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L'astrofisico Massimo Della Valle incontra gli studenti di Classico e Scientifico di Molfetta
"Terra! Da Cristoforo Colombo a Giordano Bruno”, il 31 gennaio, conferenza sulla ricerca di pianeti extrasolari
29 gennaio 2015
MOLFETTA -
L’astrofisico
Massimo Della Valle
, direttore dell’Osservatorio Astronomico Inaf di Capodimonte, nella nostra regione per aprire la II edizione di “PUGLIA INCONTRA L’UNIVERSO 2015 – la Scienza si racconta ai giovani”, incontrerà
sabato
,
31 gennaio
,
alle ore 11.00
, presso l’Auditorium del Seminario Regionale, gli studenti dell’IISS Liceo Classico “Leonardo da Vinci” – Liceo Scientifico “Albert Einstein” di Molfetta, guidato dalla Dirigente, prof.ssa Margherita Anna Bufi. “Terra! Da Cristoforo Colombo a Giordano Bruno”, sarà il titolo della sua conferenza. Questo grido colmo di speranza per gli antichi navigatori è tornato di attualità: un viaggio iniziato negli oceani e ora nello spazio alla ricerca di nuovi Mondi. Nel 1995, infatti, viene scoperto un pianeta orbitante intorno ad una stella simile al nostro Sole, a conferma di secoli di speculazioni sull'esistenza di altri mondi. 51 Pegasi b, il primo di una lunga lista di pianeti extrasolari in continua crescita, ha costretto gli scienziati a rivedere con occhio critico le teorie di formazione ed evoluzione del nostro sistema solare. La ricerca di pianeti extrasolari è diventata la nuova frontiera dell'astronomia. Come vengono individuati? Qual è la loro composizione? Quali strumenti e missioni spaziali sono in programma per i prossimi decenni? E, infine, sarà possibile trovare altri mondi abitabili? PUGLIA INCONTRA L’UNIVERSO 2015
,
evento organizzato dall’Osservatorio Astronomico di Acquaviva delle Fonti, The Lunar Society, Società Astronomica Pugliese e Cea Solinio di Cassano delle Murge, è una rassegna di seminari scientifici, rivolta agli studenti con l’obiettivo di promuovere e sostenere la loro aspirazione alla ricerca scientifica. Gli ospiti, personalità ed eccellenze nel campo della ricerca scientifica italiana, astrofisica in particolare, illustrano le loro esperienze professionali e i risultati delle loro ricerche. Massimo Della Valle si è laureato in Astronomia presso l’Università di Padova. Si occupa di esplosioni stellari, come le Supernovae e i Lampi Gamma, che utilizza per misurare le dimensioni dell’Universo. Nel 1998 inizia a collaborare con Saul Perlmutter, Adam Riess and Brian Schmidt vincitori del Nobel per la Fisica nel 2011. In particolare è co-autore con Saul Perlmutter del primo lavoro (pubblicato nel Gennaio del 1998) che ha suggerito l’esistenza dell’espansione accelerata dell’Universo. Nel 1989 è stato “Fellow” presso la Scuola di Studi Superiori Avanzati di Trieste (SISSA). Dal 1990 al 1994 ha lavorato in Cile presso l’Osservatorio Europeo Australe (ESO), il maggior osservatorio astronomico operante da Terra. Nel 1995 è rientrato in Italia come ricercatore presso il Dipartimento di Astronomia dell’Università di Padova. Nel 1999 è diventato Astronomo Associato presso l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri. Dal 2007 è “Dirigente di Ricerca” dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e professore presso Il Centro Internazionale di Astrofisica Relativistica (ICRANet). Nel 2008 e 2009 ha lavorato presso la “Divisione Strumenti” dell’ESO di Monaco di Baviera, sul progetto E-ELT, un telescopio di 40 m che inizierà ad operare nel 2023. Dal I Aprile 2010 è Direttore dell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte, INAF-Napoli. E’ rappresentante italiano in seno al Consiglio Scientifico dell’ International Center for Relativistic Astrophysics. Nel 2013 il Presidente Napolitano lo ha nominato Cavaliere all’Ordine del Merito della Repubblica. Ha tenuto seminari e cicli di lezioni in importanti centri internazionali per la ricerca astrofisica, come: il dipartimento di Astronomia dell’Università di Tokyo, il KAVLI Institute dell’Università di Santa Barbara in California, il KAVLI institute di Beijing, l’Hubble Space Telescope Institute di Baltimora, l’Aspen Center for Physics, in Colorado; il Niels Bohr Institute di Copenhagen, la Queen’s University in Belfast, l’Università Sophia Antipolis di Nizza, e il CBPF di Rio de Janeiro. Unisce l’impegno per gli studi scientifici con l’attività di promozione e divulgazione della cultura scientifica in Italia e all’estero. Corso Umberto I - 70056 Molfetta (BA) - Tel. 080 3971671 - Fax 080 3971726 – cell. 3459913524
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Professor Occultis
29 Gennaio 2015 alle ore 22:00:00
