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Il Gergario della quaresima molfettese
15 maggio 2011

Uno strumento agile e sbarazzino, il Gergario della Quaresima molfettese, dopo aver visto la luce, a puntate, sul nostro giornale, è stato pubblicato dalle edizioni “Quindici Molfetta”. Autori della pregevole operazione Gennaro Gadaleta, “cultore della storia molfettese” e artefi ce della scoperta di un’inedita marcia funebre “eseguita per la prima volta nell’anno 2010”, e il fi glio Angelo, avvocato dedito alla ricerca sulle tradizioni popolari per gli “Eredi della storia”. A curare la prefazione, raffi nata e colorita di bonaria ironia al contempo, il nostro direttore, Felice de Sanctis, che ha defi nito il Gergario “un mosaico composito di suoni, emozioni, sensazioni, risvolti psicologici perfi - no divertenti in alcune defi nizioni”. Il libello è corredato di fotografi e, spesso in bianco e nero, che off rono scorci della Molfetta del secolo scorso, tra aff ollatissime ritirate anni Venti e scampoli di corteo, con magari le paranze a fungere da suggestivo sfondo. A conclusione del volumetto una “breve storiografi a” delle confraternite molfettesi, tra le quali S. Stefano spicca per antichità, essendo addirittura anteriore al 1440, e una descrizione delle Chiese “in cui risiedono le due Arciconfraternite”. I Gadaleta, inoltre, compiono un’ulteriore, interessante operazione, off rendo la trascrizione di una “lauda” a lungo tradita oralmente; scritta in un dialetto italianizzato, essa ha per protagonista la Vergine Maria alla disperata ricerca del fi glio che, prima di esalare sulla croce l’ultimo respiro, le rivolgerà dolcissime parole consolatorie. Veniamo ora alla struttura del Gergario; organizzato come i più tradizionali lessici, esso si compone di circa centoquarantacinque lemmi, perlopiù dedicati all’esplicazione di colorite espressioni dialettali. Piuttosto varia appare la tipologia delle voci, che, tra l’altro, nell’intenzione degli autori rappresentano esclusivamente un primo nucleo, suscettibile di ulteriori incrementi. Alcuni lemmi ci introducono nello slang dei confratelli, tra andature zigzaganti, che suscitano le imprecazioni di chi subisce gli scompensi del cosiddetto fa u s’rpoène, o movenze ondeggianti che ricordano i movimenti a ritmi di spirù. Spesso questo sardonico gergo da confraternita aff onda le radici in disavventure occorse in passato e rimaste celebri, come accade per l’espressione fass la precessiòn a temmùrr. Essa allude a un equivoco verifi catosi negli anni Trenta con protagonisti il confratello Gabriele Poli e un capobanda distratto che non aveva ben compreso quando si dovesse attaccà a senè. Il Gergario dei Gadaleta è anche ricco di spunti sulla storia di Molfetta e sui suoi più celebri confratelli. Rivivono così il Capataz- Leonardo Balacco, col suo reboante vocione e le canzoncine intonate nervosamente negli istanti immediatamente antecedenti al sorteggio, o il sedicente mazziere Sett dint e altri illustri mezzìr da Marzocca a Calvario. Conosciamo personaggi degni di una commedia partenopea, come la “robusta e sanguigna popolana” Stacciòen, con le sue alte strida che facevano arrezzà r’ carn, ma, a ben vedere, avrebbero dovuto suscitare ilarità, dal momento che paventavano malanni del tutto improbabili per una donna dalla salute ferrea. Involontariamente comici divengono anche i brogli di certi confratelli nell’eff ettuazione dei sorteggi: i Gadaleta spiegano come nel mitico Cappidd d’ Caruenn i bigliettini delle coppie gradite agli estrattori fossero solo leggermente arrotolati e quindi riconoscibilissimi al tatto. Gli artefi ci del trucchetto potevano così permettersi persino di gigioneggiare, fi ngendo di presentire quasi per divinazione l’estrazione – che puntualmente avveniva - di questo o quel portatore (M’ send ca cuss enne av’assaie...). Siamo poi indotti a sorridere dall’immagine tronfi a delle consorti dei confratelli baciati dalla sorte (e dal sorteggio); le vediamo pavoneggiarsi sogghignanti e dispensare occhiate canzonatorie alle mogli di quelli costretti a restare alla candela, in un’atmosfera da beff a boccacciana. Scopriamo un mondo litigioso – ne sa qualcosa la famigerata “via delle candele rotte” -, ma dotato di un suo inderogabile codice etico. Pronto a bacchettare l’innovazione di un sepolcro un po’ troppo ardito e per questo assimilabile a un profano Tabarin, ma anche a commuoversi udendo intonare il mesto Tì-Tè (Il pianto di Maria) o lo struggente Dolor. Un mondo fatto di zingarate, come quelle dei cosiddetti Parigini, e di occasioni conviviali, tra cui quello che viene defi nito, con una buona dose di humour nero, Murticidd. La vocazione marinaresca del nostro popolo emerge nell’uso di termini mutuati dal dominio della navigazione, come l’esortazione Attraccàit, l’ giuvene, fi nalizzata a colmare imbarazzanti vuoti nei ranghi del corteo. E così tra raggiere confuse con donnine di Francia, profumi tutt’altro che mistici diff usi da un multifunzionale incensiere e penne che si spuntano per negare l’ammissione di confratelli sgraditi, ci viene donata una deliziosa istantanea della Molfetta che fu. In un monito a non smarrire il senso delle tradizioni, ad amarne le fragranze di ceri accesi, il gergo oscuro, la confi dente melanconia.

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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