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Il Dialogo fra le religioni dopo Charlie Hebdo Le terre libere dei Giardini di Avalon
15 aprile 2015

Caro direttore mi permetto di sottoporti questo breve testo, sintesi di un conferenza tenuta all’Università popolare il 10/2/2015. Vorrei sottolineare il fatto che ancora una volta papa Francesco è più avanti del mondo laico e che con il prossimo viaggio a Sarajevo sta indicando la strada da seguire per una narrazione credibile nel prossimo millennio. Ho una figlia, Manuela, che fa la pittrice e la performer a Parigi. Vedere Parigi trasformata in un teatro di guerra, alcune immagini 19° Distretto, altre del Parco Des Buttes Chaumont, dove ci stendevamo sull’erba nella primavera di alcuni anni fa mi ha dato angoscia e turbamento. Il parco è vicino all’avenue Jean Jaurès dove abita Manuela e naturalmente mi è venuto in mente che una qualsiasi ragazza a Parigi, entrando in un market può diventare ostaggio dei terroristi. Ma non è questo il tema che voglio affrontare con voi, bensì la scontro che sta avvenendo nel mondo fra le due civiltà (quella cristiana e quella islamica) e lo scontro parallelo fra le tre religioni monoteiste (cristianesimo, ebraismo, islamismo). Io vorrei parzialmente problematizzare lo slogan Je Suis Charlie perché personalmente, come ha sostenuto Alain Badiou, non ho mai pensato di scrivere qualcosa sul sedere di Allah o Maometto. La posta in gioco è ben altra: si tratta del futuro dei nostri figli e di una narrazione credibile per il prossimo millennio. La religione, dal punto di vista laico in cui mi muovo, è il desiderio che tutti hanno di proiettarsi nell’eternità; se uno non crede nel pantesimo, ma è monotesista tende a sublimare la propria paura di morire nella vita eterna. Le tre religioni monoteiste sono concordi nel preservare la vita della persona, ma è una religione dell’uomo, attiene ad una delle dimensioni più intime di una persona e non giustifica in nessun modo la violenza. I sicari vestiti di nero che decapitano i prigionieri, i foreign fighters, i giovani frustrati dei sobborghi di Parigi che si convertono all’Isis non hanno niente a che fare con la religione islamica, sono solo terroristi. Ma lo sono diventati perché nel mondo occidentale non trovano una narrazione credibile per il prossimo millennio, il pensiero laico non riesce a fornire loro elementi per una narrazione credibile. Una narrazione può essere la teologia della liberazione e in questo può avvenire l’incontro fra le tre religioni; preservazione della vita umana e liberazione dalla schiavitù e dal dominio, liberazione dalla fame, dalle malattie, dal freddo, dalla neve, da ebola. Papa Francesco in questo è più avanti dei politici perché ha annunciato che andrà in Giugno a Sarajevo per avviare il dialogo fra le religioni, ma nel recente passato altri intellettuali si sono battuti per la religione dell’uomo. Alcuni intellettuali che mi hanno nutrito, Althusser e Derrida, religiosi che hanno combattuto per la religione dell’uomo Monsignor Romero, Camillo Torres e tanti altri. L. Althusser, nella fase finale della sua esistenza, si avvicinò alla teologia della liberazione ed ebbe dei colloqui con il teologo Stanislas Breton, trovando una convergenza fra il messaggio messianico del marxismo e teologia della liberazione. J. Derrida nel libro Spettri di Marx sosteneva che l’incontro fra le tre grandi religioni monoteiste ( cristianesimo, islamismo ed ebraismo) può avvenire a Gerusalemme e là bisogna organizzare un summit mondiale fra le religioni alla ricerca della religione dell’uomo. Io da parte mia questa sera vi propongo un testo su Derrida e Lèvinas – Violenza e metafisica che penso di inserire nel prossimo numero di quindici. E da domani su Facebook per scacciare la paura aprirò una campagna su Paris- La ville lumière.

Scheda Óscar Romero

Óscar Arnulfo Romero y Galdámez (Ciudad Barrios, 15 agosto 1917 – San Salvador, 24 marzo 1980) è stato un arcivescovo cattolico salvadoregno. Fu arcivescovo di San Salvador, capitale di El Salvador. A causa del suo impegno nel denunciare le violenze della dittatura militare del suo paese, fu ucciso da un cecchino di estrema destra, mentre stava celebrando la messa.

