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L'iniziativa dell'Ispettore Arcella Ciclo di co ferenze e scritti sulla scuola nel 1909-1910
15 maggio 2013

Trasferito nel marzo del 1908 (v. “Corriere delle Puglie” (=CdP) del 23) da Vallo della Lucania (Salerno) a Barletta, dove il 4 maggio commemorò Edmondo De Amicis per il Gruppo Magistrale, confermando “brillantemente la sua fama di erudito conferenziere” (CdP, 6 maggio 1908), il Regio Ispettore scolastico prof. Gennaro Arcella, che - m’informa l’amico prof. Marco I. de Santis - il 24 febbraio 1915 fu promosso 1° Ispettore scolastico di 2ª classe dal Ministro dell’Istruzione Pasquale Grippo (come dalla “Gazzetta Ufficiale” del Regno d’Italia), prese l’iniziativa di tenere nelle città del Circondario un ciclo di conferenze didattiche – pedagogiche per gli insegnanti delle scuole elementari. Nel corso dell’a.s. 1908 – 1909 tale ciclo iniziò anche a Molfetta, dove il 17 marzo 1909, dopo un “suo dotto discorso” sulla importanza di queste conferenze – riferisce Vesevo (l’ins. Giuseppe Poli), Conferenza scolastica a Molfetta, in CdP del 21 seguente – parlò, davanti a 70 insegnanti, il Direttore Didattico Saverio de Candia, sul tema: Cause che influiscono a scemare il profitto nelle scuole elementari. Il Direttore de Candia: Sulle cause avverse al profitto scolastico… Nel discutere su questo tema, “l’oratore – scrive Vesevo – disse che il profitto nelle scuole elementari era avversato da tre cause principali: 1. da quelle di indole economica, 2. da quelle legislative, e 3. da quelle didattiche – morali”. Circa la prima causa, dice il de Candia, “il miserrimo stato economico delle provincie meridionali è l’insormontabile ed il principale impedimento a chè l’insegnamento abbia quel fine cui aspira”. Così, “il povero operaio, astretto alla diuturna lotta per l’esistenza e spesso alle prese con la fame, fa rispondere all’insegnate, che gli richiede il figliuolo a scuola – dice il de Candia – con la giustificazione”, di averlo tenuto a casa, “perché ne ho bisogno pel mio lavoro”. Tutto ciò faceva perdurare il grave flagello dell’analfabetismo, rendeva “un dileggio per la legge sull’obbligo della istruzione e un danno e un disprezzo alla dignità del maestro. E se i figliuoli del misero operaio che frequentavano le scuole erano in parte deficienti, la causa era sempre l’economica, perché il fanciullo male nutrito e peggio vestito, sfinito di forza fisica, non baderà ad istruirsi, dice il de Candia, perché non ne avrà forza”. Parlando poi sulla legislazione scolastica italiana, egli “addimostrò – scrive sempre Vesevo – che le molte leggi succedutesi e le molte circolari fossilizzavano la scuola in un regolamento generale che non tenendo presente le diversità climatiche, sociali ed in ispecie quelle economiche tra provincia e provincia, pretende che l’insegnamento sia sempre quello che si vuole. E ciò è grave, non potendo disgiungersi il profitto scolastico da quello economico. Ci pensino i Ministri del Re a migliorare il grave problema economico – dice il de Candia – e solo in tal caso si vedrà migliorata la istruzione”. E parlando di questa, come era diffusa all’estero, egli illustrò gli scritti sull’argomento del compianto pedagogista concittadino Girolamo Nisio (su cui v. “Quindici”, novembre 2012, pp. 22 – 23). Nel discutere infine sulle cause didattiche – morali che contribuivano a scemare il profitto scolastico, egli “addimostrò” come “una società ibridamente scettica, senza buoni sentimenti, alle prese con un lavoro ingrato, i genitori non curanti dei buoni costumi dei loro figliuoli e la strada, che corrompeva i costumi, sono coefficienti, contro la scuola, che rendono sterili i suoi sforzi”. … e Sulla questione della scuola popolare Qualche mese dopo la sua conferenza, il Direttore de Candia, che era anche presidente della Sezione Magistrale di Molfetta, tornò