Ai figli aveva proibito di chiamarlo con questo neologismo idiota, evocatore di rimbambimento e pannoloni. “Come lo chiamiamo, allora, maggiordomo?”, aveva proposto il figlio minore, che non perdeva occasione di dire cretinate. “Potremmo chiamarlo assistente o tuttofare”, aveva suggerito il secondo figlio. “Chiamatelo semplicemente Max, è il suo nome’’, aveva risposto con fastidio il Giudice. Il figlio maggiore era all’estero, lavorava in una importante compagnia petrolifera, nel gazebo del giardino sedevano col Giudice le tre nuore e i due figli che si erano subito eclissati con una scusa. ‘‘Vuoi servirci il the?’’ chiese il Giudice alla moglie del figlio maggiore, la più silenziosa e discreta. “E Max”? Chiese la nuora numero due che moriva dalla voglia di conoscerlo. “Max ha il suo giorno libero”, rispose il Giudice con un tono che non ammetteva ulteriori approfondimenti. Il Giudice, Vostro Onore, come lo chiamavano fra loro figli e nipoti, andava più verso i novanta che gli ottanta, alto, un fisico asciutto ed elegante, gli occhi azzurri che potevano diventare di ghiaccio, i baffetti alla David Niven, era indubbiamente un uomo estremamente interessante. Era stato temuto in tribunale, ma rispettato e ammirato per la sua meritata fama di uomo integerrimo e imparziale. ‘‘Giorgio dov’è?’’, chiese alla nuora numero 1. ‘‘Starà giocando a palla’’, intervenne la nuora numero 2, che non perdeva occasione di iniettare un po’ di veleno in qualsiasi cosa riguardasse il nipote, accavallando le bellissime gambe scoperte molto sopra il ginocchio, che tentò di coprire di un paio di centimetri tirando giù la gonna all’occhiata ironica del Giudice. Giorgio, chiamato il Rosso, figlio unico del maggiore dei figli, era un ragazzone che superava il metro e novanta, rosso di capelli, con due larghe spalle da atleta e il viso ancora da adolescente coperto di efelidi che diventavano puntini dorati quando lui arrossiva, cosa che capitava abbastanza spesso essendo timido. La velenosa allusione della zia, che lo detestava avendo capito da tempo la predilezione del nonno, si riferiva al fatto che Giorgio era giocatore di Rugby, ciò non toglie che avesse brillantemente superato la maturità classica ed era amato anche dai cugini, che adorava, essendo figlio unico, e che ricambiavano il suo affetto. “Continuate pure, – disse il giudice, – dopo aver bevuto il suo the, ci vediamo dopo”. “Non si preoccupi per Giorgio – intervenne la nuora numero due – certamente non si perde nel parco”. Il Giudice si limitò a fulminarla con uno sguardo e si diresse in biblioteca. La biblioteca della Villa, era una stanza grandissima, zeppa di libri, tenuti con la massima cura in scaffali che arrivavano al soffitto, e comprendeva non solo libri di diritto, ma una grande varietà di libri di cultura e letteratura in diverse lingue. Giorgio era lì, talmente immerso nella lettura, che sobbalzò quando si accorse del Giudice. Arrossì, e le efelidi brillarono nella luce dorata del pomeriggio. “Scusami, nonno’’, cominciò a dire. ‘‘Non scusarti, la biblioteca è a disposizione della famiglia, peccato che sia poco frequentata. Cosa stai leggendo?”. Giorgio mostrò il libro, era un trattato di astronomia. “Mi sono iscritto alla facoltà di Ingegneria e poi vorrei fare la specialistica in Astrofisica’’. “Bene – disse il Giudice –, allora ti presento Max”. “Ma non era fuori per il suo giorno libero?”, chiese il Rosso. “Per gli altri, sì”, rispose il Giudice aprendo una porta che sembrava quella di un armadio, da cui venne fuori Max. ‘‘Ma è??’’ “E’…”, disse il Giudice, ridendo all’espressione sbalordita del ragazzo. “Max ti presento Giorgio”. L’ Androide tese la mano a Giorgio, una mano che appariva perfettamente umana come il resto del corpo, e si unì alla risata del Giudice. Era vestito in modo appropriato e curato, non era molto alto, ma snello e asciutto e avrebbe tratto in inganno chiunque, solo una leggera incertezza in qualche movimento avrebbe potuto tradirlo, ma questo non era mai avvenuto e non avvenne mai. “Ora raggiungi gli altri, Giorgio, – disse il Giudice – questo è un nostro segreto. So che sei un campione di Rugby, vieni domani alle 11 così mi spieghi il gioco, mi interessa molto, e non portarti dietro nessuno’’. ‘‘Certo nonno, a domani, arrivederci Max’’. Max si inchinò leggermente. Il giorno successivo Giorgio si presentò puntualissimo all’appuntamento col Giudice, e in modo chiaro e sintetico, gli spiegò le regole del Rugby, il gioco nato nel 1823 nell’omonima cittadina inglese e presente in Italia fin dagli anni ‘20, il gioco con la palla ovale che attrae perché è uno sport che si avvicina quasi ad una filosofia di vita. Spiega poi a Max che la mischia non è voler far male agli avversari, ma fa parte del gioco. “Andiamo alla tua prossima partita – decide il Giudice – e portiamo anche Max. Non mi fido di lasciarlo qui. Troppi curiosi in giro”. Il Rosso sorride senza commentare. Il giorno della partita la nuora n.2 che aveva sempre le antenne alzate telefonò per annunciare una sua visita – lo faceva di rado –, ma il Giudice rispose che era impegnato, senza ulteriori spiegazioni. Quando vide il nipote giocare in pieno… assetto di guerra, si sentì ancora più orgoglioso di lui, e dovette controllare le reazioni di Max alle mischie, a fine partita Giorgio li raggiunse all’uscita, felice dei commenti del nonno. La folla si era diradata e l’utilitaria di Giorgio, con la quale erano venuti, era parcheggiata in un viale poco distante ma piuttosto buio. Furono avvicinati da tre uomini con il volto quasi completamente coperto dal casco dei giocatori che impediva di riconoscerli. Uno di loro aveva in mano un manganello. “Chi siete ? Che volete?”, chiese il ragazzo, il Giudice non fece una piega. “Svelto, portafoglio e orologi, forza vecchio, molla il Rolex”. ‘‘Fermo, Giorgio!’’ intimò Vostro Onore, vedendo che il ragazzo si avventava contro uno dei tre, ricevendo da un altro un gran colpo in testa con la mazza, che lo fece cadere stordito. Max guardava immobile, non capiva cosa stesse succedendo. Per la Prima legge della Robotica un robot non può recar danno ad un essere umano. ‘‘Giorgio è in pericolo – disse il Giudice concitato – (un robot non può permettere che a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno) – Forza Max!” (Per la Seconda legge un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani purché tali ordini non vadano in contrasto con la Prima legge) – “Zitto! ”, intimò uno degli energumeni, con il manganello levato. Con pochi fluidi movimenti di Aikido, Max stese a terra tutti tre i malviventi, mentre arrivava una pattuglia della Polizia Stradale che era nelle vicinanze. Riconobbero il Giudice e misero le manette ai tre, in stato confusionale per quante ne avevano prese, guardando attoniti Max che si sistemava la giacca. “Le han fatto del male?”, chiese un Agente al Giudice. “Non mi sono mai divertito tanto”, rispose Vostro Onore. “Bravo, ragazzo, – disse l’altro agente a Max – se le meritavano”. “Echecazzo!”, rispose il robot, con quella che sembrava un’intonazione soddisfatta. ‘‘Si è perfettamente integrato anche lui’’sospirò il Giudice, alzando un sopracciglio. © Riproduzione riservata Il racconto