Recupero Password
La città che vorrei
15 maggio 2009

Un dolce ricordo giovanile mi ha portato a guardare la mia città con occhi diversi. Non amo questo modello di vita che ci hanno imposto. Ho conosciuto i naturali sapori e profumi del mondo che ora non riconosco più; non odo più la musica del silenzio, il canto bianco dei gelsomini, a stento afferro il luccichio delle stelle e non vedo più gli occhietti neri dei cannelli sulla battigia del mare e i tuffi dei ragazzi; mi chiedo perché, mi rispondo perché non c’è più poesia. Il nostro mondo è una pattumiera. Tutti siamo lì dentro nei rifiuti organici mobili senza la possibilità di uscirne se si continuerà così. Il mio mondo, la mia città li voglio esattamente al contrario di ciò che sono. Non è impossibile, basta crederci. La città che vorrei è un luogo fisico, ma anche una possibile serie di luoghi della mente. Qualcuno li chiama ideali. La città che vorrei è un luogo ideale dove poter vivere ma soprattutto dove poter incontrare gli altri, l’altro, il nuovo: il luogo appunto della relazione e dell’essenza. Ma parlare di una città, di una città dell’idea perfetta nelle sue profferte e nella continuità del tempo è molto difficile, temo che non esistano città così o forse lo sono per alcuni periodi di tempo, tuttavia credo che ognuno di noi dovrebbe tracciare dentro di sé la sua città ideale e lavorare per costruirla, per modificare quella in cui vive in direzione di quella in cui vorrebbe vivere. La città è una creatura dell’uomo e come tale è assolutamente modificabile. Purtroppo l’evoluzione delle città sta seguendo, dal dopoguerra ad oggi, dei ritmi di evoluzione che superano di gran lunga quella dei propri cittadini e così ci svegliamo un mattino e non riconosciamo più i luoghi della nostra città; ma quel negozio di coloniali così grande dove si trovavano le cose più strane ha chiuso? – e la vecchia merceria… no? chiusa! quella panetteria e la vecchia trattoria? Insieme a tutto questo, t’accorgi che sono cambiati anche gli incroci e ci sono nuovi segnali stradali che non si capiscono poi tanto bene. Insomma, piano piano, ci si abitua ai nuovi profili, ma ciò che racconta l’anima di una città sono i suoi abitanti e come essi vivono i loro spazi. La città in cui vorrei vivere è un articolato mosaico di spazi e di persone che si compone delle parti più belle a quelle che mi è capitato di conoscere. Vorrei vivere la mia città con il piacere di viverla, vorrei vivere la sua storia senza che essa ne rappresentasse il limite, vorrei godere dei suoi servizi senza sentire l’umiliazione di chiedere; vorrei una scuola dove i bambini e giovani fossero felici, vorrei che gli anziani e i disabili, malgrado le ingiurie del tempo e della vita fossero sereni e protetti nel loro ultimo tratto di strada, vorrei non desiderare di andarmene da questa città che è la mia città, Molfetta, e trovare dolce viverla ogni giorno della mia vita. Molfetta. La guardo e vedo una città nobile che ha fatto di questa sua ricchezza un terribile scempio, indossando la sua stessa presunzione come una veste che vuol coprire il brutto ma che finisce col nascondere anche il bello, una città trasparente. Molfetta è una città che respinge e allontana i cittadini che hanno idee, conoscenze, competenze e passione particolari: per questi la città è diventata un bel luogo in cui abitare, ma non una comunità in cui vivere e realizzarsi. Vorrei una città che, oltre che spingere i propri cittadini a formarsi fuori dalle sue mura, li inviti anche a ritornare e a condividere con gli altri le loro nuove conoscenze, per metterle a frutto. Vorrei una città dove le politiche per i giovani promuovano percorsi di crescita per cittadini attivi, solidali e dotati di senso critico, e che questo avvenga coinvolgendo le famiglie, le scuole, le parrocchie e i servizi, senza privilegiare solo chi fa scelte “comode” e “allineate”. Vorrei una città che abbia cura per i propri quartieri, soprattutto quelli in movimento e in trasformazione, sostenendone il senso di comunità, dove questo resiste, e promovendo gli spazi e le opportunità di incontro dove esso non esiste. Vorrei che i giovani non fossero visti solo come disagio, ma anche come risorsa valorizzati per le loro potenzialità. Vorrei che la figura del Sindaco venisse ricordato nei tempi futuri per le felici intuizioni che potrebbero avere, sia nel Sociale che nell’Urbanistica, che non possano dimenticare che una città vivibile necessita, oltre che di palazzi e di sedi di aggregazione, o di uffici, anche di spazi aperti, di piazze, di verde pubblico, di marciapiedi dove poter passeggiare e strade dove poter circolare senza rischi di infortuni più o meno gravi. Penso anche ad una politica che aiuti le giovani coppie all’acquisto di una casa, che preveda la creazione di più asili comunali; che quindi ripensi e crei tutto ciò che serve per sostenere una migliore qualità di vita dei giovani. Vorrei un teatro che dia la possibilità ai cittadini di sentirsi orgogliosi di appartenere alla comunità molfettese, lo voglio pieno di spettatori, pieno di idee che possano aiutare a vivere con più intelligenza, libertà, rispetto e ancor più con amore e che il buongiorno di ognuno sia veramente buongiorno. Utopia! – diranno in molti. Certo, ma se non si comincia dagli ideali, da dove si parte?

Autore: Felice Altamura
Nominativo  
Email  
Messaggio  
Non verranno pubblicati commenti che:
  • Contengono offese di qualunque tipo
  • Sono contrari alle norme imperative dell’ordine pubblico e del buon costume
  • Contengono affermazioni non provate e/o non provabili e pertanto inattendibili
  • Contengono messaggi non pertinenti all’articolo al quale si riferiscono
  • Contengono messaggi pubblicitari
""
Quindici OnLine - Tutti i diritti riservati. Copyright © 1997 - 2025
Editore Associazione Culturale "Via Piazza" - Viale Pio XI, 11/A5 - 70056 Molfetta (BA) - P.IVA 04710470727 - ISSN 2612-758X
powered by PC Planet