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L'economia del clistere: le terapie e il collasso del paziente-Stato
19 aprile 2012

Il dogma tedesco instaurato anche in Italia da Monti rimane inappellabile e ci impedisce di guardare in faccia alla realtà. Nessuno ha il coraggio di alzare il velo. Guai a mettere in dubbio la misura austera e ineluttabile dei professoroni di turno.  
Si ha paura del fallimento, come della testa di Medusa, che non si può guardare in faccia per non rimanere pietrificati e si lascia che il “Clistere Monti” produca tutti i suoi effetti più nefasti: distruzione della piccola e media impresa, suicidi tra i piccoli imprenditori, commercianti e disoccupati, tracollo delle economie familiari, fame. 
Ne avevamo effettivamente bisogno? Ma siamo sicuri che la cura non sia essa stessa la vera malattia? L'Italia non morirà per il male, ma per la medicina utilizzata per curarlo. Di questa cosa, oramai, siamo convinti in tanti. Ma qual è il “male”? Soprattutto, qual è la vera diagnosi?
Fermo restando la critica e le accuse, anche le più feroci, contro tutte le cricche e tutte le caste imperanti (compresa quella locale), che tra l'altro hanno ingigantito il nostro debito, chi ha provocato la crisi dell’euro? L'Italia, la Grecia, la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda? Forse è vero l'esatto contrario.
I tedeschi hanno imposto all'Europa lo stesso modello del 1929 fatto di «tempi rapidi e crollo economico». Tutti gli Stati a rischio di fallimento (oggi più di ieri, grazie alla disastrosa politica economica imposta dai tedeschi) saranno costretti a vendere tutta l'argenteria di famiglia, pur di sopravvivere (e non è detto che ci riescano vista la spirale recessiva messa in atto) per poi ritrovarsi con le economie disastrate e il debito pubblico inalterato.
Fino a tutto l’Ottocento e anche oltre, i medici erano circondati da un’aura di superstizione e terrore. Superstizione perché solo chi aveva fatto il Classico riusciva a capire qualcosa della loro terminologia. Terrore perché, di solito, il loro intervento  terminava con la morte del paziente, indebolito da terapie come salassi, purghe e clisteri, e tenuto in un ambiente malsano: abitazioni fredde e umide, acque contaminate e latrine indecenti. In ospedale, poi, la morte certa arrivava per via delle infezioni dai batteri allora sconosciuti.
Siamo nelle stesse condizioni: la terapia di questi “economisti del clistere” poterà alla morte del paziente-Stato.
È vero, si sforzano di parlare chiaro, ma non quando si addentrano nelle spiegazioni e nei nomi degli indici ai cui livelli occorre votare una devozione religiosa e acritica. Si guarda al debito estero, al bilancio in pareggio, alla crescita del PIL, ma non c’è una valutazione della percentuale di disoccupati, di precari, di poveri che queste politiche provocano, non si preoccupano dei consumi della fascia più bassa della popolazione, della qualità dei servizi pubblici, della percentuale di soggetti cui è preclusa la possibilità oggi, ma anche domani, di produrre reddito. 
Le terapie degli “economisti del clistere” potrebbero provocare collassi e stagnazione in tutti i Paesi, dove saranno rese esecutive. Tutti gli esempi concreti dell’applicazione di questa cura portano sempre al medesimo risultato: disastro. Ma queste tasse, queste manovre di aggiustamento (ma non si sa di cosa) chi le dovrà pagare, se questi “economisti del clistere” ci ridurranno tutti sul lastrico? 
 
