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La famiglia Muti e Molfetta una storia speciale. Parla Giorgio, fratello di Riccardo: questa città per noi resterà sempre un mito L'intervista
15 giugno 2014

Nella famiglia Muti abbiamo tutti il mito di Molfetta. I suoi profumi, i suoi sapori, le sue strade. Non c’è anno che non venga qui in “pellegrinaggio”. Ieri sera in macchina, ho battuto tutte le stradine che si diramano dal Garden Hotel, sperando di intercettare quelle che percorrevamo io e il mio gemello Giovanni, quando da bimbi andavamo in campagna dal nonno. Questa città per noi ha il profumo dell’infanzia, della spensieratezza di quegli anni, della magia della fanciullezza. E’ per questo che è e resta speciale e ha un significato particolare, forse per me, più profondo di quello che ha Napoli. Giorgio Muti è un distinto signore sulla sessantina dai modi affabili e gentili. Ingegnere dell’Enel in pensione, una passione per le immersioni subacquee e il mare, lui e il suo gemello sono gli ultimi dei fratelli del Maestro Riccardo Muti, gli unici a essere nati a Molfetta. Quando gli è arrivato l’invito dell’amico Cosimo Morrelli e quindi si è presentata nuovamente la possibilità di rincontrare i suoi vecchi compagni di scuola non ci ha pensato due volte: “perché tornare nella città in cui sei nato e cresciuto, rivedere gli amici con i quali hai diviso i primi momenti di gioco è sempre speciale. Rivedere una strada, un quartiere, un persona del passato ti permette di riviverne almeno un pezzettino”. E così la città per l’ingegner Giorgio è una sorta di mappa emozionale, alle cui strade e quartieri corrisponde una suggestione: “in fondo Molfetta non è cambiata così tanto, meno di altre città comunque. Penso a Bisceglie, che fatico a riconoscere. L’area della mia scuola elementare, Cesare Battista è praticamente identica. Posso riconoscere le case degli amici, le strade dove giocavamo. In una traversa di via Cavallotti, c’era la casa dell’amico Mastropasqua e io e il mio gemello Giovanni trasformavamo sempre il suo portone in una grande porta da calcio. Qualche isolato più in là invece c’è il seminario regionale. Ora quell’area è un po’ cambiata rispetto al passato ma comunque quel luogo è pieno di ricordi. Il suo rettore era Corrado Ursi, che papà conosceva molto bene in quanto medico del seminario. Fu lui a battezzarmi e anni dopo lo ritroveremo a Napoli, dove nel frattempo tutta la nostra famiglia si era trasferita: Ursi infatti, era diventato cardinale e arcivescovo della città”. Il seminario, la scuola elementare e la villa comunale, teatro di giochi e svago e poi il “quartiere dei Muti”, quello di Piazza Paradiso, via Annunziata e Vico Crocifisso, segnato dalla musica: «abitavamo in una casa vicino a piazza Paradiso. Ricordo il periodo di Pasqua e la melodia delle marce funebri che ci svegliava di buon’ora la mattina, segno dell’arrivo delle processioni, un momento magico! E poi ricordo nostro fratello Riccardo che iniziava a suonare proprio in quegli anni, siamo all’inizio dei Cinquanta, il violino. Faceva certi “romuracci”!». Giorgio sorride, visto che oggi il ragazzino di quei suoni ancora striduli e indefiniti è considerato uno dei più importanti maestri d’orchestra del pianeta: “in realtà a casa tutti abbiamo iniziato a studiare musica. Faceva parte della cultura umanistica che ci veniva impartita. Riccardo iniziò a studiare così, non di certo per diventare una star internazionale. Il resto è venuto dopo, anche per l’impegno e i sacrifici che Riccardo ha portato avanti. Mentre cresceva, diventava sempre più impegnato, anche perché seguiva le lezioni al conservatorio di Bari. Lo ricordo andare via la mattina presto e rientrare a casa dopo le 20, tuttavia ricordo anche molti momenti di gioco passati insieme. Forse per via dell’età, ha trascorso più tempo con me e Giovanni che non con gli altri due fratelli maggiori”. La fanciullezza di Giorgio, i primi divertimenti, la magia della campagna molfettese e dei suoi sentieri “splendidi e unici” che “io e Giovanni percorrevamo per andare a trovare nonno in campagna”, la Villa comunale, il mare e il rapporto mitico coi sapori della città: “ricordo quei grandi panini imbottiti di tonno a Pasqua o il calzone molfettese con il pesce e la cipolla. Sono per me i sapori di quegli anni spensierati”. Poi arriva il momento di lasciare la città: “papà e mamma di sposarono nel 1935 con la promessa che i figli, almeno i primi, sarebbero nati a Napoli ma cresciuti a Molfetta, comunque sino a una certa età. Arrivati al momento dell’università saremmo dovuti tornare tutti a Napoli, una città prestigiosa, importante, una ex capitale. Io e Giovanni avevamo finito di frequentare la seconda media mentre Riccardo aveva 17 anni”. Ma il cordone ombelicale con la città di Gaetano Salvemini non è mai stato reciso: “più che un addio è stato un arrivederci. Gli anni successivi, quando Riccardo completato gli studi è diventato chi sappiamo e si è trasferito a Ravenna, abbiamo organizzato molte volte dei grandi pullman pieni di parenti e amici. Venivamo a Molfetta per seguire le processioni pasquali che qui sono davvero magiche. Io e Giovanni partivamo da Napoli, mentre Riccardo e i suoi amici da Ravenna. Dopo un po’ la gente iniziava a riconoscerlo e quando ci incrociavamo con la banda della città si verificavano sempre scenette surreali e divertentissime”. La storia successiva vedrà per Giorgio una prestigiosa carriera da ingegnere dell’Eni e per il fratello Riccardo successi internazionali raccolti sui più prestigiosi palchi del pianeta: “ora dopo anni di frenesia, io e Riccardo riusciamo a vederci di più. Anche se lui fa ancora la spola con Chicago dove è direttore della Symphony Orchestra, spesso è a Roma dove lavora al Teatro dell’Opera. Insieme andiamo a mangiare dell’ottimo pesce a Fiumicino e passiamo del buon tempo insieme. Soprattutto adesso posso finalmente assistere alle prove dell’orchestra e per me è sempre un’ emozione unica. Un po’ come tornare a Molfetta!”. Perché certi ricordi avranno sempre il profumo dei sogni.

Autore: Onofrio Bellifemine
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