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Il 4 Novembre, una festa divisiva? Breve storia della data più longeva del nostro calendario civile
15 novembre 2024

È sempre bene distinguere ciò che è la storia di un avvenimento da ciò che ne è memoria. La memoria, le diverse memorie, si stratificano nel tempo, giungendo addirittura a corrompere i tratti storici di ciò che è accaduto. Cerchiamo allora di fare chiarezza. I FATTI Il 3 Novembre 1918, a Villa Giusti, presso Padova, i plenipotenziari dell’Italia e dell’Austria decisero di porre fine alle ostilità della I Guerra mondiale alle ore 15.00 del giorno seguente: nacque così la Festa della Vittoria. L’unificazione nazionale era stata compiuta con le Terre di Trento e Trieste, ma il prezzo era stato altissimo: oltre 4 milioni di soldati mobilitati, di cui 600.000 morti, 1.500.000 feriti e un numero imprecisato di invalidi fisici e psichici. LA COSTRUZIONE DELLA MEMORIA Questa “inutile strage”, come ebbe a chiamarla lo stesso papa Benedetto XV, impose agli Stati, alle autorità, ai singoli ed alle comunità, di dare un significato alla tremenda carneficina, espungendo gli aspetti più crudi per conservarne le motivazioni più alte e spirituali. In Italia, il primo anniversario passò quasi in sordina: le agitazioni del Biennio Rosso, la nascita del Movimento Fascista con le prime azioni violente contro i socialisti, il mito della “vittoria mutilata”, che portò D’Annunzio all’impresa di Fiume, rendevano il contesto incandescente. Mentre in molte città vi furono cerimonie di commemorazione, pose di targhe ed erezioni di monumenti, i socialisti opponevano una contro-memoria, contestando la retorica nazionalista, denunciando i costi della guerra, richiamando all’internazionalismo proletario. Mussolini ebbe facile gioco nel cavalcare le pulsioni nazionalistiche, riproponendo la logica del “nemico interno” della Patria, i socialisti e i comunisti. Dal 4 novembre del ‘22, la data divenne ufficialmente festa nazionale. Mentre in Francia la ricorrenza venne condivisa da parte di tutte le culture politiche, essendo vista come festa civile e non militare, da noi si assistette presto alla fascistizzazione dell’anniversario, legato al culto della Patria ed al mito nazionalista dell’Impero. Solo durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, la festa nazionale fu drasticamente ridimensionata, a causa dell’alleanza con la Germania. Già dopo l’8 settembre 1943, il mondo resistenziale avrebbe recuperato il 4 novembre come momento edificante del sentimento patriottico nella tradizione democratico-risorgimentale, in cui popolo ed esercito concordi avrebbero permesso la disfatta degli eserciti del dispotismo. Il 4 novembre 1944 Bonomi organizzò una cerimonia nella Roma liberata, a piazza Venezia, celebrando la rinascita della nazione democratica: ad essa presenziarono diversi leader partigiani come Ferruccio Parri ed Emilio Lussu. Nel ’46 De Gasperi ripristinò la festa come data simbolo della continuità dello Stato nazionale. Le celebrazioni contemplarono il giuramento di fedeltà delle Forze armate alla Repubblica, con l’ufficializzazione dell’inno di Mameli come inno nazionale. Ma fu solo nel ’49 che il 4 novembre perse la denominazione di Festa della Vittoria e acquisì quella di Giorno dell’Unità nazionale. Fu l’adesione dell’Italia al Patto Atlantico a dividere ulteriormente le forze politiche: con la Guerra Fredda, il problema della protezione dei confini nazionali divenne una questione di primo piano e al ministro della Difesa Pacciardi occorreva risollevare l’immagine delle Forze armate quale pilastro dello Stato. Per tutta risposta, nello stesso anno, il PCI promuoveva il movimento internazionale dei “Partigiani della Pace”. Per tutti gli anni 50 e 60 si evitò di parlare dei partigiani e si iniziarono a celebrare “i morti di tutte le guerre”, in nome di una riconciliazione fra vinti e vincitori. A metà degli anni 60 il vento politico cominciò a cambiare con i movimenti giovanili in fermento: l’antimilitarismo pacifista contestava radicalmente le istituzioni repressive come la scuola, la Chiesa e l’esercito. Finalmente, nel 1975 Aldo Moro espresse con parole ferme i valori democratici e costituzionali, richiamando l’art. 11, nella consapevolezza che la potenza terrificante delle nuove armi atomiche richiedeva rispetto e cooperazione fra i Paesi. Nel ’77, il 