© Riproduzione riservata
 
Autore: Nicola Squeo
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La tesi complementare, secondo cui la guerra esercita un'azione costante sulla forma della società, pone problemi molto più controversi. Alcuni pensatori sono giunti alla conclusione che la guerra è stata una forza costruttiva nel progresso sociale e tecnologico. L'economista tedesco Werner Sombart ha sostenuto che la guerra ha favorito lo sviluppo del moderno sistema economico e quindi della società moderna: il cavaliere medioevale fu il più antico esempio di specializzazione del lavoro; la genesi di eserciti professionali sviluppò lo spirito di disciplina e lo spirito organizzativo essenziali al moderno capitalismo; i costi della guerra condussero all'espansione e allo sviluppo del credito; e le richieste di prodotti standardizzati su grande scala da parte degli eserciti moderni resero necessaria l'introduzione delle tecniche della produzione di massa nella lavorazione dei metalli e nelle industrie tessili. Il filosofo sociale americano Lewis Mumford afferma che la macchina fu diffusa dalla guerra; che l'invenzione della polvere da sparo stimolò la produzione dell'elemento fondamentale della civiltà moderna, il ferro; che lo stesso cannone, non essendo altro che una macchina primitiva dotata di una sola camera di combustione, ispirò l'invenzione del motore; che la guerra produsse l'ingegnere militare, il quale era il prototipo del direttore d'industria e qualcosa di molto diverso dal semplice artigiano del Medioevo; e che nell'esercito professionale fu elaborata la forma d'organizzazione ideale per un sistema puramente meccanico di produzione industriale. Una schiera di autori si sono occupati delle virtù militari quali si rivelano in individui, soprattutto in epoche di crisi; e alcuni, come Nietzsche, hanno sostenuto che la guerra dev'essere perciò un'esperienza nobilitante per la società nel suo complesso. Un'opinione contraria è stata proposta nel saggio di Toynbee “Study of History”, in cui pur col debito riconoscimento dell'importanza delle virtù militari, si dimostra che la guerra è stata “la causa immediata” del crollo di ogni civiltà del passato. Dopo Hiroshima e Nagasaki, gli uomini cominciarono a chiedersi se il genere umano, o almeno la civiltà quale la conoscevano, fosse in grado di sopravvivere a un'altra guerra.
Il cammino della civiltà, mentre ha intensificato la guerra a certi livelli, per esempio sul piano dei conflitti tra le nazioni, ha di fatto chiaramente abolito le sue manifestazioni ad altri livelli, per esempio all'interno dello Stato nazionale. Pochi vorranno negare che, all'interno di questa sfera, la Stato nazionale è diventato uno tra i più importanti strumenti di civiltà creati dall'uomo. La guerra non è, come ci viene detto talvolta, il prodotto dello Stato nazionale e del nazionalismo estremo. Le guerre esistevano già prima della nascita degli Stati nazionali. Alla luce di queste circostanze, la guerra moderna tra nazioni può essere considerata una regressione alla barbarie non ancora soggetta a controllo da parte delle crescenti forze civilizzatrici che hanno educato l'uomo all'interno dello Stato. Sia che si accetti che la guerra è figlia della civiltà sia che si inclini all'opposto nazione che vede la guerra un prodotto della natura umana, è chiaro che lo sviluppo che si osserva nella guerra è stato strettamente legato al processo del mutamento storico. Il progresso sociale, politico, economico e culturale dell'uomo ha risentito, nel bene e nel male dell'influenza e dell'urto del conflitto armato. Il giudizio della guerra è stato, molto spesso, il fattore decisivo nel processo del mutamento storico. Le guerre persiane salvarono l'Europa dalla tirannide asiatica. L'Impero romano fu fondato mediante la guerra, e la guerra contribuì alla sua distruzione. Guglielmo il Conquistatore, come indica il suo nome, esercitò la sua influenza sulla storia d'Inghilterra attraverso una guerra vittoriosa. In tutti i secoli la guerra fu determinante quando altri metodi di giungere a una decisione si erano rivelati impari al compito. Essa è intimamente legata all'intero processo storico. Quando hanno luogo rivoluzioni sociali o industriali, quando il potere passa da una classe economica a un'altra, quando vengono scoperte nuove tecniche dell'amministrazione o della distribuzione, la guerra ne risente immediatamente. La società migliore sarebbe quella in cui i diritti naturali dell'uomo subiscono meno interferenze. Una delle conseguenze più efficaci del pensiero razionalistico fu perciò l'ideale umanitario. Le crudeltà inflitte ai civili in tempo di guerra erano barbare violazione dei diritti dell'umanità. Ora tutto questo avviene in tempo di pace e si rispolvera il patriottismo. “Il patriottismo – disse Samuel Johnson – è l'ultimo rifugio dei ribaldi”.