Biografia Nascita e ordinazione sacerdotale

Nacque, secondo di otto fratelli, da una famiglia di umili origini. Manifestato il desiderio di diventare sacerdote, ricevette la sua prima formazione nel seminario di San Miguel (1930). I suoi superiori, notando la sua predisposizione agli studi e la docilità alla disciplina ecclesiastica, lo mandarono a Roma. Compì la sua formazione accademica nella Pontificia Università Gregoriana negli anni dal1937 al 1942, nella Facoltà di Teologia, conseguendo il baccellierato, la licenza e continuando con l’iscrizione a un anno del ciclo di dottorato. Ordinato sacerdote il 4 aprile 1942, svolse il suo ministero di parroco per pochi anni. In seguito fu segretario di Miguel Angel Machado, vescovo di San Miguel. Venne poi chiamato a essere segretario della Conferenza episcopale di El Salvador. Elezione a vescovo Il 25 aprile 1970 venne nominato vescovo ausiliare di San Salvador, ricevendo l’ordinazione episcopale il 21 giugno 1970 da parte di Girolamo Prigione, nunzio apostolico in El Salvador. Diventò così il collaboratore principale di Luis Chávez y González, uno dei protagonisti della Seconda conferenza dell’episcopato latinoamericano a Medellín (1968). Il 15 ottobre 1974 venne nominato vescovo di Santiago de María, nello stesso Stato di El Salvador, uno dei territori più poveri della nazione. Il contatto con la vita reale della popolazione, stremata dalla povertà e oppressa dalla feroce repressione militare che voleva mantenere la classe più povera soggetta allo sfruttamento dei latifondisti locali, provocò in lui una profonda conversione, nelle convinzioni teologiche e nelle scelte pastorali, anche grazie all’influenza del gesuita Jon Sobrino, esponente di punta dellateologia della liberazione.[1] I fatti di sangue, sempre più frequenti, che colpirono persone e collaboratori a lui cari, lo spinsero alla denuncia delle situazioni di violenza che riempivano il Paese. La nomina ad arcivescovo di San Salvador, il 3 febbraio 1977, lo trovò pienamente schierato dalla parte dei poveri, e in aperto contrasto con le stesse famiglie che lo sostenevano e che auspicavano in lui un difensore dello status quo politico ed economico. Romero rifiutò l’offerta della costruzione di un palazzo vescovile, scegliendo una piccola stanza nella sagrestia della cappella dell’Ospedale della Divina Provvidenza, dove erano ricoverati i malati terminali di cancro. La morte di padre Rutilio Grande, gesuita, suo amico e collaboratore, assassinato assieme a due catecumeni appena un mese dopo il suo ingresso in diocesi, divenne l’evento che aprì la sua azione di denuncia profetica, che portò la chiesa salvadoregna a pagare un pesante tributo di sangue. L’esercito, guidato dal partito al potere, arrivò a profanare e occupare le chiese, come ad Aguilares, dove vennero sterminati più di 200 fedeli. “Vi supplico, vi prego, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!”, gridò all’esercito e alla polizia. Come risposta a questa richiesta gli organi di stampa fedeli al regime pubblicarono una immagine di papa Giovanni Paolo II accompagnata da una frase del pontefice da intendere come monito: “Guai ai sacerdoti che fanno politica nella chiesa perché la Chiesa è di tutti”[2]. Le sue catechesi, le sue omelie, trasmesse dalla radio diocesana, vennero ascoltate anche all’estero, diffondendo la conoscenza della situazione di degrado che la guerra civile stava compiendo nel Paese. La sua popolarità crescente, in El Salvador e in tutta l’America latina, e la vicinanza del suo popolo, furono in contrasto con l’opposizione di parte dell’episcopato, e soprattutto con la diffidenza di papa Paolo VI. Il 24 giugno 1978, in udienza da quest’ultimo, denunciò:[3] « Lamento, Santo Padre, che nelle osservazioni presentatemi qui in Roma sulla mia condotta pastorale prevale un’interpretazione negativa che coincide esattamente con le potentissime forze che là, nella mia arcidiocesi, cercano di frenare e screditare il mio sforzo apostolico » (Nota lasciata a Paolo VI da Romero durante l’udienza concessagli il 24 giugno 1978) Romero, per le sue posizioni teologiche favorevoli[4] alla teologia della liberazione, ebbe sempre un cattivo rapporto con Paolo VI e non riuscì a ottenere l’appoggio del nuovopapa Giovanni Paolo II, che tenne conto delle sue notevoli capacità pastorali e della sua fedeltà al vangelo, ma fu molto cauto per il timore di una sua eventuale compromissione con ideologie politiche, in realtà infondata nel caso di Romero che era decisamente ortodosso, creando ostacoli tra l’America Latina e la Santa Sede. Il 2 febbraio 1980, aLovanio, in Belgio, ricevette la laurea honoris causa per il suo impegno in favore della liberazione dei poveri.

