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Giorgio Latino, direttore del Collettivo, racconta il teatro Dino La Rocca
15 febbraio 2012
Come tutti sanno, il teatro fin dai tempi dell’antichità è stato visto come un riferimento culturale, ma anche motivo d’ilarità. Infatti, proprie del genere teatrale sono la commedia e la tragedia, caratterizzate da due diversi stati d’animo generati nell’animo umano. Perciò, il genere teatrale, sviluppatosi nel corso dei secoli, ha mescolato vari tipi di linguaggi, ispirandosi a fatti storici e generando alcuni tra i più famosi tragediografi, attori e registi di tutto il mondo. Tra i gruppi teatrali più rinomati di Molfetta, il Collettivo Teatrale “Dino La Rocca” che recentemente ha cambiato la sua sede (via Cap. De Candia), dedicandola all’ex direttore, defunto, Francesco Lo Basso. A lui saranno dedicate le serate al cinema Odeon per i quarant’anni d’amicizia e di passione. «Superato il lutto - ha spiegato l’attuale direttore della compagnia, Giorgio Latino, nelal intervista rilasciata Quindici - si riparte col nuovo direttore, con la nuova segreteria gestita da Caterina Tattoli, alla scenografia e organizzazione Tonio Ragno, presenza femminile Maria Latino ed Isa Sgherza e chiude il tutto il vicedirettore Giovanni Saltarelli». Il Collettivo inizia la sua attività tra gli anni ’60-’70, ispirandosi al genere napoletano, anche se la prima commedia fu di genere molfettese, scritta da Felice Altomare. «Oltre che con Felice Altomare, abbiamo lavorato con grandi presenze come Dino Regina, Mauro Zaza, Pino Sasso e per ultimo, ma non per importanza, Orazio Panunzio e fino ad oggi col nostro giovanissimo scrittore Michele De Candia». Questo giovane scrittore è l’autore di una trilogia di commedie, «La Lètter », «Megghie come è sciaute» e l’ultima a chiudere il tutto «U senghe nen è acque», con cui analizza l’ambiente familiare, una famiglia che non mostra debolezze all’esterno, che ha dei segreti o, come dice Giorgio (uno dei personaggi) «una famiglia con più anima e meno corpo», aprendo un’analisi introspettiva di ciò che siamo e di ciò vogliamo essere. Sig. Latino, lei ha detto che la compagnia teatrale all’inizio si è ispirata al genere napoletano, ma avete avuto altri spunti quando siete partiti? «Noi abbiamo tentato di creare un teatro molfettese e questo è un grande punto d’orgoglio. Non abbiamo mai copiato da nessun’altra compagnia teatrale, mai rimaneggiamenti di altre opere, bensì ne abbiamo messe in scena quasi 48 e tutte in dialetto con un discreto successo. Da un po’ di tempo siamo affiancati da Gennaro Cicollella che recentemente ha inciso un cd di canzoni tradizionali molfettesi». Ma quando avete formato il gruppo non avete mai avuto un po’ di scetticismo, non avete mai pensato che la compagnia non avrebbe avuto quel successo sperato? «Sinceramente non abbiamo mai avuto questi pensieri, certo un po’ di paura c’è stata, ma non ci siamo mai scoraggiati. Anzi abbiamo avuto sempre pubblico, un pubblico che è arrivato fino alla terza generazione e con ciò intendo la gente che veniva a vederci all’inizio che ha avuto dei figli li ha portati e così hanno fatto la stessa cosa quest’ultimi. Oggi siamo presenti anche su face book, abbiamo la nostra e-mail
collettivodinolarocca@gmail.it
ed è in preparazione anche la nostra pagina web. Qualcuno in tutti questi anni ci ha sempre seguito, documentando tutti i nostri spettacoli, mettendoli sul web, facendoci sentire davvero importanti agli occhi della gente e naturalmente spronandoci di più e realizzando tante nuove opere tanto che siamo arrivati a tenere due o tre spettacoli nuovi all’anno». Non è mai successo che una attore o un’attrice si sia mai sentito aldi sopra degli altri? «No, non è mai successo. Tutti nella compagnia abbiamo un credo, per così dire, tutti siamo consapevoli che nessuno e più degli altri. Noi tutti abbiamo la stessa dignità degli altri». Sig. Latino avete avuto sempre lo stesso successo negli anni? «Noi siamo stati accolti sempre con lo stesso successo. Abbiamo fatto due tournée in America nell’81 e nel ‘92 e altre due tournèe in Australia, dove abbiamo rischiato di non tornare più a Molfetta. Quando siamo andati via abbiamo lasciato un pezzo di cuore lì». Quindi oltre ad essere seguiti a Molfetta, siete stati anche seguiti all’estero. Direi che è un grande punto d’onore. Che genere di pubblico vi segue? «Siamo seguiti da quelli di zero anni fino ai novantatre anni, ma anche la generazione dei giovani ci segue. Addirittura siamo seguiti da intere comitive. Direi che non è la fascia di età che ci segue, ma ciò che continuiamo a dare che ci fa sentire sempre bene e sempre più vogliosi di dare alle generazioni vecchie come a quelle più nuove». I giovani all’interno del teatro si sono mai avvicinati con la voglia di divertirsi e di stare con la gente o solamente per poter avere successo ed essere famosi? «Abbiamo avuto dei giovani che si sono avvicinati al teatro. Molti alla ricerca del successo, ma non sono durati e sono andati via. Altri che si sono avvicinati per divertimento sono rimasti fino ad ora. Infatti, quando si recita, se si sta recitando con la mente o con il cuore, la stessa platea si sente parte del teatro e sa bene che quella storia ha un significato e quindi comunicherà qualcosa. Quando si vede che reciti con la mente, il pubblico è freddo, non coinvolto e di conseguenza non sente nulla».
Autore:
Barbara Binetti
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