I percorsi del tempo, le suggestioni della personale di Mauro Germinario
Ha riscosso gradimento e suscitato emozioni la recente personale del fotografo di “Quindici” Mauro Germinario, I percorsi del tempo, allestita presso la Sala dei Templari dal 21 marzo al 6 aprile, curata dall’artista Daniela Calfapietro. Un itinerario in cinque momenti, lucidamente scanditi dalle didascalie della curatrice. Un tributo alla memoria collettiva della cittadina molfettese, in cui si stratificano e condensano le passioni dei singoli volti che affiorano, spesso da anfratti bui, negli scatti di Germinario. La personale trae spunto da un evento importante, il ritorno alla tradizione delle uscite in notturna delle processioni della Croce, dell’Addolorata, dei Misteri e della Pietà, avvenuto nel corso dell’anno 2016. L’artista, che ha dichiarato di voler realizzare un’integrazione a questo allestimento entro l’anno 2020, coglie il profondo significato di quell’evento e lo documenta, in maniera fortemente originale e personale. Perché, come ha evidenziato Germinario stesso, lo scatto rappresenta il punto di partenza di un percorso di decantazione dell’opera fotografica. L’artista osserva, coglie il valore simbolico di gesti e momenti apparentemente ordinari e li trasfigura, dopo un accurato lavoro d’atelier. L’elemento fenomenico è insomma l’occasione per un percorso psichico, in cui tutto diviene altro da sé, in una catena di allusioni e corrispondenze di notevole fascino. Germogliano così quelli che la Calfapietro ha definito “neri alla Rembrandt”, nella felice espressione di un’arte digitale, che sarebbe fuorviante voler giudicare con i parametri di chi ricerca un secco reportage, proprio perché ci troviamo di fronte a prodotti che hanno una loro consistenza estetica ben lontana da questo obiettivo. Una fotografia che si muove lungo molteplici direttrici. Evidente è la volontà di dar risalto alla coralità dell’evento (i grappoli di confratelli che affiorano dall’oscurità; gli stradari, orgogliosi e impettiti; le pie dame, non di rado velate; i penitenti, scalzi, a suggerire mistiche geometrie di ombre e luci), con uno sguardo, tuttavia, anche alla psicologia propria della ritrattistica. Si veda lo slancio del sacerdote, che pare quasi correre incontro all’oggetto della sua venerazione, il simulacro mariano; si considerino quei volti che si impongono pur nella moltitudine dei visi e che, in alcuni scatti (si veda il 5.18, con l’accostamento della Maddalena di Cozzoli e di una fanciulla), sembrano quasi suggerire “il presentimento della solitudine femminile” (Daniela Calfapietro) o, estendendo il concetto, universale. Convincenti i ritratti dei santi della processione del Sabato, incorniciati quasi fossero tondi nelle navate laterali delle Chiese, ciascuno nella compressione di un dolore ora trattenuto ora espresso con veemenza. In questo percorso, puntellato dai testi poetici della Calfapietro stessa, di Rosa Maria Fumarola, Eugenio Lombardi e Maria Addamiano, un ruolo importante è rivestito anche dagli oggetti, emblemi di tradizioni immarcescibili. Gli strumenti musicali della componente bandistica, lo specchio/ Alter visus, che, in un bel gioco di trompe l’oeil, pennella un’aura squisitamente neobarocca. La macchina fotografica, che assurge a quinta in cui la Sacra rappresentazione si estrinseca, unica eppure metamorfica nelle sue molteplici rifrazioni. Quinte teatrali divengono anche gli elementi architettonici, talora quasi dissolti a significare lo smaterializzarsi del contingente nella perpetua ripetizione del mistero, a tratti, come accade per le arcate della Città vecchia, assunti a teatro del notturno avvento della “luce cristica”. Un ruolo determinante è giocato anche dall’atmosfera e dai suoi agenti; si consideri il vento, che introduce una nota di dinamismo nella staticità delle pose. Bellissimo il trionfo della Natura di In lumine noctis, in cui i cirri sembrano fungere da altro corteo, con cumuli e strati che introducono un effetto luministico virtuosistico. Perché è la luce a ergersi maestosa negli scatti di Germinario, nel suo perenne farsi strada nell’oscurità del dolore. © Riproduzione riservata
Autore: Gianni Antonio Palumbo