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La conoscenza in una società libera
15 marzo 2011

Nessun esergo avrebbe potuto focalizzare meglio dell’olio su tela di Manuela Centrone in copertina la tematica del volume miscellaneo “La conoscenza in una società libera”, frutto del lavoro di un’équipe composta da Marino Centrone, Vito Copertino, Rossana de Gennaro, Massimiliano Di Modugno e Giacomo Pisani (apprezzato redattore di “Quindici”). Il particolare tratto dal dipinto “In apnea”, infatti, è emblematico della condizione dell’uomo post-moderno, e, in particolar modo, dell’ex intellettuale legista, in piena crisi nel perenne tentativo di ritagliarsi un ubi consistam in un mondo alienato. Il titolo ammicca a Paul Feyerabend, uno dei punti di riferimento del volume. Uno dei maggiori pregi della fatica del gruppo, incentrata sul “tema di un seminario che un gruppo di ricercatori ha svolto nel corso del 2009-2010 nei Giardini di Avalon a Molfetta” (così recita la quarta di copertina), risiede nella costante capacità di far dialogare fi losofi a, scienza e modernità, con una lucidissima analisi della società contemporanea nei suoi risvolti stranianti. La prima sezione, “Nei giardini di Avalon”, di Marino Centrone (professore aggregato di Filosofi a della scienza presso l’Università di Bari) si distingue, oltre che per ragioni scientifi che, anche per le qualità letterarie della scrittura. Essa si confi gura come una sorta di monologo interiore, che a tratti assume la dimensione fl uviale del fl usso di coscienza; i giardini di Avalon, luogo della libera conoscenza, vengono evocati in un’aura quasi mitica. Il pensiero di Feyerabend percorre come una sorta di Leitmotiv la trama del testo (in cui non mancano anche interessanti passaggi di antropologia e la bruniana lettura del mito di Diana e Atteone); la storia della fi losofi a e della scienza si intrecciano con quella della voce monologante, in una sorta di discesa nell’inferno di corridoi e aule universitarie in cui imperano il raziofascismo e l’attitudine a deprimere gli ingegni, per plasmare servi e riproduzioni seriali del cosiddetto “gorilla ammaestrato”. All’inquietante categoria del “traghettatore lunare”, «uno che nella notte come Caronte trasporta dall’altra riva le anime dei giovani ammazzati durante il giorno nelle ore di lezione», si contrappone quella meravigliosa Narrenschiff (nave dei folli) che è il pensiero selvaggio, il solo capace di restituire dignità all’uomo. La seconda sezione, affi data a Vito Copertino (professore ordinario di Costruzioni idrauliche dell’Università della Basilicata), è incentrata sul paradigma entropico. Anche Copertino insiste sull’importanza della complessità, alla base di una nuova razionalità che non cerchi più di identifi care fi losofi a e certezza. Il concetto centrale del saggio è l’applicazione del concetto di “morte termica” all’odierna situazione mondiale. Stiamo sostanzialmente avanzando verso uno stato di massimo disordine a causa di “un incosciente spreco di risorse non rinnovabili”. La teoria economica neoclassica cela nell’apparente perfezione di un’“eleganza matematica” una totale noncuranza delle leggi della natura. La vera rivoluzione può dunque risiedere esclusivamente nell’accettazione dei limiti imposti al processo di “crescita” da quest’ultima. Nella terza sezione si alternano i contributi di tre studiosi. Rossana de Gennaro, docente di Storia e fi losofi a nei licei, incentra sulla sfi da del pensiero utopico il suo bel saggio. Il principale riferimento fi losofi co è rappresentato da Adorno, di cui la de Gennaro esamina il legame con Walter Benjamin, ponendo i due anche a confronto con Althusser. Riemergono la critica al raziofascismo e l’esaltazione della parresìa; i legami tra dominio della razionalità formale e tendenza alla perpetrazione di una società della repressione. La conclusione è all’insegna di un “pensiero dell’ospitalità”, caratterizzato da un je ne sais quoi di materno; il suo obiettivo è «dare ospitalità a ciò che dentro e fuori di noi preme per venire al mondo». Il contributo di Massimiliano Di Modugno, dottorando di ricerca presso l’Ateneo barese, si occupa di post-anarchismo, inteso come «superamento teorico dell’anarchismo » con appropriazione di concetti post-strutturalisti. Interessante è l’analisi che queste concezioni compiono del potere, di cui gli anarchici esaltano, in senso negativo, la matrice repressiva. Sulla scorta di Foucault e May, si evidenzia, invece, come il carattere giuridico-repressivo non comprenda la totalità delle modalità di estrinsecazione del potere e quanto quest’ultimo abbia struttura reticolare e i luoghi dell’oppressione siano «molteplici e interrelati». Conclude il breve, ma intenso, saggio di Giacomo Pisani, pubblicista e laureando in Filosofi a presso l’Università degli Studi di Bari, direttore di “Terre libere”. Egli indaga il concetto di alienazione nel lavoro dello scienziato contemporaneo; si tratta di uno dei punti dolenti di chi intraprende attività di ricerca nella società odierna. È ormai tramontata l’icona dello scienziato di base guidato da inveterato amore per la scienza; è necessario che l’aspirante ricercatore deprima i propri interessi e si periti di essere introdotto in gruppi di ricerca all’insegna del taylorismo. In una sorta di catena di montaggio, il lavoro dell’intellettuale e dello scienziato è parcellizzato e frammentario, in una spietata tirannide tecnocratica su cui incombe il perenne spettro del mancato fi nanziamento. Emblematica è l’assimilazione dello scienziato ai telefonisti dei call center, post-moderni schiavi di «un’attività monotona, routinaria, estenuante ». Solo facendo «della condizione umana il fulcro dell’attività di scoperta» si potrebbe, forse, riemergere da questo gorgo. La sensazione di apnea, insomma, pervade il lettore dal principio alla conclusione del volume; il cancro evocato nella prima sezione sembra corrodere l’intero consorzio umano. Forse però una via d’uscita esiste e risiede negli «eroici furori» di chi resiste alle strategie di rincretinimento seriale attuate dal pensiero dominante e persegue la conoscenza non come strumento di oppressione (il latinorum di don Abbondio), ma quale unica chance di costruzione di una società libera.

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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