MOLFETTA - «Ciò che non può essere ascoltato con le orecchie, spesso è udito con gli occhi». Dunque, il sordo (così come anche il cieco) non è un invalido, ma un sensoriale che, attraverso le molteplici capacità di cui la natura lo ha dotato, riesce a supplire alla mancanza di una o più abilità derivanti dall’utilizzo dei sensi. È in questo monito che si può riassumere l’incontro «Il sordomuto nella società moderna» svoltosi all’Università Popolare Molfettese.
L’intervento del cav. Mario Domenico Giallongo (nella foto con Ottavia Sgherza, presidente dell'Upm) ha focalizzato l’attenzione sul ruolo sociale ricoperto dal sordo nelle tappe storiche più salienti. Sulle orme di quanto affermava lo psicologo e filosofo contemporaneo Watzlawick (non si può non comunicare), Giallongo ha ricordato che la comparsa dell’uomo sulla terra ha coinciso con la nascita di una prima rudimentale forma d’interazione. Seppur attraverso gesti e poi suoni gutturali, da sempre l’uomo ha sentito l’esigenza di socialità, esprimendola in prevalenza attraverso la reciprocità comunicativa.
Se all’inizio i sordi erano considerati ai margini della società, solo alla fine dell’Età Moderna gli organi ecclesiastici iniziarono a prendersi cura dei non udenti, animati non solo da spirito di carità e umanità nei riguardi del prossimo, ma anche da forti interessi personali. Bisognerà aspettare l’ascesa di Mussolini per riconsegnare dignità al sordo, attraverso l’obbligo scolastico. Ma oggi che ruolo ha il sordo nella società moderna?
La risposta a questa domanda è sembrata alquanto controversa e sfaccettata perché, se è vero che per i non udenti è stato fatto tanto (rispetto al passato) sia a livello di integrazione sociale che di istruzione, è altrettanto vero che in un mondo globalizzato in cui la comunicazione riveste un ruolo preponderante, chi non può utilizzarla è spesso escluso. Anche la terminologia poco congrua che spesso si utilizza per indicare questo tipo di deficit appare discriminatoria.
Parlare dei non udenti definendoli sordomuti, o peggio audiolesi, è errato. Con una grande voglia di sensibilizzare i cittadini e le istituzioni, un rammaricato Giallongo ha ricordato la chiusura dell’Istituto Provinciale “Apicella”, fondato nella seconda metà dell’Ottocento per istruire i propri allievi attraverso il metodo dell’oralità. In altre parole, si pretendeva che i ragazzi che frequentavano l’Istituto dovessero “parlare”, ovvero comunicare tra loro e all’esterno mediante la lettura del labiale. Solo in un secondo momento si comprese l’importanza della mimica gestuale, metodologia adoperata già in Francia.
Con la chiusura dell’Istituto “Apicella”, che diede lustro e notorietà a Molfetta (fu visitato dalla principessa Diana Spencer e si cercò di creare uno scambio interculturale con la Gallaudet University di Washington) i non udenti furono inseriti, a livello scolastico, in classi di udenti con difficoltà che si posso immaginare. Da quel momento in poi non c’è più stata una formazione adeguata per il sordo e nemmeno percorsi di formazione professionale, previsti invece all’interno dell’Istituto molfettese.
Oggi il sordo è consapevole delle innumerevoli capacità di cui è dotato. Ne è dimostrazione l’attività teatrale per sordi, organizzata dall’Associazione culturale e ricreativa “Aiello” di Molfetta. all’incontro hanno partecipato anche non udenti supportati dalla professionalità della dottoressa Speranza Fiorentino.
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