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La cultura umanistica si mette in discussione: La Notte Nazionale del Liceo Classico a Molfetta
19 gennaio 2015

MOLFETTA - “Un Simposio con le stelle”. Il cielo come elemento d’incontro tra materie scientifiche e umanistiche. Questo il tema sviluppato venerdì sera, dalle 18 fino a mezzanotte, tra le mura del Liceo “L. Da Vinci” di Molfetta, diretto dalla prof. Margherita Bufi, che ha aperto le porte all’iniziativa “La Notte Nazionale dei Licei Classici”. Artefice dell’idea è stato il Liceo “Gulli e Pennisi” di Acireale, che ha esteso l’invito a tutte le scuole della penisola, raccogliendo consensi da Cagliari a Lecce e da Milano a Siracusa, per un totale di più di 100 scuole aderenti.

Nel Planetario del Liceo molfettese, l’astronomia ha incontrato il racconto mitologico legato all’origine delle costellazioni, nell’aula museo tra lasciti del sistema tolemaico e rivoluzione copernicana i ragazzi hanno recitato una breve scena di “Vita di Galileo” di Brecht e ancora altri ragazzi hanno guidato i visitatori nell’analisi dei primi notturni della Storia dell’Arte (da Dossi a Van Gogh) fino ad uscire nell’atrio “a riveder le stelle”, grazie alle tre postazioni offerte dalla “Società Astronomica Pugliese”.

“La Notte Nazionale dei Licei Classici”, però, non è stata solo un’attrazione per visitatori curiosi o una festa d’incontro tra ex alunni e docenti. Si è colta l’occasione per interrogarsi su quale possa essere il ripensamento della cultura classica nel mondo di oggi. Nel dibattito moderato dal prof. Emanuele Colonna, sono intervenuti il capo gabinetto del Mef, il dott. Roberto Garofoli, il sindaco Paola Natalicchio e il Rettore dell’Università degli Studi di Bari Antonio Uricchio (Nella foto: Colonna, Garofoli, Natalicchio Bufi). Sempre più ridotto è il numero degli studenti che sceglie il liceo classico in Italia; il baluardo della cultura classica, il tempio dell’antichità ha vissuto i suoi momenti d’oro in passato, quando fu posto sulla vetta tra le scuole superiori dalla riforma Gentile. È stata per anni la palestra formativa per le classi dirigenti, gli intellettuali, i poeti e i filosofi. Tutte figure di grande fascino, ma siamo sicuri che servano a salvarci dal debito pubblico, dalla crisi e che una fetta della gioventù disoccupata non sia rappresentata proprio dai giovani con maturità classica? Come la mettiamo con il mondo e la realtà che sembra scorrere inesorabile fuori dalle mura della scuola, mentre adolescenti sudano sui libri di grammatica greca e latina? È l’interrogativo più urgente che si possa imporre a chi insegna materie umanistiche. Come comparare la velocità di un calcolo matematico con la lentezza con cui si esegue una traduzione? L’accusa recita che sono solo lingue morte, un mucchio di informazioni inutili per il tempo in cui viviamo e che, soprattutto, non portano a nessuna prospettiva lavorativa in futuro.

La questione, già complicata di per sé, non ha una soluzione così semplice, ribadisce la difesa. Ossia, abolire i licei classici vorrebbe dire evitare di fare i conti con materie che riguardano certamente il passato, ma che possono diventare la chiave di lettura del presente. “Se ci si iscrive al liceo classico non è certamente per andare a lavorare dopo aver conseguito il diploma, ma per continuare a studiare e per entrare nella élite della società, di cui il Paese ha bisogno e di cui il liceo classico deve continuare ad essere la fucina”, afferma il dott. Garofoli. È vero, si insegna un modello del mondo prescientifico e premoderno, ma il lascito più grande è il metodo; “scontrarsi con la complessità della traduzione dal greco vuol dire sapersi gestire e destreggiare anche in altre situazioni di vita, che impongono continui ripensamenti anche del proprio sé professionale”, afferma il sindaco. Dunque, il greco come palestra intellettuale senza pari. Imputato assolto? Non proprio. Dopo aver rivalutato la maturazione di uno spirito critico proveniente dalla lettura e dal mettere in discussione le proprie idee, al liceo non resta altro che darsi una scrollata e indossare un vestito nuovo. “I fondamentali devono rimanere,” afferma ancora Garofoli, “ma servono anche i complementari: le lingue, una conoscenza dei meccanismi fondamentali delle nostre istituzioni e un progetto di alfabetizzazione finanziaria e digitale”.

Ed ora, ai docenti l’arduo compito di risollevare negli studenti la fiducia nel proprio futuro, ricordando che il sapere umanistico è costruzione e diffusione del senso critico e dunque, vero sale della democrazia.

© Riproduzione riservata

Autore: Marina Mongelli
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