La tragedia del coronavirus sta colpendo molto duramente il mondo dell’educazione e dell’istruzione. Avviene che nelle case, tra genitori e figli, in queste settimane giri il fantasma di una strana didattica. Sulla sua identità si possono descrivere almeno quattro caratteristiche: la didattica a distanza, la didattica del riflusso, la didattica della lontananza, la lontananza della didattica. Incominciamo dalla didattica a distanza. Sappiamo tutti che nella scuola alunni e insegnanti occupano lo stesso spazio contemporaneamente. Con questa didattica, invece, c’è sia la distanza temporale, perché manca il tempo sincronico della relazione docente-allievo, sia quella spaziale, dato che l’insegnamento avviene da remoto e non c’è lo spazio fisico abitato in compresenza da entrambi. Questa didattica nasce circa due secoli fa con la cosiddetta formazione a distanza (FAD, cioè una organizzazione di insegnamento tramite posta dedicato agli adulti e adattato alle loro esigenze professionali e di carriera. Importantissimo è sottolineare che l’evoluzione tecnologica (Internet) ha fatto passare la FAD da una impostazione focalizzata sull’insegnamento del docente e sul programma, a quella centrata sull’apprendimento, sui bisogni di ogni alunno, sulla interazione fra gli allievi e, quindi, sulla realizzazione di una community, che condivide problemi e esperienze mediante i forum, le chat e gli altri strumenti del web. E questa transizione fa privilegiare ora il termine di e-learning rispetto a quello ormai vecchio di FAD. La FAD, in quanto istruzione degli adulti, non esiste nella scuola. In questa, però, momenti didattica a distanza sono presenti talvolta nella forma definita mista, cioè di insegnamento in presenza e a distanza con mezzi di approfondimento e di compiti a casa per aiutare lo studente a interagire con il mondo virtuale, soprattutto cooperando con i compagni di studio. In queste scuole la didattica a distanza di fatto costituisce un valore aggiunto ad un percorso di formazione in totale presenza. Certo è che la scuola dell’infanzia, soprattutto, la primaria e la secondaria di primo grado non si offrono come campi privilegiati di quella didattica, come dopo vedremo. Invece, l’epidemia in corso ha reso tale didattica la dea benigna di tutta la scuola. È vero che gli insegnanti praticano in qualche modo alcuni strumenti tecnologici (le LIM nelle aule, l’aula informatica in ogni plesso), ma questo non è per nulla sufficiente per riformulare improvvisamente il ruolo loro e della scuola. Se prendiamo i famigerati registri elettronici, il presunto pane quotidiano dei docenti, vengono fuori le loro scarse competenze informatiche. Peraltro, l’assenza di fondi proporzionati ha impedito la dotazione informatica nelle scuole e una appropriata formazione degli insegnanti, la cui creatività è messa a durissima prova proprio nel realizzare quella “distanza” in modo positivo. Qui viene il discorso della didattica del riflusso e occorre ritornare a quanto è stato detto prima sulla evoluzione della FAD e della scuola. Cioè, a causa della mancanza di strumenti informatici e di formazione degli insegnanti, la didattica che si sta utilizzando, in genere, ha tutti gli elementi caratteristici della vecchia scuola: insegnamento di un sapere passivo, pure tramite Whatsapp, Skype e presidi analoghi, centralità del docente, insegnamento individuale (ma uguale per tutti), dominanza delle parole e delle immagini come unici supporti della conoscenza. Sono assenti o carenti gli aspetti specifici dell’e-learning: centrazione sull’alunno che apprende mediante coinvolgimento attivo, confronto cooperativo con i compagni e navigazione nella costruzione del sapere, impiegando tutti i media (forum, chat, e-mail, sistemi di audiovideoconferenza, ecc.). Eppure, questi ultimi aspetti stavano recentemente emergendo in qualche modo nella scuola anche grazie a forme di sperimentazione come le “scuola senza zaino” e l’uso di tecnologie per individualizzare l’insegnamento. Ora, invece, la didattica a distanza sta diventando spesso solo una trasmissione di compiti agli alunni, che ha snaturato il ruolo dei genitori costringendoli alla rivolta. Così sta crescendo un nuovo svantaggio educativo e sociale. Prima, ai tempi di don Milani, si lamentava che la scuola proteggeva la classe media, perché usava linguaggi e contenuti tipici di quella classe. Ora la didattica a distanza privilegia la classe “digitale”, ma sfavorisce completamente l’utenza che in famiglia non trova alcuna competenza informatica. Qualche giorno fa Stefano Laffi ha scritto: “L’indagine fatta dall’Unione degli Studenti dopo 2 settimane di chiusura delle scuole superiori su un campione di 9 mila studenti in Lombardia racconta che solo il 24% riesce a far lezione regolarmente a distanza, su tutte le materie, che il 40% ha difficoltà a seguirle. Facile immaginare che altrove il quadro sia anche più critico”. Pure qualche giorno fa una insegnante delle nostre parti mi ha scritto: “Nei collegi a distanza ho fatto presente questa situazione con dati oggettivi dell’iscrizione sulla piattaforma adottata di sole 14 famiglie su due classi. Ho rilevato i disagi delle famiglie; i bambini di seconda primaria non sono autonomi nell’uso delle tecnologie e i genitori necessariamente devono essere il tramite, ma non tutti sono sufficientemente preparati. Non ci sono le competenze per utilizzare anche la posta elettronica...”