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Il fotografo dei sentimenti
15 marzo 2020

A che serve una profondità di campo se non c’è una profondità di sentimento? Lo diceva il grande fotografo americano Eugene Smith. E Mauro Germinario che in altre occasioni ho definito il fotografo del sentimento, non si smentisce neanche questa volta. Ci racconta la sua, la nostra città Molfetta attraverso un percorso che ci offre uno sguardo emotivo su luoghi conosciuti e amati, ma osservati distrattamente. Paesaggi e monumenti ai quali siamo abituati e che fanno parte della nostra storia, ma sui quali non ci siamo soffermati per ammirarne la bellezza e la storia. E Mauro, indossando l’abito della sensibilità, ha immortalato luoghi e persone (il popolo che festeggia la patrona, il pescatore che ripara le reti, il maestro d’ascia) con uno sguardo attento a documentare il mondo, per catturare, afferrare in alcune immagini l’essenza stessa della gente. Così il paesaggio urbano si fa sentimento e si lascia guardare con semplicità, ma anche con quella profondità che è propria dell’amore. “Io amo la mia città” ha intitolato la sua mostra Mauro per dare vita a immagini capaci di portarci oltre i confini geografici della città fotografata, alla ricerca di storie ed emozioni. La fotografia diventa così antropologica con immagini sempre reali, mai astratte, apparentemente frutto del caso, ma in realtà profondamente pensate. Mauro Germinario ci offre anche una percezione del tempo e dei suoi cambiamenti. Nelle sue fotografie ci sono paesaggi mutati, ormai affidati alla memoria del passato, un ricordo di ciò che si è vissuto. Ecco il concetto del tempo e la sua correlazione con la fotografia che è anche una forma di commemorazione che può rendere “immortale” ciò che è destinato a mutare inevitabilmente con il passare del tempo ad opera dell’uomo e della natura. Ecco la fotografia come macchina del tempo che ci permette di tornare nel passato e riviverlo nel presente e a trasmettere nel futuro il ricordo di luoghi amati. Nel momento stesso dello scatto, la fotografia diventa già passato. Roland Barthes ha descritto la percezione di una fotografia come una congiunzione di “qui-ora” (l’immagine) e “li-allora” (la realtà). Mi piace molto questa definizione dello scrittore francese che spiega come la fotografia possa fondere presente e passato, come una nuova categoria spazio-temporale che esiste contemporaneamente nel passato e nel presente. La fotografia di Mauro Germinario ci riporta al tema della memoria, già presente nelle foto della settimana santa (riportate nel libro fotografico “I percorsi del tempo” pubblicato 2 anni fa) nelle quali possiamo notare non solo i cambiamenti avvenuti nel tempo, sul volto delle persone conosciute, ma anche in determinati luoghi e paesaggi. Così con la fotografia nasce un nuovo tipo di memoria, frutto del lavoro di un uomo e della sua macchina che permette di registrare in modo indelebile particolari momenti, legando così la fotografia al tema della memoria, fissando momenti che non si potranno ripetere. Ma anche le foto di luoghi e monumenti non sono statiche perché la memoria ci permette di riprodurre nella mente l’esperienza passata e di localizzarla nello spazio e nel tempo che si riavvolge come un rullino e ci riporta davanti agli occhi gli stessi fotogrammi. Ecco l’identità del tempo, che nonostante i mutamenti, ci permette di leggere la percezione che ogni individuo possiede. Nello spazio urbano è possibile decifrare il suo rapporto con l’uomo, quella memoria sociale, che ci permette di interpretare e selezionare questi spazi a noi cari, collocandoli tra passato, presente e futuro (quello che immaginiamo per questi luoghi amati). Infatti, alcuni luoghi interpretati dallo sguardo e dalla sensibilità del fotografo, diventano elementi utili alla formazione identitaria di una comunità, che si riconosce nei suoi monumenti e si ritrova ricordi legati alla propria vita. Le foto di Germinario ci permettono di meditare, perché come disse qualcuno, “se non ci sono immagini, non c’è storia” nel rapporto tra le radici e la tradizione (lo sbarco della statua della Madonna dei Martiri) perché la comprensione del quotidiano parte proprio dalla memoria del passato e dal riconoscimento della propria appartenenza alla storia della città. Perché la storia del territorio è anche la storia degli uomini che lo hanno popolato e che lo hanno trasformato. E la fotografia diviene fonte per la conoscenza storica e invito alla riflessione, scrivendo la storia del territorio, della città perché l’etimologia stessa della parola fotografia dal greco phos e graphie significa scrivere (grafia) con la luce (photos) Vorrei concludere con le parole di un grande fotografo milanese Gabriele Basilico stralciate da “Lettere alla mia città” scritte nel 1999 che mi sembrano attinenti con questa mostra di Mauro Germinario: “Io vivo in questa città. Amo questa città come si può amare qualcuno a cui ci lega un vecchio rapporto di familiarità e amicizia. E’ la città nella quale sono cresciuto. Ha dato forma anche alle mie passioni, alle mie speranze, alle mie angosce. Questa città mi appartiene e io le appartengo, quasi fossi un frammento fluttuante nel suo immenso corpo”. © Riproduzione riservata

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