Le missioni delle sonde spaziali hanno definitivamente cancellato il sogno che altri pianeti del Sistema Solare possano ospitare la vita in forma intelligente. Non è però del tutto escluso che vi siano forme di vita allo stato primordiale. Supponendo che la vita, così come la conosciamo noi possa svilupparsi solo in presenza di temperature non estreme (ad esempio tra - 100°C e + 100°C), è facile verificare che solo due pianeti oltre la Terra, almeno in base alla loro distanza dal Sole, soddisfano questa condizione: Venere e Marte. Tuttavia su Venere l'effetto serra produce una temperatura al suolo superiore ai 450°C; ciò impedisce lo sviluppo di forme di vita, anche se è possibile che nella sua densa atmosfera si verifichino delle reazioni che portano alla formazione di molecole prebiotiche e non è del tutto escluso che si possano evolvere degli organismi, detti “ipertermofili”, analogamente a quelli che abitano le zone vulcaniche terrestri. Molto più complesso è il discorso per Marte. Le sonde Viking, atterrate sul pianeta negli anni settanta, portavano a bordo diversi esperimenti che dovevano indagare sul metabolismo degli eventuali organismi trovati. I risultati di tali esperimenti sono stati per alcuni versi contradittori; inizialmente essi sembravano aver dato un risultato positivo: mescolando il suolo marziano con una soluzione organica terrestre si osservò una scissione chimica, come se dei microrganismi avessero metabolizzato parte della soluzione. Anche quando vennero introdotti gas terrestri nei campioni raccolti, si vide che si produceva una reazione chimica, come se fossero stati presenti organismi in grado di compiere la fotosintesi. Successivamente, rianalizzando i dati, ci si rese conto che questi potevano essere spiegati senza coinvolgere la presenza di microrganismi viventi nel suolo marziano. Inoltre, gli esperimenti di chimica organica non hanno mostrato segnali positivi; non si sono trovate molecole organiche e neanche loro fossili. Non è stata rilevata la presenza di proteine e neppure di idrocarburi semplici, così comuni sulla Terra.
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Greatest Generations - Think Tank
29 Gennaio 2015 alle ore 19:33:00
L'esistenza di pianeti al di fuori del Sistema Solare è un argomento delicato in astronomia, sin da quando Giordano Bruno, nel XVI secolo, fu arso vivo per avere ( fra altre cose) sostenuto che l'universo contenesse un numero infinito di mondi. Oggi nessuno rischia di finire al rogo sulla pubblica piazza per aver preposto l'esistenza di pianeti extrasolari, ma questo settore di ricerca rimane controverso. A oggi, sono stati identificati oltre 70 pianeti in orbita intorno ad altre stelle, un risultato che ha suscitato grande entusiasmo nella comunità degli astronomi. La scoperta forse più interessante ed enigmatica è quella di un gruppetto di di pianeti extrasolari che non sono legati ad alcuna stella. Questi pianeti “orfani”, o indipendenti, sono fra gli oggetti più discussi mai scoperti nella ricerca di altri mondi. Il problema è che non vi è un completo accordo fra gli astronomi sul significato del termine pianeta. La maggior parte degli oggetti individuati in orbita intorno ad altre stelle ha massa inferiore a 3-4 masse di Giove, ma alcuni di essi sono molto più grandi dei pianeti giganti del Sistema Solare, avendo una massa oltre 10 volte superiore a quella di Giove. Nella ricerca di pianeti al di fuori del Sistema Solare assume grande importanza il parametro della massa. Si discute sull'identità dei corpi indipendenti inferiori a 13 volte la massa di Giove (pari alle più piccole stelle nane brune) i più piccoli corpi indipendenti finora scoperti sono cinque volte più grandi di Giove. L'assenza di corpi più piccoli può essere spiegata con i limiti delle tecnologie astronomiche, ma anche considerazioni teoriche indicano che la loro esistenza dovrebbe essere rara. D'altra parte, alcuni dei pianeti indipendenti non paiono più grandi di Giove; la loro esistenza rappresenta però una sfida alla stessa definizione di pianeta: un oggetto substellare in orbita intorno alla stella presso la quale si è formato. Molti astronomi sono riluttanti a chiamare “pianeti” questi corpi, e per il momento usano semplicemente il nome di “indipendenti”. Gruppi di astronomi hanno dato inizio alla ricerca di altri mondi agli inizi degli anni Novanta, del secolo scorso; i loro lavori hanno prodotto una serie di scoperte sorprendenti, a partire dall'individuazione del primissimo pianeta extrasolare nel 1991. Questo oggetto aveva la particolarità dim orbitare intorno a un tipo esotico di stella “morta”: una pulsar, ossia una stella di neutroni in rapida rotazione che emette potenti onde radio. Nessuno aveva previsto che le pulsar potessero avere pianeti, dato che l'esplosione di supernova che genera una stella di neutroni si supponeva dovesse annientare eventuali pianeti vicini. – “E qual sfavilla nei notturni sereni in fra le stelle Espero il più grande leggiadro astro del cielo; tale l'acuta cuspide lampeggia nella destra d'Achille che l'estremo danno in cor volge dell'illustre Ettorre” - Omero, Iliade.
