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Il trasformismo e l’arrivo dei “barbari”
15 settembre 2020

In questo periodo si sono formate giorno dopo giorno una serie di riflessioni personali, in seguito alle notizie e al dibattito politico in vista delle elezioni regionali del 20 e 21 settembre, che proverò a esporre nelle quattro seguenti considerazioni, nella speranza che non siano del tutto inutili nell’offrire al cittadino, che è anche elettore, una serie di elementi e interrogativi in vista dell’espressione del voto. 1 – IL TRASFORMISMO Prima considerazione sul trasformismo ovvero sulle giravolte di personaggi pubblici che nella nostra città hanno cambiato schieramento provocando alcune reazioni per lo più negative. Alcune domande ci sono sorte spontanee: perché i candidati e i partiti della coalizione di centrosinistra di Michele Emiliano insorgono oggi e denunciano il trasformismo di Saverio Tammacco che decide di correre in una lista civica a sostegno di Raffaele Fitto, mentre cinque anni fa sempre durante le elezioni non sono insorti e non hanno denunciato il passaggio dello stesso Saverio Tammacco, consigliere comunale di Forza Italia, nella coalizione di Michele Emiliano? In altre parole, perché denunciare il trasformismo a senso unico solo nel viaggio di ritorno e non anche in quello di andata? Ancora sul trasformismo e sul conseguente moralismo ipocrita di alcuni candidati e punti di vista della politica cittadina. Perché si evidenziano solo i “voltabandiera” locali che abbandonano il centrosinistra per passare nel centrodestra di Fitto e non si denunciano anche quelli che hanno lasciato il centrodestra per passare con il centrosinistra: Simeone Di Cagno Abbrescia, già sindaco dimenticabile di Bari in quota Forza Italia e oggi a capo dell’Acquedotto pugliese con moglie candidata nelle liste di Michele Emiliano oppure Massimo Cassano, deputato di Forza Italia, poi Nuovo Centro Destra e oggi a capo dell’Agenzia regionale per le politiche attive del lavoro per volontà di Michele Emiliano oppure il sindaco di Nardò, tal Pippi Mellone, grande elettore di Michele Emiliano e in passato vicino a partiti di estrema al punto da definire l’Anpi (l’Associazione nazionale dei partigiani) un “pericolo per la democrazia” e così potremmo continuare spulciando in tutte le liste sia di Fitto che di Emiliano. Che cosa dedurne? Che ormai le grandi coalizioni di centrodestra e centrosinistra convergendo su alcune politiche economiche di fondo – neoliberali, filopadronali, privatizzatrici – non possono che competere solo attraverso la conquista della gestione degli spazi di potere che da strumento per realizzare programma politici differenti diventano obiettivo in sé. In altre parole, a programmi sovrapponibili per larghe parti, corrisponde una rivalità interpersonale molto accesa proprio perché mancando la visione politica vera e la passione autentica (nonché il rispetto tra le parti) il confronto non può che scivolare in rivalità interpersonali. 2 – L’ARRIVO DEI “BARBARI” Seconda considerazione sull’arrivo dei “barbari” ossia sul timore provato da chi detiene le leve del potere regionale ed è in carica di essere spodestato da chi dovesse vincere. È capitato agli uomini e alle donne di Fitto nel 2005 quando è arrivata l’inaspettata vittoria di Vendola additato come “il comunista, il diverso”, sta capitando adesso agli uomini e alle donne di Emiliano che temono di perdere tutto. E ciò accade perché il sistema presidenziale e maggioritario, con sbarramento all’8% per evitare la rappresentanza di coalizione e liste minori, premio di maggioranza e in più il voto disgiunto per accentuare il peso dei grandi portatori di voti, consente a chi prende un voto in più di fare “asso pigliatutto” procedendo a un “spoils system” che per cinque anni assicura al presidente vincente una larga agibilità e una larga distribuzione di incarichi di sottogoverno. Incarichi di sottogoverno come quello affidato a Saverio Tammacco, per tre anni consigliere d’amministrazione di “Puglia Sviluppo” e sindaco effettivo di Molfetta, senza che i candidati del Partito democratico e cespugli vari del centrosinistra avessero da ridire qualcosa. Che questa agibilità nei numeri e nel sottogoverno si riveli poi fruttuosa nell’azione di governo regionale è tutta da dimostrare, basti vedere i problemi della sanità pubblica, le sue liste d’attesa oppure il fallimento della politica regionale in campo agricolo. Sull’arrivo dei “barbari” e il pericolo “fascioleghista” ossia sulla paura che la Puglia finisca nelle mani di Fratelli d’Italia e leghisti salviniani sarebbe il caso di osservare che si tratta di una congrega di liste in cui la parte del leone la fanno eminenti ed esperti riciclati di Forza Italia che, dato il declino d’immagine di Berlusconi, si sono accampati a casa di Meloni e Salvini. Il democristiano Fitto e l’ex Forza Italia Zullo passati con Fratelli d’Italia e gli ex forzaitalioti Bellomo, Altieri, Giorgino passati con la Lega rappresenterebbero il pericolo nero montante? 