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L’uomo dello spirito pellegrina per sentieri di luce
15 ottobre 2021

Dante vede. È dell’artista vedere. Vedere la luce dentro di sé, che si fa immagine e prende i segni della parola, della forma, del colore. Per Dante, la porta dell’Inferno ha “parole di colore oscuro”, come tutte le porte, quando non sono spalancate. Le porte chiuse fanno parte dell’immaginario non lontano dal vero e invitano l’uomo onesto a lasciare ogni scalino diplomatico: “ogni viltà convien qui sia morta”. Il Sommo Poeta, che confronta la luminosità del suo spirito con l’oscurità di una porta, rivive il “come sa di sal lo salire e lo scender l’altrui scale”. Quel bussare alla porta e “tu vedrai le genti dolorose c’hanno perduto il ben de l’intelletto”. È il Dante respinto; l’esiliato non accetto; l’uomo errante, con la tragedia delle porte chiuse. La tristezza del Poeta è grande. È pesante, come porte bronzee, che riflettono bagliori di luce materiale e chiudono gli spiragli alla luce. La luce dantesca è la luce del Paradiso. Pura trasparenza. Luminosità, in movimento. Porta e dimora per l’uomo in cammino. Meta agognata, dove c’è musica, danza, gaudio di visione. Dante distingue la porta terrestre da quella celeste. La prima è oscura e impedisce l’accesso. L’ingresso è serrato da coloro che hanno perso “il ben de l’intelletto”. La seconda è fatta da uno scintillio di tremule tessere d’oro, come si avverte nei mosaici. Si entra con il prezzo della provata libertà di spirito. Si accede per consonanza di luce, per quel segreto e struggente desiderio d’incontrare il cielo stellato, figurato nel cosiddetto Mausoleo di Galla Placidia. Qui la croce domina. È tutta d’oro. Preziosa. Non per la vile materia, ma a motivo dello splendore della luce. La luce cui anela ogni uomo. La luce escatologica della vittoria finale, la luce eterna, la cui natura è trionfo sulla città terrestre. Luce e tenebre. Sostanza luce e sostanza materia. Due entità che paiono opporsi ma che, al contrario, cantano reciprocamente il fulgore e la sua assenza, il gaudio e il dolore, la vita e la morte, l’eterno e la caducità, la monetazione dello spirito e lo struggimento della materia. La porta materiale, se non brilla di luce, racchiude “genti dolorose”, prive di speranza. La materia, animandosi di luce, raccoglie frammenti di bellezza e si fa opera d’arte. Le ante luminose si aprono all’interno della città celeste e accolgono solo uomini di luce – luce d’intelletto e d’amore – che mostrano i colori della luce. I colori, che sono la luce in sofferenza. Per l’umanesimo medioevale, la riflessione è naturalmente di carattere teologico. La liturgia umana si risolve in pensiero di Dio e in sospiro dell’animo. Il poeta e il cristiano non sono divisibili nell’uomo; formano, l’uno e l’altro insieme, la sinfonia musicale del vedere, dell’immaginare, del “visibile parlare”. Perché? Per il cristiano, la vera porta d’ingresso al vero gaudio esistenziale, alla luce creativa è lo stesso Signore. Il Signore della luce è il Verbum Dei, la Parola. “La Luce venne nel mondo” (Gv l). La Parola ha preso vita nella carne, non è rimasta suono creativo. E ora, la Immagine ha rivelato agli uomini il Padre, svelando la natura di luce e di amore. Cristo, il Signore, costituisce la porta d’ingresso al regno dell’eterna luminosità. Mentre l’uomo legato esclusivamente alla materia disegna porte per la sofferenza, senza meta e senza fine; l’uomo dello spirito, pellegrina per sentieri di luce. Dante ha presente le porte auree delle chiese e il loro simbolismo liturgico. Egli vede la porta d’oro, e pensa ai momenti della liturgia, quando si aprono le ante e appare la visione abbagliante del catino absidale, del sancta sanctorum, tra melodie vocali, incenso, tessuti preziosi, candele accese che movimentano il mosaico. La porta d’oro introduce al di sopra dei cieli, è presente e agisce. Le figure del catino absidale perdono allora il plasticismo pittorico, che esalta la materia, e tendono al linearismo. Con il segno, le figure si scompongono, si verticalizzano, tendono come ceri verso l’alto, aneliti di fiammelle nell’immensità di uno sfondo luminoso. Il Medioevo conserva l’eredità del Tardo Antico e pensa all’abside semicircolare in termini di raccoglitore di luce. La conca, perché paradiso, è nell’edificio il vertice della tensione luminosa: non solo finestre per illuminare e mosaici per risplendere; ma, il punto terminale per colui che varca la soglia della nave. L’occhio corre verso il cielo sulla terra; guarda con stupore e meraviglia. Il cristiano si colpisce il petto: Domine miserere; ascolta la parola purificatrice; in processione si accosta alla soglia della porta d’oro e lì riceve il nutrimento, quale garanzia della partecipazione al banchetto eterno. Segni e immagini. Liturgia celeste anticipata. Parola che libera. Immagine creduta e amata. Luce. Porta che non è barriera. Cammino dello spirito, purificato dal dolore. Il dolore di Dante è quello dell’uomo, naturaliter poeta della luce. Privo di essa, l’uomo perde il ben dell’intelletto e con esso l’arte, il mondo della libertà per sé e per gli altri. Il dolore della sorda materia segna le orme della sofferenza umana, che invoca il colore. La liberazione si chiama luce. La luce, che ogni artista cerca, perché è nel suo ideale l’icona della croce gemmata, sospesa nell’infinito gaudio della partecipazione.

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