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Inospitale terra promessa immigrazione come risorsa culturale
15 aprile 2012

A noi italiani il problema dell’emigrazione poco interessa. L’80% della popolazione misconosce le cause di questo fenomeno. Da anni si continua a pensare che gli stranieri abbiano invaso il nostro territorio, dimenticando, però, di salvaguardare la vita di coloro che, diversamente da noi, hanno avuto la sfortuna di nascere in Paesi martoriati dai conflitti interni. Morteza Latifi Nezami ha racchiuso nel suo libro «Inospitale terra promessa» (Edizioni La Meridiana) pezzi di vita realmente vissuti da ragazzi che, per sfuggire alle guerre e ai disagi della propria terra, hanno lasciato famiglia, lavoro, casa e dignità, in cerca di un mondo migliore. Quindici ha intervistato non solo l’autore, ma anche Reza Rashidy, coordinatore del progetto «Racconti di vita», in cui s’inserisce questo libro, e il protagonista del primo racconto del libro, il giovane Golam Najafi. Come e perché nasce questo libro? [Rashidy] «Il libro nasce per comunicare alla gente le vere storie di questi ragazzi che, a differenza di molti altri, sono riusciti a giungere a destinazione. Infatti, i mass media non trasmettono le vere sensazioni e la sofferenza che questi ragazzi, tra i 12 e il 17 anni, hanno provato nel loro viaggio per la salvezza. Giunti sulle nostre coste e ottenuto l’asilo politico, i più fortunati sono seguiti fino alla maggiore età in centri d’accoglienza, come la “Casa cultura iraniana ONLUS”, impegnata in un’attività di assistenza e di promozione dell’interculturalità. Questo progetto s’inseriscono nell’iniziativa che abbiamo intrapreso, grazie anche al contributo del Comune di Venezia, proprio per sensibilizzare l’opinione pubblica e per consapevolizzare gli italiani affinché vivano la migrazione con più serenità». [Latifi Nezami] «Un altro obiettivo del libro è quello di confrontare le situazioni di questi ragazzi bisognosi d’aiuto, che sin da piccoli sono costretti a lasciare la loro terra e a seguire un percorso difficoltoso, con il normale percorso di vita di ragazzo italiano, che mai si troverà con 11 persone in un piccolo bagno, in piedi, ad affrontare un viaggio di 36 ore senza cibo né acqua». Qual è il messaggio che vuol lasciare al lettore? [Rashidy] «Presentare una fotografia di una realtà che esiste, che noi non vediamo e che non riusciamo a vedere attraverso i media». [Latifi Nezami] «Non solo promuoviamo il confronto tra ragazzi di culture diverse, ma cerchiamo di far capire che questi ragazzi extracomunitari non sono tutti delinquenti o criminali. Un altro messaggio è rivolto al mondo della politica per porre fine alle guerre nei Paesi di questa gente disperata». Avete raccolto molte testimonianze, confrontandovi con diverse realtà, a volte anche difficili. Che tipo di accoglienza hanno ricevuto e ricevono gli immigrati in Italia? Cosa pensano degli italiani? [Rashidy] «Come ben sappiamo, molto spesso in queste circostanze intervengono gli enti locali e i servizi sociali, che tutelano i diritti degli extracomunitari e li preparano a inserirsi nella società. Il vero problema si pone quando non riescono ad arrivare ai servizi sociali e a ricevere una protezione». [Latifi Nezami] «Da un lato ci sono coloro che, più fortunati, hanno una visione positiva del mondo occidentale, dall’altro chi, vivendo nelle baracche di nascosto con la paura di essere scoperto, non la pensa allo stesso modo. Per quanto riguarda, invece, le manifestazioni di puro razzismo, penso sia soprattutto colpa dei mass media che molto spesso tendono ad aizzare questo tipo di reazioni violente. Il razzismo, la diffidenza, la paura nascono dalla mancanza di conoscenza reciproca». Golam, le prime immagini del racconto di cui sei protagonista sono molto crude e rispecchiano quello che siamo abituati a sentire e vedere in televisione. Ma esiste anche un’altra faccia dell’Islam? [Golam] «In Afghanistan, in quell’epoca, c’erano due fazioni, gli hazara e i pashtun, ovvero la parte sciita dei talebani, che volevano eliminare gli hazara. Mio padre, pur essendo sciita, era contrario a questo tipo di violenza e per questo fu ucciso. Comunque, esistono islamici buoni e altri cattivi, è sempre stato così». [Latifi Nezami] «Aggiungo che, se consideriamo la Turchia, nonostante il governo sia islamico, nessuna donna è costretta a girare con il velo e non ci sono talebani. Si può ben capire che esiste un’altra faccia dell’Islam, come anche per le altre religioni». Cosa hanno rappresentato per te, Golam, le figure di Jacopo e Susanna, la tua famiglia adottiva? «Per me hanno rappresentato un cambiamento culturale, qualcosa di diverso da quello che ero abituato a vivere. Mi hanno accolto e trattato come un figlio naturale». Quanto è stato facile o difficile integrarsi in questa società? «Inizialmente per me è stato molto difficile relazionarmi con gli italiani a causa della lingua. Vivendo nella comunità, sono riuscito a fare nuove amicizie sia con ragazzi che hanno vissuto la mia stessa situazione, sia con persone del posto. Pian piano ha appreso l’italiano e mi sono iscritto all’istituto alberghiero di Venezia, dove ora frequento il quarto superiore, e intanto lavoro. A differenza di altri, sono riuscito a integrarmi facilmente». Ti piacerebbe, un giorno, tornare nel suo Paese d’origine? «Un giorno lo farò, ma non penso di restare. Vorrei essere un esempio per l’Afghanistan, per tutti i ragazzi che come me aspirano a una vita migliore». Un mondo migliore è possibile? [Latifi Nezami] «Certamente, cominciando, però, a cambiare noi stessi. Per arrivare a capire gli altri e a condividere con loro il mondo, bisogna cambiare mentalità e imparare a rinunciare a qualcosa di nostro per il prossimo».

Autore: Elisa Ancona
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