. Insomma, la didattica a distanza è un ulteriore fattore di svantaggio socioculturale degli alunni, proprio quello che la scuola deve evitare. Ecco che emerge la questione della didattica di lontananza. L’epidemia ha aperto scenari imprevisti, lontanissimi da quelli interpretati da un programma scolastico fissato dall’inizio dell’anno e anche dai programmi ministeriali. I ragazzi e le famiglie stanno vivendo povertà, angosce, problemi che ingombrano la mente e il cuore di adulti e piccoli. Di quale mondo, di che scienze, di che geografia, di quale storia, di quale letteratura oggi si deve parlare? Oggi questa mascherata di didattica a distanza sta ripetendo lo scenario di scuola descritto un secolo fa dal nostro concittadino Gaetano Salvemini, di una scuola preoccupata di “ingozzare” gli alunni, i quali “sopraffatti disorientati soffocati dalla massa incoerente di nozioni che fanno spesso a pugni fra loro e che essi devono giorno per giorno ora per ora tenere sulla punta della lingua per fare sfoggio di pappagallismo, non hanno il tempo né di pensare, né di riflettere, né di assimilare...”. Questa constatazione è di una attualità sorprendente se si pensa che oggi i neuroscienziati usano proprio la parola “ingozzamento”, quando indicano il processo di assimilazione scolastica di contenuti che non tengono conto della condizione di vita emotiva degli alunni. Essi richiamano l’importanza della cosiddetta “nicchia affettiva” degli apprendimenti che deve essere rispettata altrimenti i ragazzi vomitano le nozioni imposte, collocandole nel dimenticatoio cioè nel cestino delle cose inutili, brutte, indigeste. Questo conduce alla lontananza della didattica a distanza. Parlo di una lontananza inevitabilmente imposta dal fatto che ci sono diverse età, non solo cronologiche, di alunni che non possono approfittarne. Non parliamo dei nidi, perché stiamo su un altro pianeta. Ma incominciamo dalla scuola dell’infanzia. Come fanno i treenni, i quattrenni a imparare qualcosa con messaggi Whatsapp (quando ci sono!) e senza l’abbraccio corporeo dell’insegnante, senza il dialogo e il contrasto a più voci (toniche, affettive e linguistiche) con i compagni? Come fanno i bambini della primaria a imparare cos’è il mondo senza “usarlo” e poi raccontarlo? Quella didattica allontana gli alunni perché utilizza informazioni soprattutto di tipo visivo-uditivo e un bagaglio semantico astratto. Essa sconta il peccato di origine, di essere cioè adatta ad uno stadio della mente che è quello degli adulti. Tutti gli sforzi che essa compie per annullare questo limite diventano sempre più inefficaci quanto più si scende nell’età evolutiva dei suoi fruitori. E i bambini più piccoli restano a bocca asciutta. E restano pure insoddisfatti i genitori di quei bambini perché la scuola dell’infanzia non adempie ad uno dei suoi compiti istituzionali, cioè di venire incontro alle esigenze delle famiglie, ora lasciate sole. Ancora una volta è proprio l’infanzia ad essere esclusa dall’offerta formativa, mentre essa è la più sicura garanzia del capitale anche economico del nuovo mondo. Lo dice chiaramente l’economista, premio Nobel, James Heckman: “Investimento nelle risorse educative delle famiglie più sostegno allo sviluppo delle competenze cognitive e socio-emotive dei bambini a partire dalle fasi precoci uguale guadagno a lungo termine perché consente di avere cittadini più capaci, più produttivi, di valore che creano sviluppo economico e sociale anche per le generazioni future”. I mesi perduti di scuola dell’infanzia sono disastrosi per il PIL nazionale, più di ogni altro mancato investimento. Un altro aspetto fondamentale è quello che con la didattica a distanza si separa ulteriormente l’istruzione dall’educazione. Ci sono cioè dei saperi, definiti valori (le cosiddette virtù civili, responsabilità, solidarietà, ecc.) che vengono appresi solo convivendo con i maestri di vita, per nulla a distanza ma in-presenza totale con loro. I pappagalli non diventano mai buoni e bravi cittadini! Un discorso, questo, che merita altro spazio. Di qui, per concludere, una proposta. Qualche giorno fa ho auspicato che il sindaco di Molfetta, un gran lavoratore da me spesso criticato, tenga conto di questa situazione di grave emergenza sociale e possa assumere delle iniziative. La prossima estate si può recuperare la socializzazione di gruppi di ragazzi impoveriti pesantemente dalla chiusura di tutti gli spazi pubblici? Esistono delle competenze a Molfetta (ad esempio Teatrermitage, il Carro dei Comici, le associazioni sportive, quelle di cultura ecologica, solo per citare alcune) che possono essere utilizzate, evitando manifestazioni confusive, non solo per ridurre le conseguenze negative di questi mesi ma anche per alleggerire i genitori che sicuramente in quello stesso periodo saranno costretti a colmare i deficit di serenità e di bilancio? Ancora, è possibile, in situazione di grave emergenza, rompere la tradizione di non fare nessuna attività scolastica in estate e nel tardo pomeriggio? Contro questo virus la sopravvivenza intelligente è d’obbligo e l’«andrà tutto bene» non può essere un refrain durato poche ore. © Riproduzione riservata