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I topi non avevano nipoti
29 Gennaio 2015 alle ore 15:09:00
Se le specie avanzate sono numerose, può darsi che inviino nello spazio messaggi radio e qualche loro trasmissione potrebbe essere captata da un radiotelescopio. La prima ricerca di intelligenze extraterrestri (SETI) fu intrapresa da Frank Drake nel 1960, da allora sono state effettuate più di 30 ricerche per un totale di oltre 5000 ore di osservazione, ma fino a oggi non è stato captato alcun segnale. La prima trasmissione radio dalla Terra verso le stelle è stata effettuata nel 1974, con l'antenna parabolica da 300 m di Arecibo. In linea di principio uno strumento analogo alieno potrebbe ricevere il messaggio tra 25.000 anni. Naturalmente un'eventuale risposta ne richiederebbe altrettanti per tornare sulla Terra, cosicchè questo esperimento è da considerarsi a lunga scadenza. La ricerca è stata consistita in tentativi vani di origliare comunicazioni radio trasmesse da altre civiltà, o in segnali inviati nella speranza di stabilire un contatto con nuovi membri del club galattico. Dopo l'avvio di un progetto gestito dalla NASA nel 1992 (Microwave Observing Project) ora il SETI fa parte di un programma internazionale e centri di ricerca privati. Le distanze che l'uomo dovrà affrontare se vorrà uscire dal Sistema Solare sono tanto grandi da essere difficilmente immaginabili. Nell'ambiente scientifico molti pensano che nessun progresso tecnologico potrà mai permettere all'uomo di intraprendere viaggi interstellari. L'attuale tecnologia non è adeguata per viaggi di questo tipo. Il primo motivo che rende viaggi a queste distanze qualitativamente diversi da quelli cui siamo abituati è il fatto che esiste una sorta di limite di velocità cosmica: la velocità della luce. La teoria della relatività stabilisce che nessun oggetto materiale ma anche nessun mezzo di trasporto dell'informazione possa superare la velocità della luce. Altri studiosi pensano invece che il progresso tecnologico metterà un giorno a disposizione dell'umanità quantità di energia progressivamente crescenti rendendo possibili i viaggi interstellari. In un certo senso, l'impresa di esplorare o colonizzare le stelle è comunque già iniziata tramite l'invio delle sonde spaziali. Pioneer 10 e 11, come pure i due Voyager (tutti veicoli che hanno esplorato Giove e Saturno, e sono andati oltre), hanno superato la velocità di fuga dal Sistema Solare e sono entrati alla fine nello spazio interstellare. Pioneer 10 ha oltrepassato i pianeti conosciuti nel 1983, ma all'attuale velocità di 11 km/s, se si trovasse nella direzione giusta impiegherebbe circa 100.000 anni per raggiungere la stella più vicina.
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Navigatore Solitario
29 Gennaio 2015 alle ore 14:31:00
Contemplando il cielo viene spontaneo chiedersi se anche al di fuori del nostro pianeta, o addirittura al di fuori della nostra Galassia, ci siano altre forme di vita. L'uomo non poteva far altro che andare alla ricerca di questa vita. Il grandissimo numero di stelle della nostra Galassia, e ml'altrettanto numero di galassie presenti nell'universo, porta a pensare che, almeno in termini puramente statistici, la presenza di altre forme di vita nell'universo sia ragionevolmente possibile. Se anche le condizioni che hanno portato alla nascita e poi all'evoluzione della vita sulla Terra sono estremamente improbabili, tuttavia la vastità del cosmo gioca a favore del proliferare della vita stessa. D'altro canto, ben difficile è la possibilità di venire in contatto con tali ipotetiche forme di vita. Le distanze in gioco sono tali da far ritenere che, allo stato attuale delle conoscenze fisiche, forse non potremo mai incontrare eventuali extraterrestri. L'approccio a queste problematiche può essere effettuato secondo differenti filosofie, e ha prodotto la nascita di una nuova disciplina scientifica, l'esobiologia, che ha come oggetto di studio le condizioni che permettono la nascita della vita al di fuori della Terra. Storicamente, uno dei pionieri della ricerca di vita extraterrestre è stato l'astronomo americano Frank Drake, che all'inizio degli anni Sessanta lavorava presso il National Radio Astronomy Observatory di Green Bank, in West Virginia; Drake si dedicò allo studio della possibilità che vi fossero delle civiltà tecnologiche extraterrestri attorno a stelle vicine. La nascita della radiostronomia aveva infatti offerto un nuovo canale attraverso il quale scandagliare le immense distese di cosmo. Si poteva infatti tentare di rivelare ewventuali segnali radio le cui caratteristiche facessero pensare che fossero di origine intelligente. Noi stessi, ormai da più di un secolo, irradiamo nello spazio segnali elettromagnetici sotto forma di onde radio, e le prime trasmissioni di Guglielmo Marconi hanno ormai raggiunto stelle distanti un centinaia di anni luce.
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