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La Cooperativa Marinai di Molfetta nei primi mesi del 1915, in due lettere inedite a Gaetano Salvemini
15 gennaio 2005

All'inizio del l915, mentre era in corso il conflitto, scoppiato da alcuni mesi in Europa, che vedeva l'Italia ancora neutrale, la nostra marina svolgeva con qualche pericolo la sua regolare attività nelle acque dell'Adriatico e nei mari della Penisola Balcanica, dove erano solite lavorare molte barche di Molfetta. Appunto alcuni armatori di bilancelle associate all'Alleanza Mutua Cooperativa - sorta in città nel settembre 1911 e arrivata a contare quasi 3.000 soci - desiderarono anche allora mandare le proprie barche alla pesca nelle acque di Chio (o Scio) nell'Egeo, come avevano fatto negli anni passati. Perciò, il 30 gennaio 1915, fecero scrivere dal Direttore dell'Alleanza una lettera al Ministero degli Affari Esteri, a Roma, per “sapere se questo viaggio, che deve durare sino ad agosto prossimo, - si dice nell'istanza - può esplicarsi liberamente e se gl'interessi dei nostri pescatori possono essere colà validamente tutelati dalle nostre Autorità”. Il 9 febbraio seguente, fu lo stesso Ministro Sonnino (nella foto) che “si compiacque telegrafare direttamente” alla Cooperativa di Molfetta, informando che “a lettera 30 gennaio, circa pesca Scio, furono interrogate ambasciata Costantinopoli e legazione Atene: prima rispose sconsigliando, vista situazione politica; seconda rispose governo Ellenico non essere disposto assumere responsabilità alcuna, sicché spedizione avverrebbe intero rischio pericolo codesta associazione. Ciò posto debbo esprimere - scrive Sonnino - parere negativo”. Dopo questa risposta, il Direttore dell'Alleanza, prof. rag. Antonio Salvemini, per avere un valido parere su questa situazione politica nell'Oriente, che sembrava “un po' torbida”, scrisse a Gaetano Salvemini, il quale già si era interessato in passato alla Cooperativa, con lo scritto “Come si preparano gli eccidi”, apparso su “L'Unità” del 17 gennaio 1913 - poi riprodotto negli “Scritti sulla questione meridionale” (Einaudi) e in “Movimento socialista e questione meridionale” (Feltrinelli) - ed era in contatto epistolare con essa (v. alcune lettere in “Corrispondenze pugliesi” di Gaetano Salvemini, pubblicate (1989) dal Centro Studi Molfettesi con la Tipografia Mezzina). In questa lettera, inviata a Firenze l'11 febbraio con le copie della istanza e del telegramma, Antonio Salvemini (in nessuna parentela con Gaetano Salvemini) scrive anche: "E' vero che si tratta di un'isola appartenente alla Turchia e che è tenuta, o detenuta, dalla Grecia; ma questo fatto mi fa sorgere il dubbio che anche il porto bulgaro di Dede Agach, nell'Egeo, non sia tanto sicuro. Siccome pare probabile che verrà, tra qualche giorno, la conferma definitiva da parte della Società sovvenzionata dei Servizi Marittimi, per l'assunzione di 10 bilancelle destinate per lo scarico ed il carico delle merci nel porto di Dede Agach, io amerei conoscere il vostro parere al riguardo, indipendentemente dalle ragioni di convenienza che potrebbero determinare i nostri marinai ad accettare la proposta loro fatta dalla Società di Navigazione. Neanche la risposta per le bilancelle destinate a S. Giovanni di Medua è ancora venuta, di talché nessuna delle nostre bilancelle si è ancora mossa da qui e nessuna ha avuto incarichi di sorta”. Su queste due altre aspettative della Cooperativa, lo stesso Direttore in precedenza aveva scritto, l'8 febbraio, a Salvemini, che dovevano partire da Molfetta 10 barche per il porto bulgaro di Dede Agach nell'Egeo - l'odierna città greca di Alexandroupolis, vicino al confine con la Turchia Europea - al servizio della Società dei Servizi Marittimi per il trasbordo dei vapori che giungevano in quel porto. “Pare che l'inviato bulgaro Ghenadieff - scrive Antonio Salvemini - abbia accordato larghe agevolazioni alla Società di Navigazione sovvenzionata dal nostro Governo, perché