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Gli anni di piombo, tragedia italiana “Una finestra sulla storia 1971-1980”, l’ultimo libro di Nicola Mascellaro
15 febbraio 2000

Sono stati ormai archiviati nella storia del Novecento come gli “anni di piombo” e, in realtà, di piombo ne è stato consumato parecchio in Italia, ma non solo. Il decennio 1970-80, quello del terrorismo, è stato uno dei più drammatici e violenti del nostro Paese. Ancora oggi molte ferite non si sono rimarginate e, per la Puglia in particolare, la tragedia di Aldo Moro rappresenta uno dei capitoli più tristi e significativi: dopo di lui tutto è cambiato nella nostra regione, dalla politica all’economia. E’ un decennio che si apre all’insegna della violenza: la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre ’69 è stato il primo presagio di quelli che sarebbero stati gli anni ’70: i primi 16 morti senza ragione sull’altare di una folle utopia che ha accomunato “neri” (fascisti) da una parte e “rossi”(brigatisti) dall’altra. E poi venne l’assassinio del commissario Calabresi, altra vicenda tornata oggi di attualità dopo la condanna definitiva di Sofri, Bompressi e Pietrostefani, mentre l’escalation “nera” continuò con la strage di Brescia (1974), la bomba al treno Italicus: 12 morti, 48 feriti (1976) e si chiuse con la strage alla stazione di Bologna: 80 morti, 180 feriti (1980). Il terrorismo “rosso” ebbe percorsi diversi, mirando non a colpire nel mucchio con le bombe, tipica strategia fascista, ma ad abbattere singole figure, tutte simboli, a loro modo di vedere, di un potere, di una classe, di un sistema. E così arrivano l’uccisione del fattorino Sandro Flori a Genova da parte del terrorista Mario Rossi, la “gambizzazione” di Montanelli, l’assassinio dei giornalisti Casalegno e Walter Tobagi e via un crescendo di omicidi di giornalisti, magistrati ecc. per finire alla gente comune. “L’attacco al cuore dello Stato” culminò con il rapimento di Moro e l’uccisione della sua scorta. L’assassinio dello statista democristiano rappresentò, poi, il punto più alto del terrorismo, diffuse un senso di sfiducia e di paura nella gente, ma provocò una reazione decisa da parte dello Stato e segnando l’inizio della fine delle Brigate Rosse. Accanto ai drammatici avvenimenti italiani ci fu anche tanto piombo diffuso a livello internazionale: dalla strage dei fedayn palestinesi nel settembre ’70 ad opera delle truppe di re Hussein di Giordania, all’altro settembre nero, quello delle Olimpiadi di Monaco (1972) con il sequestro e l’uccisione di ostaggi (atleti israeliani) da parte di un commando di fanatici palestinesi. Infine, l’ultimo settembre nero, quello del 1973, in Cile con il colpo di Stato del dittatore Pinochet che portò alla fine del presidente socialista Salvatore Allende e a migliaia di morti e desaparecidos. Ad osservare questi avvenimenti da una finestra privilegiata come quella di un quotidiano “La Gazzetta del Mezzogiorno” è Nicola Mascellaro col libro “Una finestra sulla storia” 1971-1980 (Edisud, pagg. 480, £. 40.000). Il volume, il quinto della serie, frutto di un lungo e certosino lavoro, narra gli avvenimenti di quel decennio vissuti e raccontati dai giornalisti del giornale barese e parallelamente racconta la storia del giornale che proprio in quegli anni subì una profonda trasformazione dalla fine della direzione, dopo ben 17 anni di Oronzo Valentini all’arrivo di Giuseppe Giacovazzo, alla nuova sede e alle nuove tecnologie. Mascellaro, che ha lavorato nella “Gazzetta” dal 1966 al 1996, ricoprendo negli ultimi vent’anni la carica di responsabile dell’Archivio e dei Servizi tecnici di redazione, ha pubblicato anche i quattro volumi precedenti, tutti con la stessa filosofia: un racconto delle vicende che si susseguono come un film, con rapidità e realismo veramente efficaci. Il lettore non ha il tempo di annoiarsi: chi ha vissuto quegli anni scorre le pagine con grande rapidità per ricordare e rivivere un’epoca drammatica e intensa; chi è più giovane si lascia portare per mano da una descrizione precisa e non priva di considerazioni, di note, di commenti dei giornalisti della “Gazzetta”, legati sapientemente dalla prosa asciutta e immediata di Mascellaro. Ne nasce un volume sicuramente divulgativo e di grande presa. Sono anni difficili in cui non mancano eventi di grande rilevanza: dall’elezione di Sandro Pertini alla presidenza della Repubblica, dopo le dimissioni di Leone travolto dallo scandalo Lockheed con i ministri Tanassi e Gui, alle vittorie di Mennea e all’ascesa al soglio di Pietro del Papa polacco Karol Wojtyla, un uomo destinato ad incidere nella storia della Chiesa e del mondo negli anni successivi. Anni violenti, dicevamo, in cui lo scontro ideologico fra destra e sinistra porta alle guerriglie urbane e alla barbara uccisione a Bari del giovane Benedetto Petrone da parte dei fascisti. Perfino i detenuti si scatenano nella protesta per le carceri che scoppiano. E la malavita la fa da padrona, spara e uccide. Violenta anche la natura dal terremoto in Friuli (maggio 1976) a quello dell’Irpinia e della Basilicata (novembre 1980), alla diossina di Seveso (luglio 1976). Violenti gli uomini: ne fa le spese il povero poeta Pier Paolo Pasolini, ucciso da quegli stessi ragazzi di borgata che aveva cercato di “redimere”. Anni poveri per la crisi petrolifera del 1973, le prime domeniche a piedi e il ritorno degli emigranti nel Sud per le industrie automobilistiche ormai in difficoltà. E il Sud allora come oggi, come sempre vive il dramma della disoccupazione, che in Puglia e Basilicata raggiunge punte dell’80%. “Ieri come oggi 25 anni con le stesse richieste: lavoro ai giovani e lotta agli evasori. Qualcosa è cambiato - commenta amaramente Mascellaro -:sono aumentati gli uni e gli altri”. Un libro per riflettere sulle vicende di ieri, ma anche su quelle di oggi sulle quali resta sempre attuale il monito di Aldo Moro: “Questo Paese non si salverà. La grande stagione dei diritti risulterà effimera se non nascerà in Italia un nuovo senso del dovere”. Felice de Sanctis
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