MOLFETTA - Come Ustica o il Francesco Padre, ma la scomparsa del piroscafo Hedia nel marzo 1962 a largo del canale di Sicilia resta ancora un mistero. Un anomalo affondamento senza testimoni, senza una richiesta d'aiuto via radio: nessuna spiegazione plausibile.
L'equipaggio era formato da 19 italiani e da un gallese (il macchinista Anton Narusberg di Cardiff). Tra gli italiani, anche 6 molfettesi: Michele Marangia (secondo ufficiale macchina), Nicola Caputi (marinaio), Corrado Caputi (ingrassatore), Cosimo Gadaletta (marinaio), Damiano Bufi (marinaio) e Giuseppe Uva (giovinotto). Gli altri provenivano da Fano, Venezia, Trieste, Mestre, Catania, Sciacca e Chioggia.
Quindici è stato recentemente contattato da
Accursio Graffeo, nipote di
Filippo Graffeo (originario di Sciacca, era marinaio di coperta) proprio per riaccendere anche a Molfetta i riflettori sul caso, caduto nel silenzio da quasi 40 anni. Lo stesso Graffeo auspica che i parenti dei dispersi molfettesi possano collaborare per la riapertura delle indagini (un po’ come accaduto per il Francesco Padre), anche contattandolo al suo indirizzo e-mail (
accursio.graffeo@gmail.com) o al recapito telefonico (339/62.32.810). Infatti, l’intenzione sarebbe fondare una un'associazione
ad hoc.
IL CASO HEDIA
Casablanca, 10 marzo 1962. L’Hedia, caricate 4mila tonnellate di fosfati, riparte per Venezia, nonostante la burrasca nel Canale di Sicilia. Dopo aver costeggiato la costa algerina, il piroscafo si dissolve nel nulla, nei pressi dell’arcipelago tunisino La Galite. È il 14 marzo.
Le prime ipotesi puntarono sul naufragio per le proibitive condizioni del mare (le onde erano alte quasi 5m). Dopo 7 giorni un tentato depistaggio da parte del comando del porto di Tunisi. Solo il 26 marzo alcuni “rottami” del piroscafo disperso furono recuperati da tre pescherecci di Lampedusa: una cintura di salvataggio, due salvagente e due tavoloni di boccaporto. Troppo poco per dichiarare l’Hedia affondata.
Naufragata, silurata o catturata?È questa la domanda che si poneil giornalista Massimiliano Ferraro, tra i pochi che si sono occupati della vicenda, secondo cui il piroscafo potrebbe essere stato silurato per sbaglio dalla marina militare francese, forse scambiato per una nave che contrabbandava armi destinate ai miliziani algerini.
Allo stesso tempo, non esclude la pista della cattura. Infatti, dopo qualche mese i familiari avrebbero riconosciuto i marinai dispersi in una telefoto di alcuni dei marinai italiani imprigionati in Algeria. Anche Romeo Cesca, padre di uno degli scomparsi, seppe che i marinai erano salvi e nascosti in una località segreta. Come i 19 marinai sono finiti nelle carcere di Algeri?
Nella ricostruzione della vicenda, lo stesso giornalista ritiene che «i pochi sopravvissuti al naufragio o al siluramento siano in qualche modo riusciti ad arrivare a riva finendo poi nelle mani dei miliziani indipendentisti e infine tornati o ritornati nelle mani dei francesi», anche se resta da capire «perché nessuno di loro riuscì mai a mettersi in contatto con l’Italia dopo la liberazione». Lo scatto risaliva al 2 settembre, il giorno in cui il consolato francese fu attaccato dalle fazioni belligeranti algerine.
Il mistero s’infittisce nel resoconto di Ferraro. «Vitaliano Pesante, giovane giornalista veneziano, cercò di svelare l'arcano e partì per l’Algeria. Riuscì a rintracciare un certo Jean Solert, che figurava come primo uomo a sinistra nella fotografia degli ex prigionieri. Costui negò fermamente che nel consolato ci fossero degli italiani e come prova di quanto affermato gli rivelò la vera identità del presunto marinaio Graffeo, tale Pierre Cocco, barista di Algeri».
Dopo poco, l’Hedia fu cancellata dal registro navale la Cassa marittima versò 400mila lire di assegno funerario per ogni marinaio e il Regno Unito considerò morto Anton Narusberg.
Ancora Ferraro ricorda nella sua ricostruzione l’ostilità delle autorità tunisine, soprattutto quando uno dei parenti dei marinai dispersi iniziò a battere l’arcipelago de La Galite in cerca di informazioni: il comandante della base strategica di Biserta suggerì di inviare una relazione a Parigi. Alquanto anomalo, perché non si spiegherebbero i rapporti tra la Francia e la nave liberiana. Insomma, la trama di uno dei tanti intrighi internazionali durante la guerra franco-algerina.
Quello dell’Hedia resta un vero e proprio giallo internazionale, completamente dimenticato dalla politica italiana. Forse sarebbe ora di scavare negli archivi francesi per capire la verità di una tragedia senza spiegazione e senza un finale.
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