Il Natale degli animali
La capannina era in subbuglio. Da quando gli Angeli avevano predetto l’arrivo del Salvatore tutti gli animali si erano messi all’opera per tentare ognuno a proprio modo di accogliere quel Bambinello dal destino segnato. Gli animali, tutti, lo sapevano da tempo. Loro vedono cose che noi mortali non vediamo; loro ascoltano suoni che noi esseri umani non possiamo ascoltare. I suoni delle cose, vibrazioni cosmiche che sfuggono al nostro sentire, che scivolano al nostro patire. Si erano fatti avanti prima i cani alla chiamata dell’Angelo Bianco, lui che aveva predetto alla giovane Maria la maternità per l’Uomo più grande della Terra; i cani avevano dato un saggio della loro fedeltà, avevano al momento giusto ringhiato al Diavolo tentatore, avevano portato nelle loro fauci i teneri steli delle stelle di Betlemme ma la loro esibizione canina era stata interrotta da una cavalcata di dodici cavalli neri, venivano da Gerico , muscoli d’acciaio e fieri nella loro scompigliata bellezza. “Gesù”, dicevano, “dovrà pur fuggire da questa terra invisa alla Pace, e noi caro Angelo certo potremo portarlo lontano, con Giuseppe e Maria, ad Occidente!”. Avevano fatto cerchio intorno alla capannina di Betlemme, là dove stavano per arrivare da un’eterna fuga il Falegname e la Vergine Maria. Due leoni però avevano spaventato i cavalli baii; come potevano questi animali essere lì in Palestina? Difatti gli antichi Egizi l’avevano già profetizzato: un filosofo, un Kery-heb, di nome Erozoastro aveva previsto l’arrivo del Figlio di un Dio che tutto può e tutto sa e tutto ama e che sarebbe stato accolto in un’umile capanna e che solo gli animali l’avrebbero riconosciuto. I leoni mandati dall’Egitto secoli prima avevano attraversato mari, sfidato tempeste di sabbia, sopportato il freddo ed il gelo per poter essere lì accanto al Figlio di Dio. Loro testimoni di un’antica civiltà potevano essere il simbolo della nuova Religio, del nuovo legame ora che tutti gli altri dèi avevano consumato la loro missione. Ma niente, l’Angelo Bianco aveva chiesto loro di portare pazienza. I cavalli avrebbero continuato a correre liberi nei campi, i leoni avrebbero continuato a dare coraggio e prestanza alle civiltà che si sarebbero alternate nel corso della storia. Qui bisognava invece dare ascolto ai deboli, ai fragili, agli ultimi. Per questo venne fatta entrare una pecorella che nella notte si era smarrita. Aveva perduto mamma, papà e tutto il gregge. I lupi erano stati tenuti lontano dalla luce di una stella, che come il sole di Gabaòn, riluceva di una luce mai vista su questa terra; tanto che il sole stesso ne era invidioso. Ed un agnello fu fatto entrare nella capannina, fragile animale pronto al martirio per la salvezza. Due pastori, un uomo ed una donna, molto anziani, portarono dalla propria capanna l’ultimo pagliericcio che era loro rimasto. Fu adagiato nella mangiatoia. L’aveva risparmiato il loro cavallo che proprio quella mattina era spirato. Il morso del gelo era troppo forte. Come avrebbe potuto riposare un Bambinello ed una mamma ed un papà allo stremo delle forze in quell’antro algido? La risposta venne dall’orizzonte infuocato di luce della stella. Maria esausta era in groppa ad un asino di nome Speranza; e Giuseppe che portava a stento un bue emaciato ma forte, tanto forte da aver arato con i suoi zoccoli le terre che aveva calpestato. Un verdefiorire si stagliava al suo passaggio. Un miracolo della natura! L’Angelo bianco aveva indicato loro la via. Erano giunti nel punto, nel centro dell’immenso. Il Bue si adagiò dolcemente, l’asino ebbe la forza di piegarsi sulle sue zampe per permettere alla giovane Immacolata di scendere dolcemente accolta da un Giuseppe più bello che mai. Anche l’Asino poi si adagiò senza far troppo rumore, quasi raggomitolandosi su se stesso. Erano loro gli animali prescelti ma non se ne fecero un vanto. “Era vero, era tutto vero!”, pensò il bue, filosofo com’era. Non ci aveva creduto subito. Lui era solito seguire le cause e gli effetti, per comprendere il mistero della creazione. Doveva esserci un Teorema e un Dio matematico di questo teorema. Nel senso che se c’è stata data la vita, questa deve avere un senso. Il sole illumina le cose e riscalda, il mare ci dà acqua, le nuvole fanno piovere, il bue spinge l’aratro, e l’uomo, dove porta l’uomo? Erano queste le elucubrazioni del bue; “datti pace caro amico! E goditi la notte…” gli fece l’asino, abituato com’era a vivere il tempo presente ed a non chiedersi il perché delle cose; anzi lui bene sapeva che più le cose le spieghi più s’ingarbuglia il nesso. «L’unico teorema che Dio ci ha dato è la bellezza della vita noi non siamo piramidi, non siamo obelischi, triangoli o trapezi, noi siamo cerchi cerchi con il cuore il nostro centro è Uno… si chiama Amore!». Terminò l’asino ed il Bue si convinse e per tutto il tempo ripeté quella solfa che solo un grande asino filosofo aveva potuto dispensare nella sua ignorante saggezza. © Riproduzione riservata