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Inquinamento del mare? Colpa anche del traffico marittimo: l'ing. Leo Murolo al Rotary di Molfetta
17 gennaio 2017

MOLFETTA - Sulla Terra sono presenti circa un miliardo e mezzo di metri cubi di acqua, il 97% dei quali costituito da acqua salata dei mari ed il restante 3% formato da acqua dolce sotto forma di laghi, fiumi e ghiacciaie di acque sotterranee. Abitualmente lo si considera come un bene illimitato e immune alle barbarie umane. Ma non è così, purtroppo. L’utilizzo dell’acqua del mare e lo sfruttamento delle sue risorse possono comportare seri danni se non si seguono parametri che ne garantiscono un uso sostenibile. In molti casi e fin dall’antichità, il mare è stato erroneamente considerato come un’enorme discarica in cui buttare, senza alcuna esitazione rifiuti e sporcizia di vario genere.
Oggi, le principali cause di inquinamento dei mari sono molteplici ma su di una in particolare si è soffermato l’ing. Leo Murolo (nella foto, a destra col presidente del Rotary Leo de Pinto e il segretario Maurizio Altomare) durante l’incontro organizzato dal Rotary Club di Molfetta presso l’Hotel Garden. Si tratta dell’inquinamento prodotto dalle navi e dalle operazioni marittime svolte nei cantieri e nei porti. Ad introdurre la serata, come da rito, ci ha pensato il presidente del Rotary, Leonardo de Pinto che ha presentato l’illustre relatore. Murolo è un progettista navale molfettese di fama internazionale che inizia la sua carriera professionale come marittimo, lavorando per una società leader mondiale dello shipping management. Dopo aver maturato una esperienza nel settore, in vari ruoli dirigenziali, si cimenta con successo nella progettazione ed innovazioni meccatroniche di successo, applicate al crocieristico navale.
Attivo in prima persona nei dibattiti sui problemi ambientali che affliggono il mare, il Rotary non ha avuto dubbi e si è rivolto proprio a lui per fare il punto della situazione nell'ambito della ricerca e sviluppo di tecnologia green come principale risposta al problema dell'inquinamento marino. E le risposte non hanno tardato ad arrivare. In maniera esaustiva ed estremamente puntuale, Murolo ha tracciato un quadro organico dello stato di salute delle nostre acque e benché la questione dell’avvelenamento che stanno subendo sia preoccupante – negli ultimi anni, grazie anche a stringenti leggi varate dalla Comunità Internazionale – sembra che siano stati fatti dei passi in avanti.
Ad oggi si stima che il 39% della contaminazione sia dovuta al traffico marittimo (il 60%, ai rifiuti prodotti dalle città e agli scarti industriali). Nello specifico ad incidere negativamente sul fenomeno sono l’introduzione da parte dell’uomo di sostanze chimiche in mare, lo sversamento di materiali e rifiuti solidi e l’immissione di idrocarburi. Da non sottovalutare sono anche i “killer silenziosi”, quali l’inquinamento biologico e termico. È vero – come ha spiegato Murolo – che il mare come una sorta di reazione, chiamata “effetto diluizione”cerca di smaltire gli oggetti che ci finiscono dentro attraverso un processo di deterioramento.
È vero che per arginare il problema si costruiscono oggi navi sempre più sofisticate con depuratori di ultima generazione in grado eliminare i  liquami. Ma è altrettanto vero che per smaltire un copertone di auto l’ecosistema marino impiega 1500 anni e che nonostante i progressi tecnologici che hanno interessato il settore marittimo resta ancora il problema del mancato contenimento delle sostanze chimiche che puntualmente finiscono in acqua con conseguenze disastrose.
A regolamentare il settore dal punto di vista normativo – rispetto al passato in cui la gestione legislativa era affidata ad ogni singola nazione – c’è l'Organizzazione marittima internazionale, IMO (International Maritime Organization) che è una convenzione autonoma delle Nazioni Unite incaricata di sviluppare i principi e le tecniche della navigazione marittima internazionale al fine di promuovere la progettazione e lo sviluppo del trasporto marittimo internazionale rendendolo più sicuro, ordinato e sostenibile. Di fatti – per arginare il problema dell’inquinamento biologico – l’IMO ha imposto degli accorgimenti tecnici di grande importanza come l’isolamento idraulico dei motori dal mare (raffreddati in passato nelle acque con relativo sversamento di oli e altre sostanze nocive), l’isolamento dei sistemi meccanici-endotermici, la separazione e il trattamento dei liquami attraverso l’introduzione di cariche batteriche utili a fagocitarli e il trattamento delle acque di sentine, utile a separare l’acqua dagli idrocarburi. Con tali accortezze ed altre leggi rigorose in tale direzione, l’IMO ha voluto porre delle basi solide per fare in modo che entro il 2020 – progettisti ed armatori adottino nella realizzazione della nave le ultime tecnologie green a disposizione sul mercato.
Ma Murolo ha giocato d’anticipo. Di fatti ha recentemente progettato la nave più green al mondo che non inquina e che annovera un nuovo sistema propulsivo da lui progettato,  che non danneggia i fondali marini. Questa nave è provvista di sistemi innovativi di riciclo a bordo degli scarti alimentari ed emette la stessa quantità di CO2 prodotta dal fumo di 8 pacchetti di sigarette, nell’arco delle 24 ore. Un’idea sviluppata da un’esigenza reale, ovvero la riduzione dell’impatto ambientale che i pozzi petroliferi esercitavano nella Baia di Santa Barbara in California.
Dopo l’invito nel febbraio 2016, come relatore al symposium internazionale dell’innovazione navale - presso il prestigioso Royal Institute of Naval Architecture di Londra - a giugno 2016  ha ultimato, presso i cantieri PaxOcean di Singapore, la consegna di un altro interessante progetto. Si tratta di Ulisse, una nave senza eliche che naviga grazie all’ausilio di ancore galleggianti controllate dai satelliti. Progetto pilota che sta suscitando peraltro notevoli interessi della comunità internazionale di settore. Emozionante è stato il video che Murolo ha mostrato ai presenti riguardante il varo della nave.

