Il potere dei segni: quella papalina e gli zucchetti dei vescovi portati via da un vento improvviso
ALESSANO - Oggi ha 45 anni Stefano Bello, nipote di don Tonino, vive ad Alessano e fa l’operatore sanitario. Spostato, un figlio di circa 6 anni che si chiama Tonino Bello. Stefano lo abbiamo incontrato per caso al cimitero di Alessano dove aspettavamo l’altro zio, Trifone, e abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui. Qual è il ricordo che ha dello zio Tonino? «Quando zio Tonino è morto avevo 20 anni. Sono tanti i momenti che ho vissuto insieme a lui e non si possono riassumere in un solo pensiero. La cosa che mi è rimasta impressa nella mente è la raccomandazione che lui mi fece in punto di morte, quando mi chiese di essere onesto e trasparente e di aiutare sempre i più poveri perché questo mi avrebbe riempito il cuore di gioia». Questo evento come è stato vissuto dalla famiglia? «Sicuramente è stato un giorno straordinario, molto emozionante che rimarrà nella storia. Quando quel giorno ho avuto il privilegio di guardare il Papa negli occhi, ho visto in quella persona il punto d’incontro tra il cielo e la terra. Quel giorno su Alessano ha brillato la luce del Signore e non lo dimenticheremo facilmente. Al di là della data storica, la cosa significativa è quella indicazione che Papa Francesco ha inteso dare alla chiesa nuova. Quella che zio Tonino chiamava la chiesa del grembiule una chiesa in uscita, una chiesa che zio Tonino ha tanto sognato in quelli che chiamava sogni diurni e che con papa Francesco sta vedendo la concreta possibilità di essere realizzata». Lei crede che don Tonino volesse essere santo? «Io credo che zio Tonino volesse essere un esempio. Credo che volesse essere una stella luminosa alla quale tutti noi nei momenti di difficoltà, nei momenti delle scelte della quotidianità, nella ferialità possiamo guardare come esempio». Cosa resta di questa visita di papa Bergoglio? «L’importanza di aver avuto la massima autorità religiosa che ha additato don Tonino come un autentico testimone del Vangelo». Quando è stato eletto questo Papa, molti lo hanno associato a don Tonino. E’ stato così anche per voi? «Certamente sì perché il parallelismo che si è creato tra queste due persone è qualcosa di straordinario. Ricordo zio Tonino che spalancava il vescovado agli sfrattati, che andava a cercare gli emarginati. E Papa Francesco smette gli abiti papali e di notte esce a cercare di ascoltare il grido della sofferenza che viene dalla città di Roma. Zio Tonino legava indissolubilmente pace e giustizia a salvaguardia del creato conferendone proprio un aspetto trinitario. Papa Francesco scrive un’enciclica sul creato per ricordarci l’importanza di salvaguardare il nostro pianeta dicendoci proprio che giustizia e pace camminano a braccetto in quello che è il giardino del Signore. Papa Francesco e zio Tonino sicuramente non si sono mai incrociati, nelle loro vite. Però, dopo 25 anni le loro vite si sono intrecciate dando proprio una direzione unica. Il potere dei segni. E proprio questa considerazione mi fa pensare al giorno della visita del Papa quando un vento così quasi divino ci ha ricordato che in questa terra non è ben accetto il segno del potere. Questo vento che ha tolto via la papalina, gli zucchetti ai vescovi e ci ha ricordato che siamo sulla terra di don Tonino dove sono importanti e significativi il potere dei segni e non i segni del potere». Voi avete incontrato privatamente il pontefice? «Sì abbiamo avuto questo grande privilegio, anche se per pochi minuti. Ma è stata un’emozione fortissima perché la comunione d’intenti che Papa Francesco ha con zio Tonino ha fatto rivivere in noi i suoi sguardi, i suoi sorrisi quegli abbracci che noi ricordiamo». Il Papa cosa vi ha detto? «Più che altro siamo stati noi a parlare con il Pontefice. Lui ha ascoltato semplicemente. Io l’ho ringraziato personalmente di essere venuto qui in terra del Salento a riconoscere questo testimone del Vangelo. Mi sono molto emozionato quando mio figlio l’ha ringraziato e gli ha detto grazie papa Francesco perché sei venuto a trovare zio Tonino vorremo che tornasse. E’ stata un’emozione fortissima. Bergoglio non ha accennato a qualche possibilità di accelerazione del processo di beatificazione e della santità? «Non l’ha detto esplicitamente. In una maniera subliminale la sua presenza ci ha fatto capire, con il costante richiamo a quelle che sono le riflessioni, le frasi, i messaggi lasciati da zio Tonino, che ha un’attenzione particolare a questo processo che un po’ si era arenato negli ultimi mesi, a causa dell’ingente numero degli scritti che zio ha prodotto. La necessità di studiarli, verificarli. Il dover scrivere una “Positio” comporta del tempo e un impegno profondo. Quando abbiamo incontrato il Pontefice, gli abbiamo fatto dono di alcuni libri tascabili di zio Tonino, ma ci siamo resi conto che lo conosceva bene per ciò che ha detto sul palco davanti a 23mila persone: ha parlato di Sud come finestra di speranza, ha parlato di don Tonino profeta da seguire, ha detto che nella sua tomba è stato seminato il messaggio di don Tonino che è già germogliato. Ci ha fatto capire in qualche modo che presterà una certa attenzione a quello che sarà la sua figura nei prossimi tempi». Come è visto questo evento storico qui ad Alessano? «Sicuramente la nostra comunità ha risposto molto bene. C’è sempre stata una grande devozione intorno alla figura di don Tonino. Dopo Papa Francesco c’è stato uno scatto in avanti della comunità. Nelle piccole comunità solitamente si chiacchiera, si vocifera, spesso succedono delle polemiche. Invece questa volta intorno ad un evento così straordinario, la comunità si è stretta intorno alla figura di zio Tonino, ha risposto bene. Abbiamo collaborato, abbiamo vissuto quella convivialità delle differenze che da tempo non si vedeva nella nostra comunità». Non è solo un fenomeno mediatico, turistico? «No. E’ una questione di devozione profonda prima. Poi se in qualche modo, zio Tonino riuscirà a dare una svolta economica al territorio ben venga. Se c’è la possibilità di far lavorare qualche famiglia, di risollevare l’economia di questo paese credo che sia perché no, un miracolo». Voi nipoti siete rimasti qui nel territorio? «Sì, lavoriamo qui. Io personalmente sono molto legato al territorio. Probabilmente è un amore, una passione che mi ha trasmesso zio Tonino, perché quando eravamo piccoli ci raccontava i posti, recitava poesie, declamava versi in latino. Ci spiegava ogni metro quadrato del nostro territorio e l’importanza della nostra Puglia che si stende come arco di pace e non si tende come arco di guerra. Puglia che si protrae verso l’Oriente, terra di accoglienza. Queste cose probabilmente ci sono rimaste nella testa, perché io ho avuto una brevissima esperienza universitaria a Bologna, ma non mi trovavo bene. Ho sentito l’esigenza di tornare qui nella mia terra, che con tutta probabilità non lascerò mai». © Riproduzione riservata
Autore: Felice de Sanctis