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Il teatro della vita
15 giugno 2005

Nuova piacevole serata all'insegna della riflessione letteraria martedì 26 aprile presso l'Università Popolare Molfettese. Introdotta dal preside prof. Giovanni de Gennaro, che non manca di sottolineare il favorevole momento vissuto dalla scrittura al femminile, la professoressa Ottavia Sgherza presenta il libro “Il teatro della vita”, opera della scrittrice ruvese, di stanza a Bisceglie, Luciana De Leo. Il romanzo, giunto alla sua terza edizione, per i tipi di Palomar, è stato insignito di innumerevoli riconoscimenti, tra cui il “Premio Internazionale di Poesia e Letteratura 'Nuove Lettere' 2004”. Alla professoressa Sgherza è affidata anche la regia della serata, allietata dalla grazia sorridente di Roberta Gadaleta e dall'irruenza passionale di Carmela Aurelia Di Terlizzi, giovanissime studentesse molfettesi dedite, con esiti degni di nota, alle discipline della danza. Con una presentazione estremamente efficace, la Sgherza ricostruisce le fila della complessa narrazione, ordita in undici racconti più brevi e un ultimo, che dà il titolo al romanzo, più disteso e di estremo interesse. Ma nelle maglie di questo palcoscenico, onnipresenti sono gli elementi di richiamo alle precedenti vicende, con un personaggio, Fifina (l'oratrice lo definisce acutamente quale genius loci), a farsi garante dell'unità. Sorta di guru del centro storico di un (volutamente) imprecisato borgo del Sud, teatro delle vicende narrate, i più giovani non la conoscono direttamente, ma le storie narrate su di lei da nonni e genitori finiscono con l'esercitare su loro una fascinazione più o meno inconscia. I più anziani ricorrono a lei perché Fifina è custode della memoria storica del quartiere. La sua funzione è un po' quella della scrittrice, che tuttavia dichiara apertamente di non possederne la saggezza: “dare un colore” a vite altrimenti destinate a giacere nel limbo dell'anonimato, nel grigiore. Sulla bocca di Fifina, la storia si tramuta in fiaba. “Dell'ultimo racconto – osserva la Sgherza – mi colpisce il dettaglio delle rose che fioriscono come per incanto. È un elemento di grande fascino”. La genesi della raccolta-romanzo, spiega la De Leo è da individuarsi nella sua attività di insegnante per la terza età, nel suo contatto con gli anziani, con le loro idiosincrasie (Internet su tutte), il loro desiderio di magia in un'epoca in cui tutto scorre velocemente e si è perso l'incanto dei balconi fioriti, dei bracieri lasciati fuori dai portoni, delle piccole grandi cose della quotidianità. Un bellissimo romanzo “Il teatro della vita”, in cui affiorano, senza retorica, problematiche come il suicidio giovanile, le squallide fabbriche di sogni, il degrado di ciò che di più antico resta nelle nostre città. E per una ragazza (Stefy) che rinnega la vita c'è una vecchina di 92 anni, Nonna Pasqua, che pare gridare al mondo il suo desiderio di esistere e vede la notte avvicinarsi sempre più. E poi c'è Regina col suo cagnetto spelacchiato. In lei sembra rivivere il dramma di una non troppo antica donna Margherita (ma che già trascolora in leggenda), svanita nel nulla per consunzione d'amore. Il personaggio più poetico della raccolta resta (insieme alla dolce Isolina), a mio avviso, il giovane Gennaro, latore di un bisogno d'amore che si estrinseca nella mania di donare oggetti a chi elargisce, anche di sfuggita, un sorriso. Nella tendenza a cogliere cento rose per la sua bella. Nell'eterna distrazione, che, un giorno, gli fa smarrire la strada per tornare a Regina, la sola in grado di apprezzare quella che agli altri pare “bellezza sprecata”. In questo svagato Peter Pan bisognoso di attenzioni si cela forse l'innocenza dei nostri borghi. Delle nostre anime. Perduta nei meandri di un mondo che corre troppo in fretta... Gianni Antonio Palumbo gianni.palumbo@quindici-molfetta.it
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