Alla fine della serata è stato lasciato spazio alle curiosità del pubblico.

© Riproduzione riservata

Autore: Angelica Vecchio
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Tratto e condensato da GAIA BOOK – LONDON – 1986. - Ogni anno entrano, per varie vie, nell'oceano circa 6 milioni di tonnellate di petrolio; dall'atmosfera, dalla terra, dal naturale trasudamento del fondo marino, oltre che a causa della produzione e del trasporto del petrolio via mare. La maggiore quantità (circa 2 milioni di tonnellate) proviene da terra e specialmente dalle città. Le perdite di petrolio delle navi trovano molta eco sulla stampa, ma rappresentano solo una frazione dell'inquinamento che ha origine in mare. Ancora più intenso è lo scarico di scorie in oceano aperto. Lo scarico di acque nere – di origine organica, industriale e umana - è potenzialmente pericoloso a causa della massa dei virus e batteri contenuti. In quanto alle scorie radioattive, iniziato nel 1940, e saltuariamente continuato, il pericolo è ancora maggiore. Fino al 1970 gli Stati Uniti e altri pasi affondano le scorie radioattive chiuse in contenitori che (in seguito lo si è scoperto) lasciavano filtrare il materiale. Il Mediterraneo è quasi ridotto a una fogna. Dei 100 milioni di persone che vivono lungo la costa, quasi il 50% abita in città grandi o medie e scarica in mare un carico di acque fognarie che si disperdono con difficoltà. Le zone peggiori sono quelle nei pressi di Barcellona, Marsiglia, Pireo, Napoli. Il traffico delle petroliere e le raffinerie lungo le coste libiche e tunisine aggrava il fenomeno. Oggi i mari sono un vero e proprio “pozzo nero” in cui confluiscono con continuità enormi quantità di fanghi e minerali provenienti dalla terraferma. Noi stiamo chiedendo al mare di accettare anche quantità sempre crescenti di materiali generati dall'uomo, dagli scarichi delle fognature a quelli industriali e agricoli, tutti quanti ricchi di sostanze chimiche contaminanti. Gli oceani subiscono l'impatto dei rifiuti dell'uomo sia per gli scarichi deliberati, sia per il dilavamento della terraferma. Almeno l'83% di tutto l'inquinamento marino deriva da attività di terra. Man mano che l'inquinamento aumenta, un'alta percentuale di scorie viene a depositarsi nelle acque biologicamente produttive dell'estuario e delle zone costiere. Qui i veleni entrano nelle catene alimentari marine, accumulandosi nelle specie superiori. Questo processo di “bioamplificazione” è stato evidenziato negli anni '60 in Giappone dalla malattia di Minamata, un avvelenamento di metil-mercurio dovuto al consumo di tonno con alte concentrazioni di mercurio. Le vittime note, a tutto il 1975, erano 3.500. Il dato più significativo in assoluto è che almeno l'85 per cento dell'inquinamento degli oceani deriva dalle attività umane sulla terra più che sul mare stesso, e che il 90 per cento di questi agenti inquinanti rimangono in acque costiere, che sono di gran lunga il settore biologicamente più produttivo degli oceani. L'insensata distruzione in queste zone vitali avrà serie conseguenze, non solo per il benessere dell'uomo, ma anche per tutto il regno marino.




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