4 novembre smise di essere giorno festivo e le celebrazioni vennero spostate alla prima domenica del mese. LE POSIZIONI ODIERNE Da allora questa data del calendario civile registrò una sempre minore rilevanza politica ed identitaria, fino ai nostri giorni, in cui il Senato (12/7/23) ha dato via libera al ddl del Governo Meloni che ripristina la festività nazionale del 4 novembre come Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze armate. Alcuni vorrebbero, anzi, sostituirla al 25 aprile, in quanto esso ricorderebbe una “guerracivile fra italiani”. Nel 2023 si è assistito ad una polarizzazione politica e culturale sul tema delle celebrazioni di questa data: l’invasione russa in Ucraina e la guerra di Israele a Gaza dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre, hanno avuto come conseguenza, in tutta l’Europa, un deciso riarmo ed un allargamento delle posizioni belliciste. In Italia, la spesa militare per il 2025 dovrebbe raggiungere la cifra record di oltre 32 miliardi, mentre i fondi per l’acquisto di nuovi armamenti dovrebbe superare i 13 miliardi di euro: i Comitati per la pace hanno promosso per il 4 novembre una giornata di mobilitazione e di “sciopero bianco”, per chiedere la fine delle violenze in corso a Gaza, onorando le vittime e chiedendo lo stop delle politiche di riarmo. Contemporaneamente le istituzioni scolastiche sono invitate a “sensibilizzare gli studenti sul ruolo che le Forze armate svolgono”, sostenendo che “si intende, in special modo, ricordare tutti coloro che, anche giovanissimi, hanno sacrificato il bene supremo della vita per un ideale di Patria e di attaccamento al dovere: valori immutati nel tempo, per i militari di allora e quelli di oggi”. Ancora una volta, si utilizza il 4 novembre non per una ricostruzione storica di quelle che furono le condizioni bestiali dei militari nelle trincee, le decimazioni dei renitenti, la ferocia dei comandi militari, ma per esaltare il passato, e il presente, sempre più bellicista. E’ questa, per esempio, la posizione dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università che contrasta l’ingresso delle Forze armate nelle istituzioni scolastiche e chiede di diffondere la cultura del dialogo, per contribuire a realizzare il fine politico e storico della “pace perpetua” per tutta l’umanità. D’altra parte, avendo il 4 novembre la duplice denominazione di Festa dell’Unità e delle Forze armate, rende ancora più complicato aderire ai festeggiamenti: chi è contro l’autonomia differenziata potrebbe essere invogliato a rimarcare l’unicità della nazione, senza legare necessariamente tale idea ad un aumento delle spese militari e alla retorica nazionalista. LA POSIZIONE DELL’ANPI Nel 1958 l’Anpi otteneva il riconoscimento ufficiale di associazione combattentistica e, come tale, viene invitata ogni anno a presenziare alle celebrazioni del 4 novembre. Va precisato che questo riconoscimento fu un provvedimento di notevole importanza, in quanto confermava e stabiliva definitivamente che la Resistenza, nel travagliato processo di Liberazione, era stata una preziosa comprimaria, responsabile e organizzata: un esercito, a tutti gli effetti, che insieme agli Alleati aveva contribuito a liberare l’Italia dal Nazifascismo. Allo stesso tempo, all’art. 5 del suo Statuto, fra le attività da perseguire, l’Anpi segnala “la promozione della cultura della legalità e della pace fra i popoli” ed ha pubblicamente preso posizione nei confronti delle guerre in corso, a favore del dialogo e contro il riarmo. Si è inoltre fatta recentemente promotrice di una lettera delle Reti italiane per la pace contro la brutale violazione del diritto internazionale da parte di Netanyahu. Questo fa capire perchè all’interno dell’Anpi sia presente un grosso dibattito rispetto alla posizione da assumere nei confronti di questa festività, in quanto alcuni ne fanno un momento di rispetto per i nostri soldati caduti, monito alle giovani generazioni perché non si ripetano gli orrori del passato e occasione per riaffermare l’Unità della nazione, altri vedono in essa una celebrazione dei peggiori istinti sadico-masochisti del patriarcato e ribadiscono il ruolo dell’educazione e della cultura come vero antidoto alla pulsione di morte presente nella nostra società. Maddalena De Fazio ANPI Molfetta “Giovanni e Tiberio Pansini”

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