quella che non ha bisogno di sparare perché il colpo più potente lo possiede già nella corruzione; è quella che ha il controllo internazionale sui territori non solo economicamente ma anche ideologicamente.

«Quando io e Peppino eravamo piccoli la mafia ci veniva presentata come un codice d’onore, come un’alternativa ai vuoti dello Stato».

La morte dello zio Cesare Manzella è stata anche la morte dell’infanzia e della conseguente ingenuità: Impastato ricorda come, gradualmente, Peppino avesse acquisito una coscienza critica ma anche politica, di stampo marxista, nei confronti della mafia, dicendo che “Se questa è mafia, io per tutta la vita mi batterò contro”.

Furono queste parole, miste alla sua determinazione, a farlo ripudiare dal padre, coinvolto nel circolo mafioso, anche se non in prima linea, che lo caccio di casa contro il volere di sua moglie.

È proprio su di lei che l’autore non ha potuto fare a meno di soffermarsi: moglie di un mafioso, madre di un militante battutosi contro la criminalità organizzata, ha sempre portato rispetto per suo marito, schierandosi tuttavia non con la mafia, ma con la giustizia. 

Come dovremmo fare un po’ tutti, soprattutto i giovani, ai quali assieme alla memoria storica va trasmessa la vera definizione di legalità.

«È giusto rispettare la legge, ma non è giusto subirla. È giusto pagare le tasse, ma non è giusto attendere molte ore in ospedale per una visita urgente. La legalità va accompagnata da tre aggettivi: democratica, costituzionale e antifascista. Già Pier Paolo Pasolini, del resto, aveva capito quanto fondamentale fosse chiudere i conti con il fascismo. Perché la legalità non è mero ossequio alle leggi, ma rispetto per la dignità umana».

La dignità che non è negata a Peppino, nonostante lo stampo culturale prevalentemente ateo e comunista, neanche dal mondo cattolico, dal quale un omaggio arriva proprio dall’Azione Cattolica di Cinisi con una veglia di preghiera in suo onore. 

«È giusto avere le proprie idee, ma bisogna cooperare anche con le idee diverse dalle proprie per cambiare il mondo» ha ribadito l’autore.

Un mondo in cui basterebbe che ognuno facesse i propri cento passi, senza attendere quelli altrui, per agire senza timore contro ciò che lo opprime. Senza prescindere mai da un’analisi precisa e chiara della società civile e da uno studio approfondito dei concetti chiave per la comprensione della dinamiche storiche. Si può cambiare solo ciò che si capisce. 

© Riproduzione riservata

 

Sara Fiumefreddo

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