Il Sagnella di Pietro Amato
Un bellissimo lavoro il volume di mons. Pietro Amato dal titolo Sagnella, pubblicato dalla romana Mancini Edizioni e dedicato al ceramista Elvio Sagnella in occasione dei suoi 50 anni di attività. Il volume ricostruisce l’itinerario creativo dell’artista, con un raffinato progetto grafico curato da Amato stesso e da Susana Inouye. L’opera, che vede gli scritti di Amato (già direttore dei Musei storici del Vaticano) tradotti anche in inglese, tedesco e spagnolo, affianca alla parte introduttiva il catalogo vero e proprio e la sezione dedicata alle Tavole, con riproduzioni fotografiche che ci appaiono nitide e di ottima qualità. Quest’ultimo segmento del volume è in realtà una presentazione ragionata delle Tavole, perché Amato descrive accuratamente alcune tra le centocinquanta opere raffigurate, che spaziano dalle formelle ai vasi, dalle acquasantiere pensili alle idrie e persino agli arredi urbani. La descrizione stabilisce raffronti tra le creazioni di Sagnella e i modelli pittorici adottati, rapporti che emergono vividamente anche grazie all’ultima parte della monografia, consacrata alle “Biografie dei pittori e degli scultori di riferimento”. In essa, Amato ripercorre velocemente le vicende degli artisti che hanno ispirato Sagnella e ne ripropone in miniatura le opere poi rivisitate dal ceramista. In questo modo, il lettore può, unitamente a quanto deducibile grazie alle doviziose informazioni fornite dal curatore del volume, sviluppare anche un’idea personale in merito ai rapporti tra il figulino e la tradizione. Quanto, invece, alla sezione introduttiva, Amato in essa evidenzia come Sagnella, “educato alla bellezza fisica e metafisica della materia”, non si limiti a una mera imitazione di “modelli artistici antichi e di rara bellezza”; il suo atto di ricreare, avendo Nicola Giustiniani come punto di riferimento, la pittura del Sei-Settecento europeo (profana o religiosa che sia), è l’occasione per un “percorso coerente e di qualità, ricco di intuizioni luminose che le crete modellate, dipinte e vagliate dal fuoco”, narrano. È sottolineato come il figulino sia artifex che muove dall’idea e dalla progettazione per poi volgere all’atto concreto del poieîn, nel plasmare le forme e consegnarle alla ‘prova del fuoco’. Il curatore non manca di evidenziare il legame tra l’artista e il suo borgo d’origine, San Lorenzello, che ne ha temprato la fantasia con il “paesaggio incantevole” e il suo retaggio di tradizioni. La descrizione del luogo d’origine dell’artista si colora di tinte poetiche, per esempio nell’evocazione del Titerno, torrente del Sannio, o nel tratteggio di figurine di donne silenziosamente e pudicamente in cammino per le vie. L’autore evidenzia, tra l’altro, il coraggio delle scelte stilistiche di Sagnella: egli “Non par-te dall’arte astratta, così facile a mistificarsi e a trovare azzeccagarbugli di talento per la vendita, ma sorge dal vero, dal reale, dal vissuto, nelle cui componenti la bellezza regna”. Interessanti anche le osservazioni sulla ritrattistica, in cui spesso ai volti delle opere assunte come modello il figulino sostituisce ora i visi dei committenti ora quelli dei propri cari, giungendo all’Autoritratto nel San Nicola di Mira che salva i naufraghi. Per quest’ultimo Amato sottolinea l’originale ripresa del Radeau de la Méduse di Géricault. Gli altri scritti si soffermano sulla cronologia della biografia dell’artista, sulla sua ripresa del Barocco europeo e sulle declinazioni del sacro nella sua produzione di ceramista. Particolarmente ricche di spunti anche le pagine dedicate alle Metamorfosi della tradizione, ciclo di maioliche che armonizza stilemi e motivi classici con la sensibilità e la rappresentatività tipiche della modernità. Emblematico il caso dell’Idria ferita, felice illustrazione di come, da un ‘incidente’ occorso in fase di lavorazione, nasca una valida intuizione, che dà vita a una creazione originale, assimilabile a una “dama di fine Settecento sdraiata sul divano”, ad attrarre pigramente lo sguardo su di sé. Un’esperienza affascinante quella di Sagnella, declinata nella più feconda attuazione della pratica della contaminazione; si pensi, a tal riguardo, al mezzo piatto del 2003 che rappresenta la Natività di Gesù e Angeli musicanti coniugando la ripresa della Vergine con Bambino della Notte di Correggio con quella delle figure angeliche del Battesimo di Cristo di Annibale Carracci. Anche la rivisitazione dei modelli, come già anticipato, non è mai mera riproposizione; ci piace menzionare il frammento di piatto del 2000 modulato a partire dal San Sebastiano di Mattia Preti. Diversa è la distribuzione della luce, che irrora maggiormente il corpo del martire e anche l’aura circostante. Accentuata è la medietas dei tratti del viso del Santo, che perde ogni ulteriore connotazione di efebia (che pur non appariva ai committenti del Preti) per assurgere ancor più a uomo tra gli uomini. Questa maggior fedeltà al reale, questa riconduzione a quotidianità appare viva anche nella formella ovale del Redentore ispirata al Salvator Mundi del Gaulli. Sul contrasto luce-ombra Sagnella fa prevalere l’idea di una luce diffusa, quasi a significare che “tutto è grazia”; si pensi al confronto tra il Cristo in croce del frammento di piatto del 2019 e l’originale di van Dyck. Accentuata è la luminosità, nel bagliore che contorna la croce, nelle tinte del bianco atmosferico che riprendono le cromie del perizoma, meno lucente rispetto al modello, perché in esso erano il corpo e il perizoma a concentrare la luce. Luce che ora appare far capolino persino in quelle ombre che acutamente Amato definisce “quasi monocromi cinerei” e che pure costituiscono, a nostro avviso, una luminescenza intermedia tra le due fonti primarie, i due Soli morenti. Spesso, nella sua opera di rimodulazione, Sagnella elimina particolari e isola gli elementi per lui centrali nella composizione, quelli su cui vuole attrarre lo sguardo: si pensi alla Madonna delle ciliegie di un piatto sagomato del 2007, in cui è espunta la figura di San Giuseppe del dipinto guida di Barocci, a far emergere ancor più la taciturna gravitas della tenera madre e il divertissement squisitamente infantile del piccolo. Al mondo dei bambini, Sagnella ha spesso dedicato la sua attenzione, con forme riuscite quali il Bimbo con grappolo d’uva, bella rappresentazione di certa naturale pensosità bambina, o nella grazia ‘scugnizza’ del fanciullo che si disseta alla fontana (formella del 1976). Al realismo, in altre opere subentra un’espressività visionaria, quale quella di un Gesù nell’orto del Getsemani (idria del 2016), o la metafisica purezza dell’acquasantiera pensile con Cristo in croce (2020), fatta risaltare dall’elegante e smaterializzante blu antico. Insomma, un ottimo lavoro quello di Pietro Amato, che consente di accostarsi in maniera accurata e appassionante alla produzione di un artista ispirato, nel sacro come nel profano, capace di dar voce alla più vasta gamma delle emozioni e delle sensazioni del cuore di un uomo. © Riproduzione riservata