Giornalismo sportivo al femminile
Conversazione di Daniela Tortella (Tg3) a Molfetta
“Sono una donna e mi occupo di sport. Credo fermamente nel diritto alle pari opportunità e altrettanto fermamente credo che almeno nel mio settore sono e resteranno una teoria poco più che utopistica per ancora diverse generazioni”. Con questa affermazione si è presentata a una attenta platea Daniela Tortella, giornalista del Tg3, che ha tenuto a Molfetta una conferenza sul tema: “Giornalismo sportivo…al femminile”, organizzato dal Panathlon e dalla Fidapa.
Ma per una donna è davvero difficile fare la giornalista?
“La realtà è che il giornalismo, come molti altri mestieri, è ancora considerato, più o meno consciamente, un lavoro da uomini, quelli che rimangono chiusi in una redazione fumosa fino a notte fonda. Ci sono le eccezioni: Islamabad in questi giorni è apparentemente invasa da inviate speciali di sesso femminile e ogni giorno vediamo telegiornali nazionali in cui è forte la presenza femminile. Ma la realtà che si vive nelle piccole e medie redazioni che sono il tessuto connettivo del giornalismo italiano è ben diversa”.
La presenza femminile nel giornalismo in Puglia è del 21,8%, con una età media di 42 anni contro i 47 degli uomini, “le donne – sottolinea la giornalista – hanno invaso questa professione solo in tempi recenti e molta strada si dovrà ancora fare prima di rimuovere le vecchie abitudini”.
La situazione, a suo dire, non è migliore neanche nelle emittenti televisive: “nella principale emittente televisiva privata del sud Italia le donne sono più che ben accette. Ma non per il loro valore professionale ma perché sono ritenute più gradevoli da guardare e quindi alzano gli ascolti. I giornalisti, tranne un paio di eccezioni, restano dietro le quinte per scrivere le notizie che le speaker si limitano a leggere. Quando sul foglio c’è qualche errore di battitura, scoppiano veri e propri drammi in diretta. Ma le speaker sono graziose e in alcuni casi recitano anche bene”. Un panorama complicato anche dal rapporto con gli editori, cui non risparmia critiche: “una linea editoriale mi disse che non accettavano le donne in redazione perché si riproducono e quando sono in maternità costano soldi e non lavorano. E anche quando non si riproducono la loro presenza in redazione può creare turbativa nel lavoro dei colleghi uomini. Spero per la dignità dei colleghi, che quest’ultima fosse solo una battuta di spirito”. Caustica quanto realistica, la dott. Tortella, nel descrivere il rapporto con i colleghi: “è comprensibile, per quanto non giustificabile, che quando una giovane aspirante giornalista cerca lavoro, i colleghi siano portati a guardarle prima le gambe del cervello. Scandalizzarsi non serve a niente. La competizione è feroce”.
Eccesso di realismo o forse un pizzico di antifemminismo animano il discorso della Tortella, che con gli uomini lavora a stretto contatto e si è fatta largo nel campo del giornalismo sportivo ritenuto da feudo maschile. “Molti colleghi – spiega – iniziano nella redazione sportiva perché è più facile e perché molte volte, erroneamente, si pensa che per qualificare un giornalista sportivo basti la passione e un po’ di gergo. Ma fare un servizio su uno sport cosiddetto minore, ad esempio su una gara di judo o di pallamano, non è facile, sono necessarie ore di preparazione per reperire le informazioni di base sulle squadre o gli atleti o per capire le regole della disciplina, mentre per occuparsi di calcio basta sfogliare un giornale”.
Daniela Tortella si occupa proprio degli sport minori, collocati all’ultima pagina del giornale ma non si sente certo inferiore ai più blasonati colleghi che seguono il calcio, anzi confessa: “mi sento davvero gratificata della mia professione proprio quando scrivo di uno sport o di una squadra che nessuno conosce e che apparentemente non interessa a nessuno, allora sì che ho la sensazione di contribuire a fare informazione e perché no, cultura”.
Il giornalismo come fonte di cultura, una prospettiva ultimamente sempre più trascurata anzi spesso sottoposto a ridicole critiche, che ne vorrebbero soffocare lo spirito di libertà, spesso ampiamente compromessa da logiche politiche o di mercato.
“Il diritto-dovere di informare obiettivamente l’opinione pubblica in piena e completa libertà di parola ed espressione, è una teoria spesso superata nella pratica dalla rincorsa quotidiana all’audience. L’informazione è un’azienda e il giornalista è un lavoratore dipendente, tenuto ad uniformarsi alle logiche aziendali di un proprietario. E questa logica il più delle volte si riassume in un semplice assioma: dobbiamo vendere quello che il pubblico vuol comprare, anche quando è informazione-spettacolo. Non è bello e non è un bene, ma quanto avviene nella realtà quotidiana: negarlo sarebbe un’inutile ipocrisia da salotto”.
In occasione della conferenza è stata consegnata una targa del Panathlon al prof. Michele de Sanctis “per la sua lunga attività giornalistica sportiva” esplicata in oltre sessant’anni, trenta dei quali con la “Gazzetta del Mezzogiorno” e l’Ansa.
C’è un filo che accomuna chi lavora in questa professione, ed è ben riassumibile nella frase con la quale Daniela Tortella ha concluso il suo intervento: “In realtà non faccio la giornalista. Lo sono e non potrei essere altro”.
Michele de Sanctis jr.