I matti. Dov’è finito Pietro-Cefalo?
I racconti del vento
I timori di Mezzabarba erano fonda- ti. Da quando era scomparso Pietro, ovvero Pietro-cefalo così chiamato ci- nicamente dalla gente di città, proba- bilmente imbottito di farmaci e bloccato da una candida camicia di forza, il nostro an- tieroe non dormiva più sereno. Dormire sereno, una provocazione alla sua ragione. Difatti non dormiva sereno proba- bilmente da più di trent’anni. Da quelle terribili vicende delle quali si ebbe a parlare circa un anno fa, da quell’orrenda uccisione del padre, Mezzabarba soppesata la cupidigia dell’umanità, ebbe a tagliare in due l’essere umano. Per lui oggi ci sono lupi o agnelli, buoni o cattivi, yin o yang, bianco o nero. E come dargli torto! “C’ è gente che invoca il taglialegna per lo stormire di foglie di un pioppo” dice Mezzabarba e continua: “c’è gente che non guarda il dolore, non empatizza più! Eppure un giorno lontano duemila anni fa un nostro fratello ci ricordò che beati sono i poveri poiché per primi avranno i loro cuori traboccanti di gioia divina al co- spetto di Dio”. Mezzabarba oggi dorme in un mercato rionale. Qui il pesce si vende, e c’è sempre odore di mare, di cose fresche, di reti di pe- scatori. Il suo giaciglio è una brandina am- maccata trovata per strada, una strada di campagna battuta dallo stesso Mezzabarba con la sua bicicletta. Perché lui è sempre in giro, per confon- dere chi desidera non vederlo lì, acquattato come un gatto; in giro per confondere anche se stesso, desideroso com’è di cercare un senso alla sua stranissima vita. C’è chi dice che Mezzabarba i soldi li abbia e non pochi. Ma se tu non sai come spenderli, se la tua mania di accumulo ti porta a non consumarli perché vivere ai margini fa paura, allora quei soldi è meglio dimenticarsi di averli. Per tornare alla sua paura pare che si siano messi in testa questi moderni funzionari della città di ripulire il Paese dei vagabondi, degli ubriaconi, dei senzatetto e di tutte quelle persone che la scienza chiama matti. Quest’orrida pulizia non deve avvenire attraverso un’esecuzione veemente ed arrogante, ma deve palesarsi lentamente, civilmente, clinicamente appunto. Così com’è stato per Pietro-cefalo: Un’importante emittente televisiva l’aveva intervistato. Per i primi istanti Pietro aveva espresso la sua visione del mondo, si era sentito importante. Vedeva l’occhio della videocamera che lo scrutava nel profondo. Gli ricordava il monocolo con il quale il dotto- re quand’era bambino lo osservava per og- gettivare in una sigla la sua stramberia. E la mamma gli teneva la mano per non perdere il filo della ragione che solo un grande amo- re materno sa allacciare alla carne. Si sentiva forte dinanzi alla videocame- ra ma fragile, fragilissimo esposto come uno stelo di papavero alle urla di un impavido ragazzotto che minacciava di uccidere lo sprovveduto Pietro-cefalo che si concede- va il lusso di vivere in una stamberga senza luce, senza bagno, senza letto, senza nulla. Ed allora qualcosa si doveva pur sempre fare. Un’iniziativa, un provvedimento, un veloce rimedio. Ed allora ecco la squadra dei medici, capeggiati da una biondissima e bel- lissima assistente sociale. I suoi occhi azzurrissimi si sono schiantati contro il cuore ansante di Pietro-cefalo e non gli è stato possibile ribattere. Alla forza dei medici ha ceduto prima l’amore dell’uomo. Ed è stato portato in una clinica. Lì c’è un vero letto, le stanze bianche, pulitissime, le copertine, i bagni. A quel fantasma reietto è stata data una nuova stanza per una nuova vita. Ma gli occhi dell’assistente lo hanno tradito e si sono posati su una fiala di benzodiazepine. Pietro-cefalo si dimena, gli manca la sua nullità, le sue mura, la strada caotica che solitamente soffocava il suo rantolo spastico. Gli manca il ricordo della manina della sua mamma che in punto di morte gli aveva raccomandato il gattino. Pietro-cefalo ha mandato all’aria, e questo è stato l’errore, tutti gli utensili medici, ed allora gli hanno bloccate le braccia da tre uomini poderosi, e gli hanno messo una sorta di mordacchia che quel matto è parso all’improvviso un Giordano Bruno metropolitano, così nessuno può sentire i suoi inutili lamenti, dunque gli hanno messo una camicia bianchissima coi lacci che gli bloccano ogni tipo di movimento ed infine gli hanno iniettato quel dolcissimo veleno e gli occhi azzurri sono diventati all’improvvi- so come quelli del suo gatto nero, e questa visione gli è parsa una nuova notte celeste. Così sono scomparsi numerosi angeli me- tropolitani: Gaetano-Panettone che chie- deva l’elemosina all’angolo del seminario, ricevendo dal clero più schiaffi che carezze; Michele-dammicentolire che improvvisava il concertino jukebox anni ’80; Antonio-Tar- zan che del suo corpo faceva un’autentica arte acrobatica; Peppino che invece del vino faceva incetta e tanti, tanti altri uomini soli! Mancano alla città queste voci allegre, questa dolce pazzia, la stranezza di quelle anime elevate che riescono a divergere dalla concentricità della “normalità”. La città adesso è vuota. Piove. L’autunno ha già inferto il suo primo colpo. Presto arriverà l’inverno con le sue sferzate. Penso a loro. Penso anche a lui, Mezzabarba. Al suo giaciglio senza tetto. Alla sua paura d’essere condannato alla normalità. Un gatto nero mi taglia la strada. Solo un uomo normale può trovare in questo segno un cattivo presagio. Il potere della strada mi avvince. Penso a tutte le anime storte che Dio ha voluto nel mondo. A loro vada il calore di una preghiera. Ciao Mezzabarba, sii sereno, almeno questa notte quelle persone vestite di bianco non verranno. Loro temono la pioggia. Buona notte.