sullo stesso argomento quando il Presidente della Federazione Magistrale di Bari inviò alle rispettive Sezioni della provincia un questionario, “dove fra le prime cose si domandava se l’autorità comunale aveva fatto il riscontro fra gli obbligati e frequentanti alla scuola, e se si provvedeva all’applicazione delle ammende”, che andavano da Cent. 50 a L. 10, (come dal manifesto del Comune di Molfetta dell’ottobre 1908, riprodotto in Storia della Scuola “A. Manzoni”, Molfetta 2012, p. 87). A tale domanda “m’è venuta in mente – dice il de Candia – questa sentenza: La questione della scuola popolare è questione di denaro”, e così ne scrisse sul “CdP” del 19 giugno 1909. “Ma se in molti o in quasi tutti i Comuni della Provincia, per non dire dell’Italia, e specialmente dell’Italia meridionale, non vi sono posti sufficienti per gli alunni che spontaneamente, al principio dell’anno scolastico, si presentano a scuola; talché si è costretti di rimandarne alcuni a casa, come poi si vorrebbe obbligare questi Comuni a fare i riscontri? E quando i Comuni avranno riscontrato che cento, duecento, mille fanciulli non hanno adempito all’obbligo che loro viene dalla legge, dove si allogheranno questi fanciulli, se mancano locali, suppellettili e maestri all’uopo? E le suppellettili, i locali, i maestri mancano appunto, perché mancano i danari; giacché le spese che i Comuni sostengono per mantenere le scuole attuali hanno toccato il limite massimo, né essi potrebbero sostenerne delle nuove. D’altra parte come si potrebbero obbligare alcuni genitori a mandare i loro figli alla scuola, quando essi sono nella dura necessità di adibirli a qualche opera che torni di utilità alla famiglia? E questa è pure una questione economica, cioè di denaro”. E tale essendo ancora la questione nel 1911, quando il Provveditore agli studi di Bari gli disse “che se tutti i bambini venissero a scuola, dovrei respingere la metà perché le scuole non basterebbero e devo ogni principio d’anno lasciare che molti sieno respinti”, Salvemini commentò: “altro che stabilire nelle leggi le multe ai genitori che non mandano i figli a scuola” (v. La legge Daneo – Credaro per le scuole elementari, in G. Salvemini, Scritti sulla questione meridionale, Einaudi, Torino 1955, p. 448). Dice ancora il de Candia nel proseguo del suo articolo: “Sapete perché i popoli dell’Italia settentrionale danno un minor numero di analfabeti? Perché le condizioni economiche di quelle popolazioni sono migliori delle nostre del Mezzogiorno: ed essendo migliori le condizioni economiche di quelle popolazioni, esse sentono maggiormente il bisogno dell’istruzione: la qual cosa non sentono le popolazioni nostre. Infine, come si può pretendere che le nostre scuole dessero frutti migliori, quando i maestri sono mal compensati, e debbono lottare con le strettezze dei loro emolumenti? E però anche questa è questione essenzialmente di denaro. Tutto il resto è accademia. O per dir meglio, tutte le questioni che riguardano il migliore ordinamento della scuola e la più esatta applicazione delle leggi, non hanno senso, sino a che non è risoluta la questione finanziaria”. Le conferenze del maestro Gioacchino D’Erasmo… Dopo quella del Direttore de Candia, “il ciclo delle conferenze raccomandateci dall’Ispettore Arcella”, che avevano “il saggio, quanto pratico intendimento, di metterci d’accordo sul buon andamento e sul progresso delle nostre scuole, escludendo del tutto l’accademia” – scrive l’ins. Gioacchino D’Erasmo – continuarono con la trattazione di questi su La Composizione nelle scuole elementari, che egli tenne ai suoi colleghi nei mesi successivi, nella quale parlò “del presente stato della composizione nelle nostre scuole e dei mezzi” da usarsi “per migliorare le sue non buone condizioni”. Dopo “la buona accoglienza fatta” a questa sua conferenza, egli ne tenne un’altra alla riunione degli insegnati