La debacle di Azzollini: dal potere assoluto alla polvere
Se c’è un grande sconfitto in queste elezioni amministrative è l’ex sindaco sen. Antonio Azzollini, non solo perché ha visto bocciato il suo uomo Ninnì Camporeale, ma perché la città ha votato contro di lui. Una debacle totale, una parabola discendente: dal potere alla polvere. L’uomo che aveva mutuato da Berlusconi un sistema di potere padronale, fino al punto da non concedere deleghe ai suoi assessori e gestire tutto lui nel week- end, mentre per il resto della settimana Molfetta era abbandonata a se stessa, ha ricevuto un sonoro schiaffo dai cittadini. E’ stato un NO fragoroso che è risuonato perfino nelle vie della città, durante il corteo successivo allo spoglio delle schede che ha proclamato Paola Natalicchio sindaco della città, con una vittoria travolgente che ha messo ko il senatore. Paola Natalicchio ha rimontato ben 14 punti prima e ha superato di quasi 10 punti al ballottaggio il suo avversario Camporeale che ha perso anche altre centinaia di voti, se si considera che su di lui c’è stata anche la convergenza di quasi 2.000 voti di Pino Amato. Insomma Paola Davide, ha travolto Azzollini (Ninnì) Golia. Nelle stesse ore la Corte Costituzionale ha bocciato la norma che consentiva la possibilità della detenzione contemporanea delle cariche di sindaco e parlamentare. In pratica, Azzollini ha gestito una delle due cariche abusivamente e con arroganza, non volendo rinunciare a nessuna fetta di potere. Ora la città glielo ha tolto tutto. Se si dovesse andare domani alle elezioni politiche, il riconfermato senatore solo grazie al porcellum, verrebbe sonoramente sconfitto. Una gestione, quella di Azzollini che è stata caratterizzata da scandali, con arresti eccellenti, fra cui quello del responsabile dell’Ufficio territorio del Comune, l’ing. Rocco Altomare, un uomo fortemente voluto da lui e sul quale la magistratura sta ancora indagando, dopo sei mesi di detenzione e rilascio solo per la scadenza dei termini. Lo scempio del territorio, il degrado della città, l’infima qualità della classe dirigente, la follia e gli sprechi economici del nuovo porto commerciale (la società porto andrebbe liquidata subito e andrebbero trasmessi alla Corte dei Conti l’elenco delle spese improprie), la gestione sbagliata del denaro pubblico, con sprechi e risarcimenti milionari per gli errori commessi, la mancanza di democrazia, l’arroganza verso i mezzi di informazione (tranne quelli amici che controllava direttamente gratificandoli economicamente con commesse pubblicitarie e non, o attraverso suoi uomini che presiedono altri fogli cittadini, occultamente schierati con il centrodestra, mentre dichiarano un’ipocrita indipendenza, ormai smascherata), l’insofferenza verso ogni forma di dialogo. La gestione, insomma, padronale della città, ha fatto proclamare la data del 10 giugno 2013 come quella della celebrazione della liberazione di Molfetta. Non a caso lo straripante corteo di cittadini che ha percorso le vie della città, dopo la vittoria di Paola Natalicchio, scandiva in coro: MOLFETTA LIBERA! MOLFETTA LIBERA!, un urlo liberatorio. In questi oltre 10 anni di governo la città si è sentita soffocata in una pesante cappa di piombo sotto un potere feudale di una famiglia “allargata” del vassallo di Berlusconi, con tutti i suoi valvassori e valvassini e soprattutto con i servi sempre pronti ad obbedire ciecamente agli ordini del padrone. Tutti gli altri dovevano accettare anche le briciole oppure erano esclusi. Di questo sciagurato e oscuro periodo di amministrazione, che sarà ricordato come il peggiore del dopoguerra, non rimane nulla, se non le macerie di una città da ricostruire e da ripensare, a cominciare dal territorio dove si è costruito senza criterio, senza servizi, cementificando tutto il possibile, sotto l’abile regia dell’ing. Rocco Altomare, suo uomo di fiducia. La città non ne poteva più del controllo del territorio di Azzollini, della sua violenza verbale, anche in consiglio comunale, del suo disprezzo per la democrazia, per i cittadini e i giornalisti liberi, della sua emarginazione degli ultimi e soprattutto dell’illegalità diffusa, dai fruttivendoli alla microcriminalità che in questi anni si sono moltiplicati a dismisura. Ma è il porto il suo errore più grande, che ha voluto perseguire con grande cocciutaggine, con tutti i costi che ha avuto e che avrà e con tutti i danni che ha provocato e provocherà alla città, senza alcun ritorno economico. E’ stato il suo giocattolo, per il quale ha dimenticato tutto il resto. E’ stato solo il capriccio di un uomo-bambino che non fa i conti con la realtà, dimostrando scarsa capacità di visione e gestione economico- finanziaria, non avendo una visione strategica del futuro economico complessivo. Del resto gli errori dei governi Berlusconi che gli italiani pagano ancora oggi, sono stati mutuati anche a livello locale. E lui, come presidente della commissione Bilancio del Senato è comunque corresponsabile della situazione economica nazionale, ereditata da Monti prima e da Letta ora. La città ha detto stop a tutto questo, ha detto basta a personaggi squallidi che sono passati da un partito all’altro, che sono finiti più volte sotto processo (abbiamo avuto perfino un assessore rinviato a giudizio che è rimasto, con arroganza, al suo posto). Ha detto basta a personaggi senza alcuna cultura politica e capacità di governo, la cui scarsa competenza serviva al senatore per non avere ombre. E questo è stato anche l’altro suo errore: non aver voluto far crescere una classe dirigente di centrodestra per timore che potesse sottrargli anche una minima fetta di potere, che lui non ha mai voluto delegare a nessuno, tranne al “cerchio magico della Nutella”, come “Quindici” ha definito lo stretto entourage del senatore azzurro (o meglio sarebbe dire “nero”). E questi sono stati gli anni degli insulti, delle aggressioni verbali in consiglio comunale dove l’opposizione veniva tacitata anche con violenza, come dimostrano i filmati che hanno fatto il giro d’Italia, facendo vergognare e irridere i cittadini quando andavamo fuori Molfetta. E mentre per Berlusconi gli italiani venivano etichettati come “bunga bunga”, i molfettesi con l’epiteto di “sciatavinn”. Ora siamo alla parabola discendente del senatore, che sarà senza ritorno, ammenocché il centrosinistra non commetta l’errore di resuscitarlo, come è avvenuto a Roma con Berlusconi. Ma Paola non commetterà questo errore (ha già criticato le “larghe intese”), non glielo permetterebbe il “suo” popolo, quella città e quella società civile che si è risvegliata dal torpore di questi anni per ritornare protagonista e partecipare in una Molfetta liberata dagli inganni e dal lungo oscurantismo del senatore.
Autore: Felice De Sanctis