La morte

«In memoria del vescovo Romero In nome di Dio vi prego, vi scongiuro, / vi ordino: non uccidete! / Soldati, gettate le armi... / Chi ti ricorda ancora, / fratello Romero? Ucciso infinite volte / dal loro piombo e dal nostro silenzio. / Ucciso per tutti gli uccisi; / neppure uomo / sacerdozio che tutte le vittime / riassumi e consacri. Ucciso perché fatto popolo: / ucciso perché facevi / cascare le braccia / ai poveri armati, / più poveri degli stessi uccisi: / per questo ancora e sempre ucciso. Romero, tu sarai sempre ucciso, / e mai ci sarà un Etiope / che supplichi qualcuno / ad avere pietà. / Non ci sarà un potente, mai, / che abbia pietà / di queste turbe, Signore? / nessuno che non venga ucciso? / Sarà sempre così, Signore? » (David Maria Turoldo) Il 24 marzo 1980, mentre stava celebrando la messa nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza, fu ucciso da un sicario su mandato di Roberto D’Aubuisson, leader del partito nazionalista conservatore ARENA (Alianza Republicana Nacionalista). N e l l ’ o m e - lia aveva ribadito la sua denuncia contro il governo di El Salvador, che aggiornava quotidianamente le mappe dei campi minati mandando avanti bambini che restavano squarciati dalle esplosioni. L’assassino sparò un solo colpo, che recise la vena giugulare mentre Romero elevava l’ostia nella consacrazione. Giovanni Paolo II non presenziò al funerale, ma delegò a presiedere la celebrazione Ernesto Corripio y Ahumada, arcivescovo di Città del Messico. Durante le esequie l’esercito aprì il fuoco sui fedeli, compiendo un nuovo massacro. Il 6 marzo 1983 Giovanni Paolo II rese omaggio a Romero, venerato già come un santo dal suo popolo, sulla sua tomba, nonostante le pressioni del governo salvadoregno. La beatificazione La Chiesa cattolica aprì nel 1997 la causa di beatificazione e gli attribuì il titolo di servo di Dio: il postulatore della causa è l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia. Giovanni Paolo II, in occasione del Giubileo del 2000, citò Romero nel testo della “celebrazione dei Nuovi Martiri”, riprendendo quasi integralmente quanto aveva scritto il giorno della sua morte alla Conferenza Episcopale salvadoregna: « Il servizio sacerdotale della Chiesa di Oscar Romero ha avuto il sigillo immolando la sua vita, mentre offriva la vittima eucaristica. » La sua causa di canonizzazione, rimasta ferma per anni, è stata sbloccata dall’intervento di papa Benedetto XVI[5][6], ed in seguito proseguita da papa Francesco, che ne desidera una rapida conclusione, in quanto sulla base delle testimonianza del capitano di polizia Alvaro Rafel Saravia - l’unica persona condannata per il suo omicidio - Romero è stato assassinato per odio alla fede; questa decisione è stata comunicata personalmente dal papa al postulante della causa, che in un incontro privato aveva auspicato la contemporanea beatificazione di Romero e di Pino Puglisi, il sacerdote ucciso dalla mafia, e da questi resa pubblica il 22 aprile 2013[7][8]. Infine, Papa Francesco, con proprio decreto del 3 febbraio 2015[9], ha riconosciuto il martirio in odium fidei di monsignor Romero, che verrà elevato alla gloria degli altari, come beato, in una solenne celebrazione in San Salvador, entro l’anno 2015[10]. La Chiesa anglicana, la Chiesa luterana e la Chiesa vetero-cattolica lo commemorano come martire il 24 marzo.

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