“Io sono… perciò protesto”
Sono disgustata e indignata nel rilevare che i disservizi sociali e le strutture “socialmente utili” sono, ancora oggi e più di ieri, il simbolo ed il gonfalone che caratterizza questa meravigliosa città (certamente lo era fino alla prima metà del '900).
Oggi… dico oggi… a.D. 2005 sono ancora costretta a dover subire lo scempio e l'affronto, non solo di disservizi comunali. Il 24 dicembre 2004 (vigilia di Natale…e posso anche capirlo), erano appena le 11.04, mi sono recata all' Ufficio Tecnico del Comune: i cancelli erano chiusi senza che nessun cartello o avviso, fosse stato doverosamente apposto in precedenza per segnalare l'anticipata chiusura.
Disorientata e sempre più innervosita, mi sono permessa di disturbare una signora, domiciliata nelle immediate vicinanze degli uffici, che mi ha consigliato di scendere le scale e tentare dall'ingresso laterale, che mi avrebbe permesso, forse, di risalire e accedere finalmente agli uffici che mi interessavano […]. Tutto questo mentre, dietro di me, altri cittadini stupiti e in sentore di pratiche in scadenza […]. In quel mentre, forse per “volere divino” hanno fatto capolino due “angeli custodi” (come amo definire i carabinieri) cui ho rivolto le mie proteste implorandoli di renderci giustizia e magari di aiutarci…tutto vano…Li ho visti ripartire diretti non so dove.
A quel punto eravamo circa in dieci e ci siamo diretti dove ci era stato consigliato dalla signora e, dalla seconda entrata vediamo uscire, “alla chetichella” con una evidente punta di vergogna e quasi nascosti dietro le loro cartelle, architetti, tecnici amministrativi…
A quel punto non ho potuto trattenere le mie grida di protesta tali che mi avranno preso per “pazza”. Una volta a casa, ho cercato il termine comune sul vocabolario: «Ente autarchico o territoriale, retto da un sindaco, eletto dal corpo elettorale, retto da un sindaco, eletto da un corpo elettorale cittadino e da una giunta nominata dallo stesso sindaco».
Avrei voluto concludere qui il mio racconto ma…[…] il giorno 16 gennaio 2005, ho dovuto attendere in stazione un treno che aveva ben tre quarti d'ora di ritardo e, si sa, al freddo il tempo sembra non passare mai. Mi sono diretta verso la sala d'attesa che però si è rivelata essere peggio di una sala colloqui carceraria dotata solo di un inutile monitor “arroccato” al soffitto: questa volta però la mia rabbia e irritazione ha trovato sfogo su di un “apposito libro”, sottopostomi da un gentile capostazione che l'avrebbe poi presentato alla ben nota società ferroviaria Trenitalia assieme alla mia proposta di installare, nella su citata sala d'attesa, panchine di ferro magari ben fissate al pavimento affinché i futuri vandali (dalle frequenti scorribande notturne) siano scoraggiati nei loro propositi […]. Grazie.
Una molfettese non residente