Circa 2 milioni di miliardi di €uro di debiti. Qualcuno li ha pur fatti. In tanti ci hanno prestato i soldi: il popolo dei bot (quanti tra i forumisti?), i gestori dei fondi, le banche. Costoro hanno finanziato il ns debito, con un minimo di interesse, quando erano convinti che, come sistema paese, saremmo riusciti a restituirli. Adesso i ns finanziatori ci credono un po' meno e per prestarci i loro soldi ci fanno pagare un interesse più alto. Delle due l'una: fallire e non pagare il nostro debito (chi ci farà più credito nel futuro?); avviare un lungo ed oneroso processo di "rifondazione" della nostra economia, per rilanciarla e per ripagare i debiti DISTRIBUENDONE l'onere tra gli Italiani, in rapporto alla loro capacità economica. Tornare alla "liretta" significa ricreare le condizioni che hanno contribuito a generare l'enorme debito pubblico che è stato speso, in gran parte, per finanziare la ns presunta competitività. La competitività tipica di un'economia assistita abituata a scaricare i propri costi sul bilancio dello Stato evitando, in tal modo, di fare i conti con la scarsa produttività, gli scarsi investimenti tecnologici, la mancata riforma della scuola e della giustizia, la burocratizzazione di ogni cosa, la mancanza di un serio pieno energetico, ecc, ecc. Possiamo tranquillamente "mandare sulla luna" (un mesetto), coloro che sostengono che uscire dall'Euro e non pagare i debiti contratti (molti dei quali nelle mani degli italiani) possa risolvere d'un tratto i problemi di fondo della nostra società. Troppi maghi e fatucchiere si aggirano.....


E no, caro Squeo, non si tratta dell'economia o terapia del clistere, ma dell'i....... vera! Poi, come è possibile classificare "professoroni di turno" questa masnada di sadici incompetenti? Se fossero appena insegnanti della scuola dell'infanzia (lungi da me il voler offendere tale onorevole categoria di lavoratori), capirebbero che l'economia potrebbe crescere, solo ed unicamente, creando lavoro non aumentando le tasse, ma diminuendole ed eliminando (si badi bene non tagliando) la spesa pubblica. A meno non si voglia creare la possibilità di far lievitare il prezzo dell'oro e dei diamanti, dando la possibilità a qualcuno di loro, ancora con le mani pulite (ce ne sono?) di riempire i caveau delle banche, della qualcosa ne sono più che persuaso dopo aver letto su affaritaliani: ""Monti: "La crisi provoca suicidi ma abbiamo evitato il default". Per la prima volta il presidente del Consiglio affronta direttamente il tema degli italiani che si uccidono per colpa della recessione: "In Grecia ci sono stati 1725 suicidi. Questo è quello che in Italia, in condizioni molto difficili, stiamo cercando di invertire" Poi aggiunge: "Per colpa della crisi talvolta le persone si tolgono la vita. Ma senza il lavoro di questi mesi saremmo stati nel baratro del default del debito sovrano."" L'importante è il default del debito sovrano (creato da chi, dal popolo?) che potrebbe far perdere qualche privilegio a loro ed a quelli che hanno sistemato, gli altri prima muoiono e meglio è. Come dire: buttiamo il bambino con l'acqua sporca, ma salviamo la bacinella! Come faccio a non provare ribrezzo? Questi sarebbero i professoroni di turno? Ai posteri l'ardua sentenza!


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