3 - L’INDECENZA ELETTORALE Terza considerazione sull’indecente legge elettorale pugliese a proposito di cui, a maggior ragione dopo quanto detto sull’arrivo dei “barbari”, uno si chiede ma perché se Emiliano e compagnucci vari temevano questo pericolo non hanno fatto di tutto per riformare la legge elettorale e renderla proporzionale per evitare questo pericolo antidemocratico? Invece no, nessuna intenzione di rivedere le regole di un gioco che garantiscono impermeabilità delle istituzioni regionali e impossibilità del ricambio nonché democrazia nel consiglio regionale. Un consiglio regionale che invece viene blindato a difesa del presidente eletto il quale anche se avesse una coalizione di liste con voti validi inferiori al 35% si vedrebbe regalata per legge una maggioranza di 27 consiglieri su 50 assegnati. E il tutto impedendo a partiti che non raggiungono l’8% di entrare in consiglio regionale, a differenza delle elezioni comunali dove una lista per entrare in consiglio comunale deve raggiungere il 3%, delle elezioni politiche dove una lista per entrare in Parlamento deve raggiungere sempre il 3% mentre per il Parlamento europeo serve superare il 4%. Nella Puglia governata dal centrosinistra “democratico” serve invece l’8% grazie a una legge elettorale indecente che non prevede nemmeno l’obbligo di deposito ufficiale del programma politico delle coalizioni. Sì non è una battuta ma la realtà: si raccolgono le firme per la presentazione, si presentano i candidati con tanto di documenti, si devono consegnare i loro curriculum (manco fosse un colloquio di lavoro...), si devono persino estrarre i certificati del casellario giudiziale dallo stesso tribunale dove si depositano le liste (manco fosse propedeutico all’assunzione...), ma non c’è l’obbligo di presentare il programma politico-amministrativo della coalizione, come previsto per legge alle elezioni comunali. Quando si dice la politica dei programmi e dei contenuti... 4 - LA VERGOGNA DEL “GOVERNO A RETE” Altra cosa curiosa (e grave dal punto di vista istituzionale) è quanto da anni ormai i sostenitori delle grandi coalizioni (quell’arco politico che va dalla Lega ai Cinque Stelle passando per Forza Italia, Fratelli d’Italia e il Pd) vanno affermando: “votate noi alle regionali perché siamo dello stesso colore o dello stesso partito al governo nazionale e quindi potremmo essere aiutati meglio dal governo nazionale”, lo stesso ritornello che si ascolta in occasione di elezioni comunali: “votate noi alle comunali perché siamo dello stesso colore o dello stesso partito al governo regionale e quindi potremmo essere aiutati meglio dal governo regionale”. Un raggiro proposto e riproposto puntualmente da candidati, governanti, amministratori di centrodestra e centrosinistra indifferentemente, come ad esempio da parte di quel campione di trasformismo che è il sindaco Tommaso Minervini che parlava di “governo a rete” nel 2001 quando era alleato del presidente della Regione Raffaele Fitto, di “sinistra moderna del futuro” nel 2010 quando era alleato del presidente della Regione Nichi Vendola, di “smart city” nel 2017 quando era alleato del presidente della Regione Michele Emiliano. Ora a parte le considerazioni negative sull’uomo politico alleato del potente di turno, quel che è grave in questo discorso che sembra imporsi con facilità e in modo trasversale, è che si sta dicendo che ci sono istituzioni, e dunque anche cittadini, che possono essere aiutate e sostenute di più e meglio se si allineano allo stesso colore o allo stesso partito di istituzioni sovraordinate. Dunque, se in un Comune vince una coalizione dello stesso colore del presidente di Regione allora arrivando fondi e finanziamenti, se invece vince un’altra coalizione peste colga il Comune “dissenziente” e i suoi cittadini che si sono permessi di scegliere altro. Allo stesso modo, se in una Regione vince la coalizione dello stesso partito di governo nazionale, allora arrivano fondi e finanziamenti, se invece vince un’altra coalizione, al bando quella regione. Questi discorsi si ritrovano pari pari, senza coscienza, senza prudenza e senza vergogna sulle bocche dei candidati e dei politici di centrodestra, centrosinistra e ora anche del Movimento Cinque Stelle, sì proprio loro, quelli che volevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno e si sono incartati prima nella coalizione con la Lega e ora con il Partito democratico soltanto nel giro di due anni... Poi dice che uno non si butta a sinistra... quella genuina, naturalmente. © Riproduzione riservata

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