Recupero Password
1913. La cantata degli ombrelli, Molfetta ricorda Salvemini con un testo teatrale di Finocchiaro e Saponaro Le celebrazioni salveminiane organizzate dal Movimento del Buon Governo e della democrazia partecipata in collaborazione Cantieri di Sinistra nell'Auditorium “Regina Pacis”
26 novembre 2007

MOLFETTA - Chiudono nel migliore dei modi le celebrazioni salveminiane organizzate dal Movimento del Buon Governo e della democrazia partecipata in collaborazione Cantieri di Sinistra: nell'Auditorium “Regina Pacis” presso la Chiesa della Madonna della Pace si rivivono i racconti antichi delle elezioni a Molfetta nel 1913. A narrarle è il sorprendente Salvatore Marci (nelle foto di Alessia Ragno), regista e interprete, che ha reinventato un testo dattiloscritto di Beniamino Finocchiaro e Nicola Saponaro destinato ad uno sceneggiato per la Rai che non fu mi realizzato, ritrovato nell'archivio Beniamino ed Elena Finocchiaro. Marco Ignazio de Santis, indispensabile collaboratore delle tre giornate salveminiane, introduce brevemente il pubblico alle vicende del 1913 e poi lascia il palco a “1913. La cantata degli ombrelli”, che si apre con l'eco di una radio gracchiante, una memoria antica che avvolge il palco semplice, essenziale: un ombrello rosso è l'unica nota di colore che accompagna Salvatore Marci e le sue molteplici personalità. E' il sindaco di Molfetta adesso, e Marci gesticola nervoso per tutto il palco percorrendolo ad ampie falcate, deve difendere l'ordine pubblico dall'ondata dei nuovi elettori che proprio nel 1913 votavano per la prima volta, era il primo suffragio universale maschile. Marci inforca un paio di occhialini e assume un'aria composta, pacata: è Salvemini, il professore come lo chiamavano i ceti più deboli, che avevano scelto di appoggiarlo nella sua candidatura da indipendente contro il repubblicano Pietro Pansini. Attraverso la voce di Marci, Salvemini denuncia la politica di Giolitti, il colonialismo insensato in Libia e, poi, quel suffragio universale troppo difficile da gestire, “un lauto pranzo offerto alle otto di mattina” dice Salvemini, ma al contempo “una ventata d'aria fresca necessaria”. La voce si spegne, sovrastata dal suono delle campane: dopo le autorità politiche, adesso tocca alla chiesa screditare il demonio Salvemini: “il socialismo è peccato mortale!”. I personaggi di Marci prendono vita come in una reazione a catena: cambia il particolare si crea l'illusione di vedere il curato, poi la popolana, suo marito e Gaetano Salvemini. Il popolano denuncia i brogli delle schede elettorali mai recapitate, gli arresti combinati per impedire alla gente comune di andare a votare per il Professore, l'unico che si sapeva far intendere anche dagli analfabeti, l'unico degno di rispetto, il loro nuovo santo. Salvemini prega il suo popolo di non reagire alle provocazioni dei militari, della controparte, del potere, e si difende col suo ombrello dalle sassate che lo accolgono a Terlizzi, in uno degli ultimi comizi, salvo per miracolo da una sicura pistolettata sul volto, graziato da una sicura non tolta. Salvemini col suo ombrello contro le manganellate, il sangue, i brogli, che si protraggono fino alla domenica delle elezioni, il punto massimo della rabbia del popolo, di Salvemini stesso, che si traduce nella rabbia di Marci che urla, batte i piedi e denuncia lo Stato che si imbestialisce, e dietro di lui scorrono le immagini delle violenze del G8: è il sangue quello che si vede, le corse dei poliziotti, dei manifestanti, è rabbia quella che si tocca. Salvatore Marci è un narratore sanguigno che sceglie di riportarci brutalmente ai giorni nostri, per far vedere quello che si è già dimenticato e ci si chiede: ma tutto ciò è davvero successo? Salvemini ha davvero rischiato la vita per essersi candidato? I mazzieri picchiavano davvero i contadini per costringerli a non votare? La polizia ha davvero picchiato senza motivi plausibili dei manifestanti pacifici? Quella di Marci è pura avanguardia narrativa che si fonde con la ricerca delle immagini che completano lo spettacolo, non lo affiancano semplicemente, e che tingono di rosso un finale tormentato e deluso del popolano che riflette: “Ci avete dato il voto, noi non lo volevamo, e adesso che fate? ve lo riprendete con la forza?” Ritorna la radio gracchiante: “le elezioni si sono svolte regolarmente, solo qualche ferito tra le teste calde”.
Autore: Alessia Ragno
Nominativo  
Email  
Messaggio  
Non verranno pubblicati commenti che:
  • Contengono offese di qualunque tipo
  • Sono contrari alle norme imperative dell’ordine pubblico e del buon costume
  • Contengono affermazioni non provate e/o non provabili e pertanto inattendibili
  • Contengono messaggi non pertinenti all’articolo al quale si riferiscono
  • Contengono messaggi pubblicitari
""
Quindici OnLine - Tutti i diritti riservati. Copyright © 1997 - 2025
Editore Associazione Culturale "Via Piazza" - Viale Pio XI, 11/A5 - 70056 Molfetta (BA) - P.IVA 04710470727 - ISSN 2612-758X
powered by PC Planet