Jovis Natio: successo della mostra di Mauro Germinario alla Vedetta sul Mediterraneo
Jovis natio: un titolo ch’è riverbero di mistero, e che colora di arcane mitologie la graziosa cittadina di Giovinazzo, per la bella personale del fotografo molfettese Mauro Germinario, apprezzato fotografo di Quindici. A fare da scenario la splendida specola della “Vedetta sul Mediterraneo”, un osservatorio spalancato sulla bellezza delle nostre terre, del nostro mare. Germinario è artista ben noto nel panorama molfettese (e non solo). Perito industriale, coltiva l’arte della fotografia sin dagli anni Settanta, quando ha acquistato la sua prima macchina analogica. Ha conseguito la vittoria nei concorsi “Il Balcone fiorito” e “Le città invisibili” nel 2012 e partecipato a numerose collettive. Tra le sue mostre ricordiamo “Gabbiani in libertà” (UPM, 2012); “Momenti di donna, profili di vita” (Fidapa, 2013); “Io amo la città” (Ospedaletto dei crociati, Estate molfettese 2013). Sono venti le fotografie esposte, con netta predilezione per un espressivo bianco e nero e il colore a introdurre significative note di contrasto nella bella partitura di Germinario. Protagonista la città nei suoi scenari più inconsueti e incontaminati dall’umana incuria: le sole presenze visibili sono silhouette di giovani innamorati (promessa per il futuro) e anziani numi tutelari, vessilliferi di una civiltà che s’offusca all’occaso postmoderno. Alcune fotografie attraggono maggiormente l’attenzione. Tra queste “Firmis”, d’alto valore evocativo. Lo sguardo punta sul battente di un luogo sottratto agli sguardi, quasi suggellato in una fissità atemporale. L’osservatore può percepire le porosità del legno e la ruggine che intacca gli elementi. Può meditare su quest’immagine che, metaforicamente, finisce con l’alludere a tutto ciò che resta celato agli sguardi. “Narcissum” è un sapiente divertissement mitologico. Una barca si specchia nelle acque di un mare che appare oscuro, profondo come un pozzo, pronto a inghiottire senza possibilità di ritorno qualsiasi nota di vanità, mentre in superficie s’addensa schiuma mista a olio, con effetti luministici di notevole suggestione. Il mondo dei pescatori, come nel bellissimo “Sant’Andrea” in sfondo monocromo postcaravaggesco della recente personale dedicata a Molfetta, è ancora una volta ripreso, ergendosi a metafora della vita. Un pescatore raccoglie “quel che resta” delle sue reti, proprio come, per citare Ungaretti, il “superstite lupo di mare”, dopo il naufragio, punta alla ricostruzione. Nell’immagine di un altro pescatore che ripara la sua rete, lo sguardo indugia invece, complice la luce solare, sulla trama, luminosa e perfetta come tela di ragno, che, in primo piano, assurge a protagonista della scena. In “Ottica inversa”, il fotografo ribalta la prospettiva usuale, per soffermarsi sul gioco delle chianche e per rappresentare, secondo un’angolazione inusitata, le torri campanarie della Cattedrale. In altre circostanze, egli indulge nella contemplazione di eleganti arcate o della poesia di edifici in pietra, in piazze che hanno conservato la loro fisionomia, indenni da ristrutturazioni modernizzanti. Ogni angolo ha la sua storia: a Porta Normanna si dice, secondo la tradizione, si fosse fermato addirittura il dio Giove; nella “Prospettiva minima”, fulcro della scena è il cosiddetto “vicolo della cortesia”, che invitava all’urbana usanza di cedere il passo a chi sopraggiungesse dalla direzione opposta. Nel “vicolo dei gatti”, vibrano luci rosse e blu, che tingono di surreale la città. Nel “Porto con luna”, la Casta Diva gioca a nascondino tra le torri, ma non troppo, perché, tutto sommato, vanitosa, vuol mostrarsi... E quando la sua luminescenza pallida si reduplica in quella di lanterne/piccole lune, che destano specchi di luce a fior dell’acqua, il sogno s’innalza. Perché lo sguardo d’artista scopre il Cielo e la Bellezza, quella che Winckelmann traduceva in termini di “nobile semplicità”, persino nei riflessi di una pozzanghera circondata da impoetico bitume, che diventa inattesa, poeticissima, cornice. E il microcosmo diviene specchio del mondo...
Autore: Gianni Antonio Palumbo