questa ha potuto praticarci delle condizioni di assoluta convenienza. Si aspetta, però, il benestare definitivo”. In questa lettera, egli scrive anche che, “forse, tra qualche settimana” sarebbero partite altre 8 barche da pesca per S. Giovanni di Medua - l'odierna città albanese di Shëngjini sul Golfo del Drin - al servizio del governo montenegrino, e forse pure un bastimento di un suo congiunto (sia questa che l'altra lettera con gli allegati si conservano nell'Archivio Gaetano Salvemini, Istituto Storico della Resistenza in Toscana, Firenze). Queste concessioni alla Cooperativa di Molfetta sembra che fossero state date dopo l'assegnazione di un premio che il Ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio le aveva accordato in seguito a pubblico concorso, che “è stato come una rèclame per la nostra Società - scrive Antonio Salvemini - e “l'unica cosa buona che ci abbia dato il governo dopo tanti sacrifici”. Intanto, in attesa di qualche soluzione a queste aspettative, la Cooperativa dei Marinai provvide a raccogliere un contributo in denaro per una iniziativa di Gaetano Salvemini a favore dell'asilo infantile di Balsorano, fra Sora e Avezzano, nella Marsica colpita il 14 gennaio da un terremoto (v. "L'Unità” del 5 marzo 1915, e “Studi molfettesi”, Speciale Salvemini, n. 13-14, 2000). Alle prime notizie del disastro, Salvemini, memore della simile tragedia di Messina del dicembre 1908, in cui oltre alla perdita della moglie Maria Minervini, dei cinque figlioletti e della sorella, vide perire molte persone per la lentezza e l'insufficienza dell'opera di soccorso, partì immediatamente da Firenze per gli Abruzzi con alcuni aiuti, e si fermò a Balsorano, dove non era giunto alcun soccorso da parte delle autorità. Lì il compito dei soccorritori e la sorte degli abitanti furono resi più ardui dalle piogge torrenziali di quei giorni, durante i quali furono distribuite pure coperte, mantelli, scarpe e dei copertoni incerati che servivano a riparare dalla pioggia i senzatetto (E. Tagliacozzo, "G. Salvemini nel cinquantennio liberale”, La Nuova Italia, p. 167-8). Come ricorda lo stesso Salvemini, anche da Molfetta arrivarono sacchi di abiti e di scarpe, mentre egli stesso si era impegnato ad acquistare dei teloni a buon mercato nella città, incaricando per tramite di Giovanni Minervini (zio della moglie), il rag. Salvemini, il quale, al riguardo così gli scrive nella lettera dell'8 febbraio già citata: “In seguito a richiesta di Giovanni Minervini preparai, dico approntai, N. 6 vele di paranza che essendo triangolari ed unite due a due per la diagonale in senso inverso formano un rettangolo di m. 8x16. Quindi, dividendo in due parti uguali questo rettangolo si hanno due quadrati di m. 8x8. Siccome Minervini non mi dette l'ordine definitivo di acquisto, né me lo ha dato finora, perché attende ulteriori vostre istruzioni, le vele sono rimaste allo stato in cui si trovavano, senza alcun danno o pregiudizio morale né per il venditore né per me, avendo stabilito patti ben chiari e con tutte le riserve del caso. Perciò non vi preoccupate di questo fatto”. Nei mesi successivi, l'attività della Cooperativa subì le conseguenze dell'entrata in guerra dell'Italia, che impedì specialmente ai pugliesi il prosieguo regolare di qualsiasi lavoro sul mare. Infatti - come scrive Saverio La Sorsa in “La Puglia e la guerra mondiale”(1928, p. 39) - “la nostra marina cessò ogni attività: nei porti marcirono bastimenti e trabaccoli, che per il divieto del commercio marittimo nell'Adriatico e nello Jonio rimasero all'ancora per lunghi anni. Chi ne soffrì di più fu il ceto dei pescatori perché dovette vendere al governo italiano le sue barche e paranze, che furono adibite a sbarrare i porti per impedire l'ingresso delle navi nemiche, e sia pel divieto provvidenziale del governo, sia per mancanza di naviglio, non poté esercitare la pesca”. Pasquale Minervini (Centro Studi Molfettesi)
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