nel novembre 1909, sul tema: Miglioriamo i nostri metodi, che veniva “ad integrare la prima, notando le imperfezioni dei singoli insegnamenti ed esponendo i modi di correggerle”. Dopo il sunto di quest’ultima, dato da Vesevo, Conferenza scolastica a Molfetta, in CdP, del 9 dicembre 1909, il D’Erasmo pubblicò i due lavori, che furono stampati dalla Tip. Conte di Molfetta nel 1910. … nella “Bibliografia” del suo alunno Giacinto Panunzio. Dei due opuscoli (consultabili in Biblioteca Comunale “G. Panunzio” di Molfetta) diede un cenno bibliografico nella “Rassegna Pugliese” del dicembre 1910, l’avv. Giacinto Panunzio (G. D’Erasmo, Miglioriamo i nostri metodi), il quale scrive a riguardo delle due conferenze dette ai colleghi dal D’Erasmo: Vi sono passati in rassegna e criticati i recenti modi con cui si pratica la Lettura, la Scrittura, la Didattica ed il metodo di insegnamento della Geografia, dell’Aritmetica e della Calligrafia. Le diverse critiche tutte giustissime ed acute si risolvono nel biasimare l’abuso dei sistemi empirici, mnemonici e meccanici che servono più a soddisfare l’egoismo ambizioso dei maestri, che l’esigenza delle scolaresche. Si propongono pure i rispettivi rimedi quasi tutti opportuni e di possibile attuazione pratica. Il D’Erasmo che insegna da 18 anni - e che tuttavia è ancor giovanissimo – porta in questo saggio tutto il frutto maturo della sua esperienza e tutta la paterna affezione alla scuola, cui egli si è ognor dedicato. I metodi nuovi che egli suggerisce, li ha tutti sperimentati prima e con effetto nella sua scuola e meritano di essere assai elogiati tanto sono semplici ed ammirevoli; cosa che io stesso – dice Panunzio (n. 1884) – diciassette anni addietro ebbi a rilevare quando lo ebbi a mio primo maestro, sui banchi della scuola elementare. Egli era quello stesso di oggi” (p.440). L’ins. Consiglia Facchini: Sulla educazione della donna Durante l’anno scolastico 1909 – 1910 un’altra delle conferenze volute dall’Ispettore Arcella fu tenuta il 18 marzo 1910 dall’ins. Maria Consiglia Facchini, sul tema: Della educazione della donna nelle presenti condizioni. Tra le propugnatrici con Rosaria Scardigno del voto alle donne (v. “Quindici” settembre 2011, p. 22 – 23) e “per l’educazione fisica” di esse, per cui, ad iniziativa di alcune signore e con l’aiuto della Associazione Femminile “Pensiero ed Azione”, si era costituita a Bari una Società Ginnastica Femminile, che aveva nome “Italia” (v. CdP, 29 marzo 1908), la Facchini nella sua conferenza, di cui diede il sunto Vesevo (Conferenza scolastica in CdP del 20 marzo 1910), fece dapprima “l’analisi fisiologica e morale della donna, fanciulla, sposa e madre. Parlò poi della famiglia presente, quale elemento primitivo della società”, e fece inoltre “con sobrietà d’idee una fedele dimostrazione della poca cura che ricevevano le fanciulle, e specie del popolo, per il loro svolgimento morale”. Tra l’altro “dimostrò che il grande affollamento di fanciulle nelle scuole elementari era un danno per la istruzione e per la educazione, imperocchè le insegnati, quantunque dotate di bontà d’animo e maternità di cuore e di pratica e copia di precetti, non potevano studiare con sicurezza le allieve”. La Facchini “addimostrò infine il vantaggio che arrecherebbero alle scolare una buona ginnastica e la refezione scolastica”, e chiuse la sua conferenza “dimostrando la negligenza delle famiglie, che non solo non badavano alla educazione delle loro figliuole, ma quanto che distruggevano per ragioni futilissime le piccole discenti della scuola”. Ancora in servizio nel 1929, la maestra Facchini è ritratta in una foto di gruppo d’insegnanti, (pubblicata con i relativi nomi da Gerardo de Marco, Un album per Molfetta, 1985, p. 158 – 159), da cui è tratto il particolare qui riprodotto.

Autore: Pasquale Minervini
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