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Il Comitato interprovinciale No Tap condanna le scritte contro la sede di Confindustria Lecce
20 agosto 2014

Il Comitato interprovinciale No Tap condanna le scritte contro la sede di Confindustria Lecce, ma precisa: «Confindustria tuteli gli interessi delle aziende virtuose che fanno dell’efficienza energetica un fattore di crescita occupazionale e non di chi impiega scelleratamente risorse per pianificare impianti da fonti fossili, inquinanti e anti economici.

Il coordinamento interprovinciale pugliese contro il gasdotto TAP esprime massima solidarietà a Confindustria Lecce per l’attacco subìto da parte di ignoti che hanno imbrattato la loro sede con scritte anti TAV e anti TAP: è ovvio che non sono questi i metodi di lotta più aggreganti e efficaci per far prevalere le ragioni del fronte contrario al famigerato e inutile gasdotto. 

Massima solidarietà anche per il danno cerebrale inferto dal pensiero fossile alla dirigenza di Confindustria che arriva fino a definire il gasdotto TAP “una iniziativa lodevole ed importante, che consentirà al sistema economico nazionale e territoriale di allineare i costi energetici a quelli europei e ridimensionare la forte dipendenza del nostro Paese dal petrolio e dal carbone”. 

Per ristabilire la verità dei fatti e ritrovare un senso logico, è necessario ricordare che se siamo troppo dipendenti dalle fonti fossili, che dovremmo cercare di cambiare fonte e non cercare solo di ottenere le stesse fonti da fornitori diversi a prezzi che si pretendono più vantaggiosi. Se uno è drogato, la soluzione efficace non è fargli cambiare spacciatore, ma farlo smettere. In una prospettiva di Terza Rivoluzione Industriale, questo significa abbandonare il ciclo energetico fossile per quello solare. 

Spendere 10 miliardi per costruire un gasdotto che permetta alla feroce dittatura dinastica azera degli Aliyev di venderci il loro gas, non ha nessuna logica, se non speculativa e irresponsabile. Infatti in Italia siamo in una situazione di overcapacity elettrica: in altre parole, in Italia abbiamo troppa elettricità. 

Dal 2002 a oggi abbiamo visto l’entrata in funzione di nuove centrali a gas e la riconversione di centrali a olio combustibile a carbone, il che ha portato secondo i dati di Terna, il totale di capacità produttiva di centrali termoelettriche installate a 78mila MW di potenza, (a cui si sono aggiunti i 45mila MW da fonti rinnovabili). Nonostante ciò invece, ci sono, secondo i dati del Ministero dello Sviluppo Economico, ci sono 6 centrali in fase di realizzazione per ulteriori 3.543 MW. Poi ce ne sono addirittura ben 38 in corso di autorizzazione tra gas, metano, carbone, per ulteriori 23.990 MW. 
Se applicassimo fedelmente le direttive europee in tema di efficienza energetica, i nostri consumi si ridurrebbero, rendendo ancora meno necessaria la costruzione di nuovi impianti, nuove centrali e nuovi gasdotti. 

Confindustria dovrebbe sapere meglio di chiunque altro che in Italia c’è una assoluta mancanza di pianificazione energetica, e che quando c’è un pallido tentativo di elaborarne una, essa va in una direzione opposta, che penalizza i consumatori virtuosi e premia le industrie energivore e quei produttori di energia che continuano a sbagliare i loro investimenti da vent’anni puntando su inutili impianti di produzione di energia elettrica da fonti fossili. 

Confindustria dovrebbe perciò spingere perché il governo favorisca (anziché ostacolarle) le rinnovabili, facendo fronte all'inadeguatezza delle reti in alcune Regioni, e alla mancanza di pianificazione di sistemi di accumulo e di autoconsumo. 

Confindustria insomma deve fare una scelta: 
adottare una strategia che tuteli gli interessi delle migliaia di suoi membri che sono aziende virtuose che hanno fatto dell’efficienza energetica un fattore di crescita occupazionale (come in Germania) o continuare a fare gli interessi di quei membri che continuano a installare impianti da fonti fossili, e che oggi stanno ormai cadendo nella marginalità e nell’irrilevanza, tanto da essere ormai costretti a mendicare un aiuto di Stato sotto forma di esenzioni fiscali o tariffarie o come capacity payment (cioè remunerazione dalla capacità di fornire una “riserva” di nell’ipotesi sempre più remota che gli impianti rinnovabili dovessero essere insufficienti).

Consideri Confindustria che i suoi membri che continuano a scegliere i fossili generano rilevanti danni economici alla collettività e una sempre crescente insostenibilità ambientale, sociale e sanitaria, e se davvero convenga continuare a sostenere chi distrae scelleratamente risorse rilevanti da uno sviluppo armonico e sostenibile per pianificare impianti obsoleti, inquinanti, anti economici che li espongono a debiti insostenibili e che non diminuiscono la nostra dipendenza dalle fonti fossili».

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