Homo homini virus, presentato a Molfetta il libro di Ilaria Palomba
MOLFETTA - La nota espressione latina “Homo homini lupus”, già citata da Plauto nell’ “Asinaria” (II sec. a.C.), ripresa dal filosofo inglese Thomas Hobbes nel XVII sec. evidenziando che, allo stato di natura, l’uomo è fondamentalmente egoista e le sue azioni sono dettate dall’istinto di sopravvivenza e di sopraffazione, può essere sostituita ai giorni nostri con la più moderna “Homo homini virus” suggeritaci dalla giovane scrittrice Ilaria Palomba (nella foto di Mauro Germinario). Questo titolo accattivante, tra passato e presente, incuriosisce il lettore che leggendo il romanzo scopre l’abilità e il talento della scrittrice stessa.
Nella “Sala dei Templari”, durante la presentazione dell’omonimo romanzo, nell’ambito della Rassegna di arte contemporanea “La Puglia ponte tra culture”, l’autrice ha spiegato la scelta del titolo, che parte da un’esperienza personale: era stata invitata a un Festival di letteratura di Belgrado e per dei subdoli giochi di potere tra professori universitari e concubine dell'occasione, è stata spedita lì un'altra tizia (concubina del potente di turno). Nasce di qui il libro Homo homini virus nel quale si rilevano tante ingiustizie nell’ambito universitario, giornalistico e lavorativo in genere.
Questa sua ricerca personale l’ha portata a riconsiderare il concetto hobbesiano sostituendo il lupus con il ben più pericoloso virus: «I lupi si fronteggiano l’un l’altro con una certa crudeltà, molto “virile”, molto animalesca, mentre i virus hanno bisogno di insinuarsi nella tua pelle, di essere tuoi amici e di distruggerti dall’interno».
Alla presentazione del romanzo sono intervenuti Daniela Calfapietro, pittrice, critica d’arte nonché curatrice della Rassegna e Miguel Gomez, pittore che si ispira alla Pop Art ed esperto di performance art, video art e body art, vantando tra le sue conoscenze Picasso e Dalì. Gomez ha mostrato ai presenti il suo video art dal titolo “Time in jail”, ovvero “Il tempo in prigione” che anela ad essere liberato. Il video della durata di 10 minuti circa, con sottofondo di musica elettronica, ha come protagonisti lo stesso Gomez, Luigi Morleo alle percussioni e Giada Petroni, la danzatrice che simboleggia il tempo imprigionato.
Al termine del video Gomez ha sottolineato che la performance art è “qualcosa che non è ripetibile”, poiché avviene solo ed esclusivamente in quel preciso momento irripetibile. Un performer deve possedere la “tecnica della confutazione” che è alla base delle caratteristiche di un pittore che deve senz’altro conoscere i cromatismi e gli strumenti di comunicazione. La bravura e la conoscenza della performance art ha portato Gomez a giudicare molto positivamente il romanzo della giovane Ilaria che ha definito “una bellissima storia d’amore raccontata con la forza e con l’energia dei nostri tempi”.
Iris, la protagonista femminile, è una performer di body art per la quale, la ricerca continua, “piena” della bellezza e dell’assoluto e lo smarrirsi completamente in essi, conduce quasi ai confini della follia. Angelo, il protagonista maschile, amante della musica rock, sogna di diventare un affermato giornalista di riviste musicali. Paolini, professore del suo corso, considerandolo un “debole” non perde occasione per umiliarlo: gli nega di scrivere sulla musica e lo spinge verso il mondo della body art, nel quale avrebbe potuto trovare lo scoop “nel sangue, nello scandalo, nella tragedia”. “Voi volete fare i giornalisti perché pensate che le vostre idee, i vostri pensieri importino a qualcuno? No, non frega nulla a nessuno!”, questa è “l’amara verità” che il prof. Paolini urla in faccia ai suoi allievi.
Inviato, quindi, al festival di body art per cercare lo scoop, Angelo, nonostante tutti i pregiudizi che nutriva su di essa, rimane estasiato alla vista di Iris che denudatasi del mantello di velluto rosso e rimasta con il solo velo nero sul viso, mostra a tutti i presenti i suoi fianchi, le sue braccia, le sue gambe e il suo ombelico conficcati da aghi che pian piano sfila facendo inondare il suo pallido corpo di rivoli di sangue. È già amore a prima vista, ma Angelo cercherà fino all’ultimo di negare i suoi veri sentimenti.
Dal romanzo emergono spunti di riflessione molto interessanti: l’amore è l’unico sentimento rivoluzionario che può contrastare la gloria, i soldi, il potere ed il successo, ma è proprio la società in cui viviamo che lo reprime. Angelo, infatti, deve scegliere o la sua carriera di giornalista e, quindi, trattare Iris come un “freak show” da sbattere in prima pagina approfittando della sua “pazzia”, oppure l’amore verso la stessa. Un altro spunto di riflessione riguarda la ricerca (in particolar modo da parte dei giovani) di affermarsi, di imparare dalla vita, di realizzare i propri sogni, le cui ali vengono molto spesso tarpate da individui senza scrupoli per i propri interessi.
È intervenuto Mauro Germinario (fotografo e collaboratore di Quindici) che ha dato testimonianza dell’abuso di potere da parte della sua azienda nei suoi confronti, con la quale insieme ad altri dipendenti è in causa da 10 anni. Raggiunti 35 anni di contributi, lavorando con serietà e responsabilità, all’età di 55 anni, l’azienda ha pensato bene di offrire un bonus di liquidazione a lui e agli altri dipendenti della stessa età. Egli non ha mai accettato quel bonus, perché ha sempre ritenuto che la dignità dell’uomo non ha prezzo. Germinario era ancora in grado di dare il meglio di sé nel suo lavoro, ma veniva “cestinato”, perché dal suo stipendio nel 2005 l’azienda riusciva a pagare tre ingegneri.
Infine è intervenuta Daniela Calfapietro facendo notare che non si può parlare di “violenza” in senso proprio all’interno del romanzo, bensì di “impatto”, di “forza”, insomma di una violenza che sta proprio nel modo di approfittare degli altri. Iris veste i panni del pharmakòs dell’antica Grecia. Costui era quella persona-simbolo che veniva scelto come “capro espiatorio” affinché la propria città, il proprio villaggio o il clan potessero essere protetti. Si trattava di una persona che si offriva come “medicina” per curare il male sociale.
Daniela Calfapietro ha concluso lanciando un significativo messaggio di incoraggiamento «Ognuno deve vivere la propria esistenza fino in fondo con verità, perché l’ipocrisia non serve a nulla tranne che ad impedire di vivere».
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