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Guido Dorso e la rivoluzione meridionale (II parte)
01 luglio 2007

NAPOLI - 1.7.2007 Negli anni che vanno dalla scoppio della Prima guerra mondiale alla presa del potere da parte di Benito Mussolini, l'Italia si caratterizza per una serie di conflitti e di formazioni politiche, attraversate, secondo Dorso, in modo trasversale da posizioni reazionarie e rivoluzionarie, che nell'immediato dopoguerra fanno precipitare il paese in un enorme caos politico alimentato dalla paura del comunismo. Nel 1925 Dorso ritiene che il programma rivoluzionario del movimento fascista sia definitivamente fallito e che oramai le oligarchie liberali riprenderanno nuovamente il sopravvento sulle spinte innovative, che, anche se in forme convulse e contraddittorie, avevano attraversato il paese. Egli allora analizza i programmi e le posizioni politiche dei popolari e dei comunisti, indicandoli come i due partiti potenzialmente rivoluzionari, a condizione che riconoscano la centralità della questione meridionale. “Sembrerà un paradosso, – scrive l'avellinese – ma è così: sono le forze che oggi costituiscono l'oggetto del baratto trasformistico, che divenendo finalmente soggetto dell'azione politica, sono destinate a rappresentare la leva potente della rivoluzione in marcia. Gli sforzi rivoluzionari post-bellici di talune fazioni del popolo italiano, falliti per l'assenza delle masse meridionali, avranno coronamento solo quando l'epicentro della rivoluzione sarà portato nel Sud”. Ma quali sono le forze sociali rivoluzionarie individuate da Dorso nel Meridione? Innanzitutto i braccianti agricoli (foto), i fittavoli, i mezzadri a cui nel dopoguerra si sono affiancati i piccoli imprenditori e i piccoli commercianti. Tuttavia, la loro posizione potenzialmente rivoluzionaria rischia di rimanere tale se nel Mezzogiorno non sorge un partito autonomo della rivoluzione meridionale, in quanto il Partito popolare e il Partito comunista potrebbero limitare al loro interno le spinte innovative delle masse meridionali. Durante gli anni del regime fascista, Dorso è costretto ad una posizione marginale ma non inattiva, in quanto si impegna nella stesura di una biografia su Mussolini, pubblicata postuma. Subito dopo la caduta del fascismo, Dorso riprende la tesi di un partito rivoluzionario meridionale autonomo ed intransigente. “Ma – egli si domanda – esiste una nuova classe politica nel Mezzogiorno? Esistono cento uomini d'acciaio, col cervello lucido e l'abnegazione indispensabile per lottare per una grande idea? Oppure la nostra dolce terra perderà un'occasione unica più che rara, e continuerà il suo duro martirio al seguito della tradizionale miserabile classe politica meridionale, dopo che questa si sarà salvata da un naufragio per l'assoluta impotenza della nostra terra ad esprimere nuove energie politiche? Questo è l'interrogativo amletico che caratterizza il momento presente, e ad esso potrà rispondere soltanto la gioventù meridionale. Se tra quei giovani, che hanno affrontato intrepidi il pericolo ed anelano a vivere una vita politica di marca più elevata, vi saranno anche pochi che si raggrupperanno per difendere la nostra terra, questa favorevole ora, che si approssima sul quadrante della storia, non passerà invano, ed anche il dolce, il sobrio, il paziente, il pio Mezzogiorno d'Italia sarà iniettato nel circolo della vita moderna, e potrà mirare il suo ferreo destino con occhi più tranquilli”. Salvatore Lucchese
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